11. Professore e cosa ti è successo?

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Daniel

Cammino a ritmo lento e costante per i corridoi della Rosewood High School. È come ritornare indietro nel tempo, a quando accanto a me cera Gregg con gli altri. Mi sento vecchio all'idea che siano passati così tanti anni da quando non facevo altro che finire in punizione per merito del mio stesso padre. Perché combinare casini era l'unico modo che avessi per farmi notare da lui, sempre troppo concentrato su scartoffie e documenti, su l'immagine della perfetta famiglia inglese. Se solo fossi stato meno idiota all'epoca, mi sarei risparmiato un po' di dolore inutile, una specie di bonus non affatto desiderato.
E invece sono qui, per il mio terzo giorno consecutivo di lavoro, diretto verso la mia prima classe della giornata. Vorrei dire di odiare questo lavoro, ma non è vero. Ciò che odio è che sia stato costretto da mio padre a venire a fare il professore qui, quando i miei piani riguardo alla mia carriera erano un tantino diversi. Non che aspirassi all'Oscar certo, ma almeno una candidatura era nei piani. Al contrario di questo...e di Cassandra Rogers. Stringo il palmo della mia mano in un pugno, all'idea che siano esattamente tre giorni che lei si nasconda da me. Tre giorni passati a chiedermi cosa le abbia fatto per farla comportare così verso di me. Tre giorni in cui non faccio altro che ripetermi di non pensarla, e invece mi ritrovo addirittura a sognarla e ad aspettarla in biblioteca da Isabel, che di conseguenza continua a guardarmi come se fossi E.T.
È imbarazzante, ma nonostante tutto continuo a cercarla tra i corridoi e a sbirciare nelle aule durante le lezioni. Ho persino tentato di avere il suo orario, ma ovviamente è un'informazione riservata. Niente di Cassandra Rogers può essere riservato per il sottoscritto! È stato ciò che avrei voluto urlare alla segretaria a cui ho chiesto. Invece sono stato zitto e mi sono limitato a fare lo stalker, come se essere il professore appena arrivato non fosse abbastanza.
Mi passo una mano tra i ricci e m'impongo di non pensare a lei, almeno per il tempo della mia lezione. Sospiro una volta davanti la porta del teatro e la apro, ritrovandomi come indietro nel tempo di qualche settimana, al giorno in cui ho incontrato... Basta, Sharman! Mi ordina la mia coscienza, con la voce fin troppo simile a quella di mio padre. Quasi non rabbrividisco mentre cammino per il corridoio laterale, guardando dritto davanti a me e sentendo gli occhi degli studenti puntati sulla mia figura. Sorrido tra me e me, consapevole della mia presenza fisica. Sento qualche sospiro sognante provenire da alcune ragazze e faccio una smorfia, pensando a quanto siano ridicole. In fondo è un po' il sogno proibito di tutte le adolescenti avere una storia con il professore figo...se solo pensassero alle conseguenze di tutto ciò. Se solo le sapessero...
Caccio via il pensiero e salgo gli scalini che danno sul palco, ritrovandomi vicino al pianoforte, che ho suonato settimane fa. Non ho alcuna voglia di suonarlo, forse proprio per il pensiero di chi sia stata l'ultima persona a sentirmi.
Sospiro piano e a fondo e mi volto, ritrovandomi davanti una ventina di studenti in attesa che io inizi questa lezione. Quasi scoppio a ridere mentre immagino i miei amici qui, ad osservarmi mentre insegno. Tutto ciò che dicevo che non avrei mai fatto, ai tempi delle superiori.
-Buon giorno, ragazzi.- pronuncio, camminando verso la lavagna che ho richiesto ieri. Mio padre deve proprio avere a cuore che io faccia qualcosa di buono nella mia vita, eh, penso divertito. -Io sono Daniel Sharman, il vostro nuovo insegnante di teatro.- ripeto la stessa frase da tre giorni, che quasi ne ho le scatole piene. Intanto scrivo il mio nome alla lavagna e sento qualche borbottio provenire dalla parte femminile.
