Capitolo 20 - Come and Play

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Premette il mozzicone di sigaretta sulla lastra di vetro del posacenere, spegnendolo stancamente con la mano destra; intanto, con la sinistra ne aveva già estratta un'altra (la nona o decima... aveva perso il conto) dalla tasca interna della sua giacca rigorosamente nera.
"Vesti sempre come se dovessi andare ad un funerale." aveva osservato una volta Alexandra, storcendo appena il piccolo naso com'era solita fare ogni volta che le rivolgeva lo sguardo.
Lui aveva semplicemente ignorato quel commento senza nemmeno sollevare lo sguardo dal suo giornale.

Infilò il cilindro di carta tra le labbra sottili e se l'accese con un gesto fluido della mano liberata, subito corsa a recuperare l'accendino che aveva adagiato sullo scaffale. Un oggettino d'ottone, semplice nella fattura e con parecchi anni sulle spalle, che recava due iniziali: O. M., nulla che potesse suonargli anche lontanamente familiare.
Specialmente perché quel minuscolo strumento luccicante non era suo. L'aveva ottenuto parecchi anni addietro, quando – schierato per l'esercito inglese durante la prima guerra mondiale – si era ritrovato ad essere un efficiente medico di campo sotto il nome di Oliver Taylor, alla cura di decine e decine di soldati feriti e mutilati dalle molte battaglie: sia fisicamente che psicologicamente.
Una generazione di ragazzini completamente bruciata, considerò con velata malinconia, mentre aspirava a pieni polmoni l'intenso sapore di tabacco delle sue preziose, inseparabili Chesterfield.
A pensarci, non ricordava con esattezza in quali precise circostanze fosse venuto in possesso di quell'accendino in particolare, eppure avrebbe potuto senza difficoltà tracciare il perfetto ritratto del precedente proprietario che gliene aveva fatto dono.

Henry Macdonald.
Un ragazzino avvolto nelle coperte, tremava sotto i violenti brividi che lo agitavano, mentre lui lo analizzava con il suo clinico sguardo di ghiaccio. Bianco come un lenzuolo appena lavato, i capelli umidi e neri gli scendevano scompigliati sulla fronte madida di sudore, il suo corpo chiazzato di rosso era a tratti scosso da spasmi incontrollati. Gli occhi castani, che verso l'interno dell'iride sfumavano nelle più diverse e brillanti gradazioni di verde, guizzavano da una parte all'altra dell'alloggio che lo ospitava, vedendo chissà cosa nei drappeggi bianchi che separavano i pazienti.
Tifo, ecco cosa lo stava uccidendo; una malattia estremamente comune, in trincea, il che non lo rendeva poi un caso così eccezionale fra gli altri ricoverati: e, a ripensarci, William non ricordava quale dettaglio cruciale di quel poveretto l'avesse portato a imprimere il suo volto nella memoria.
Certo era che doveva aver sofferto come un cane: ma non si era mai lamentato, no, a parte qualche gorgoglio sommesso di notte che suscitava qualche protesta da parte dei soldati in degenza nell'infermeria del campo; nei suoi deliri febbrili Henry tornava a casa: vedeva sua madre, i suoi fratelli, la chiesa del paese e le infornate di biscotti della domenica. Anche quand'aveva l'addome contratto dai dolori, le sue labbra erano sempre distese in un'espressione pacifica e rilassata. Alcuni, in un certo senso, addirittura invidiavano la sua possibilità di fuga dalla cruda e tetra realtà, altri lo compativano per ciò che quell'evasione comportava.
Eppure, mentre lo visitava, William non poteva fare a meno di notare come ci fosse qualcosa di tenero e, allo stesso tempo, d'infinitamente triste nei sorrisi che rivolgeva al fantasma della lontana genitrice.

Una volta, in un momento di discreta lucidità, Henry l'aveva chiamato a sé e gli aveva messo l'accendino tra le mani, insistendo affinché lo prendesse. Non ricordava i motivi che lo spinsero a un gesto simile, né le poche frasi che si scambiarono.
Will ricordava soltanto il pallore del suo volto emaciato, specchio di quella morte che incombeva su di lui come un avvoltoio sulla spalliera della sua branda, pronto a ghermirlo da un momento all'altro.
Se ne sarebbe andato pochi giorni dopo, il povero Henry, per un'emorragia interna sulla quale nessuno avrebbe potuto intervenire. Una vita stroncata alla così giovane età di vent'anni appena, forse anche meno. Quanti, diciotto? E quanta differenza poteva fare, poi, se tanti altri come lui si battevano per ritrovarsi a fare la stessa fine, sotto terra?
Will se n'era ritrovati anche troppi ridotti a quella pietosa maniera, bianchi, rossi e tremanti: a crepare per nulla sotto i ferri senza aver nemmeno mai conosciuto la vita. E ne aveva assaporato ogni timore, mentre rifletteva sul senso di quanto li aspettava.
Non aveva certo memorizzato tutti i loro nomi, sarebbe stato un compito arduo perfino per lui.
Eppure c'era: c'era un motivo se quello lo ricordava. Era solo... difficile da ammettere come reale.

Hypnophobia (#wattys2017)Where stories live. Discover now