-Mi scusi.- pronuncia proprio la voce di una ragazza, che mi fa voltare. Ha una mano alzata, che abbassa quando le faccio cenno di poter parlare. -Lei è il figlio del preside?- chiede, sbattendo le palpebre con fare civettuolo.
Oh, Dio, penso già esasperato. Mi trattengo dal rispondere a mio modo e prendo un bel respiro. -Si.- rispondo, mentre nella mia mente mi appunto di girare alla larga da questa ragazzina. E da Cassy? Chiede con velato sarcasmo la mia coscienza. Vorrei risponderle che sia lo stesso, ma...la porta del teatro si apre e la mia testa si porta di scatto in quella direzione, come se si aspettasse già di veder comparire quel viso basso, quella treccia che ricade su una spalla e la felpona enorme a nascondere le curve a dir poco perfette. E forse è davvero così, forse il mio cervello -il mio cuore- si aspettava di veder comparire Cassandra Rogers ad una mia lezione.
E all'improvviso non siamo più in teatro, ma davanti alla mia macchina. Non sono pronto a lasciarla andare, sono stato bene con lei questo pomeriggio, che non so come sarà ritornare a casa e non vedere più quegli occhioni blu-ghiaccio. Voglio baciarla, ma non è il momento. Ce ne saranno altri. Devono essercene, dico a me stesso. Il mio mondo sarebbe diverso senza le sue guance perennemente rosse. E allora la lascio andare, non prima di averle dato un bacio sulla guancia che le fa mancare il respiro. La osservo salire il portico di casa sua e chiudersi la porta alle spalle, poi sospiro, mi volto e rientro nella mia auto.
Sbatto le palpebre rendendomi conto che stavo ricordando il pomeriggio passato insieme. Cassy va a sedersi al suo posto, quello del primo giorno in cui l'ho conosciuta. -Mi scusi.- la richiamo, schiarendomi la voce per renderla più sicura, anche se mi sento tramortito dalla sua presenza qui. Perché è qui, se non ha fatto altro che evitarmi? Mi chiedo, mentre la vedo bloccarsi verso di me. Ciò che riesco a distinguere da questa distanza, causa anche il cappuccio che ha calato in testa, sono i suoi occhi. Occhi che mi fanno rabbrividire, poiché pieni di tristezza. Che ti è successo, bambina? Vorrei chiederle, ma non è il momento. -Lei chi è?- le chiedo, fingendo di non conoscerla. Fingendo che non sia lei a non farmi dormire la notte.
-Cassandra Rogers.- risponde con la sua solita voce piccola. E per me è musica. -Mi dispiace per il ritardo, ma mi sono iscritta solo oggi alla lezione.- aggiunge e il cuore perde un battito.
Non può essere un caso.
No che non può esserlo, cazzo! Cassy sapeva che io sarei stato il professore di teatro. Questo significa...significa che è qui per me? -Signorina Rogers.- pronuncio incrociando le braccia al petto. -Come mai ha scelto questa lezione?- E io perché sto facendo lo stronzo con te, Cass? Forse voglio vendicarmi un po' per questi tre giorni, che mi hanno quasi fatto uscire fuori di testa. Magari è meglio che lo togli quel forse, Sharman, mi rimbecca la mia coscienza.
-Mi piacciono le storie.- risponde lei alzando le spalle. Ancora non la vedo bene in viso. -E mi piace l'idea di poterle vedere dal vivo, non solo leggerle sulle righe dei libri.- aggiunge, lasciandomi sorpreso. Ormai ho capito com'è fatta: Cassandra Rogers odia avere l'attenzione della gente addosso...eppure mi ha appena risposto nel modo più esaudiente che possa esserci. E mi rendo conto che in quella sua testa, contornata da capelli lunghi e scuri, c'è un mondo che non ha voce.
-Ottimo, signorina Rogers.- annuisco soddisfatto e la vedo abbassare il viso. Mi decido poi a distogliere l'attenzione da lei, anche per evitare che qualcuno capisca ciò che provo al solo guardarla, quando mi blocco. Ho bisogno di risposte. E di poterla ancora avere vicino. -Appena saranno finite le lezioni, Rogers, la voglio nel mio ufficio.- le annuncio, con un tono che non ammette repliche. La vedo sobbalzare, i suoi occhi blu-ghiaccio sono sgranati su di me, per poi annuire. Sorrido soddisfatto e mi concentro finalmente sul resto della classe, con il pensiero che finalmente potrò avere delle risposte.

***

La mia tracolla cade con un tonfo sulla mia scrivania, assegnatami lunedì dal mio stesso padre. Mi sembra strano che non sia vicino al suo ufficio in realtà. Forse vuole darmi un po di libertà... penso poco convinto. Sospiro, mi passo una mano tra i capelli e mi appoggio contro il bordo della scrivania chiudendo per un attimo gli occhi, beandomi del silenzio che mi circonda. È l'ora di pranzo e in teoria dovrei pranzare anch'io, ma ho lo stomaco chiuso. Credo, anche se non vorrei mai ammetterlo, che sia dovuto a Cassy e al fatto che tra poco avrò le mie risposte.
Nello stesso momento sento bussare alla porta del mio ufficio. Mi porto di scatto con la schiena dritta e: -Avanti!- esclamo, forse con voce fin troppo nervosa. So già chi c'è dietro questa, ma il mio cuore non può fare a meno di accellerare quando davanti a me compare la figura di Cassandra Rogers. La osservo mentre entra e si richiude la porta alle spalle, con il viso basso e la testa nascosta ancora dal suo cappuccio. L'ha tenuto per tutto il giorno? Mi chiedo perplesso, mentre la vedo poggiarsi contro la porta e stringere la cinghia della sua borsa verde fluo. Aggrotto la fronte quando i miei occhi si posano sulla sua mano fasciata. -Cass.- mi stacco dalla scrivania e faccio un passo verso di lei, che sussulta e si preme ancora di più contro la superficie di legno. I miei occhi ancora fissi sulla fasciatura della sua mano... Mi accorgo che sta tremando e ciò mi fa preoccupare molto di più. -Che succede, Cass?- le chiedo, avvicinandomi ancora. Allungo una mano verso il suo viso e lei si allontana, girandosi dall'altra parte. E mi si blocca il respiro in gola, ma non per la lacrima che le riga la guancia. Per l'ematoma che c'è proprio su di essa. -Cosa cazzo è questo, Cass?!- urlo fuori di testa. Le tolgo il cappuccio dalla testa e le faccio voltare il viso verso di me: spalanco gli occhi vedendo anche l'occhio nero, il labbro spaccato e alcuni lividi sbucare da sotto la felpa. Cosa ti hanno fatto, bambina? Penso, mentre il cuore mi si stringe fino a fare male. -Cass...- la richiamo ancora e lei scoppia a piangere poggiandosi contro di me. Si nasconde a me, trema contro il mio corpo e mi stringe il maglione in due pugni come fanno i bambini. E io la stringo piano, per paura di farle male.
-Non dovevi vedermi così.- sussurra lei piano contro il mio maglione, continuando a piangere. -Non dovevi vedermi più.- continua, scuotendo con forza la testa.
-Smettila.- la stringo appena più forte per le spalle. -Smettila, cazzo!- esclamo, chiudendo gli occhi e posando il mento contro la sua testa.
Mi sento male a vederla così, perché lei è più di questo e io l'ho visto. Nei suoi occhi accesi per la voglia di prendermi a schiaffi, nel modo in cui si è stretta quel libro alla biblioteca da Isabel, nella sua storia che mi ha raccontato. Voglio vederla bella come domenica, quando aveva sorriso in macchina contro il finestrino e aveva provato a negarlo. -Bambina, basta.- sussurro contro i suoi capelli, mettendole poi due dita sotto il mento e facendole alzare il viso verso di me. La guardo negli occhi e mi viene naturale chinarmi su di lei e lasciarle un bacio sulla guancia. -Ssh.- sussurro contro la sua pelle, respirando il suo profumo e asciugandole le lacrime con le mie stesse labbra.
-Dan...- sussurra lei, guardandomi dritta negli occhi.
E capisco subito di cos'abbia bisogno.





Sono viva! :)
Perdonatemi per il ritardo degli aggiornamenti, ma diciamo che le cose sono un po' complicate negli ultimi tempi. In ogni caso, spero che siate ancora qui, a leggere la nuova versione di Bellissimo sei tu!
Fatemi sapere cosa ne pensate, commentando e votando:)

A presto.
Mary🌻

ℬℯ𝓁𝓁𝒾𝓈𝓈𝒾𝓂ℴ 𝓈ℯ𝒾 𝓉𝓊 || 𝒟𝒶𝓃𝒾ℯ𝓁 𝒮𝒽𝒶𝓇𝓂𝒶𝓃Onde histórias criam vida. Descubra agora