17. Le regole dei giochi

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HUNTER

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HUNTER

"Mi ha telefonato il signor Ross. Ha accettato i due milioni che gli abbiamo offerto. L'immobile è nostro."

Un senso di vittoria mi pervase quando lessi il messaggio di mio padre, quella mattina.

Riposi l'accappatoio sul lavandino del bagno e mi vestii di tutta fretta, prima di uscire dalla camera con i capelli ancora grondanti d'acqua.

La tempesta si era ormai quietata, la pioggia avevo smesso di battere, e io non vedevo l'ora di tornare a Manhattan, dopo aver ovviamente recuperato la mia auto.

La porta della stanza di Eleanor era ancora chiusa, segno che forse stava ancora dormendo, ma volevo informarla della notizia perciò bussai lo stesso. Non ricevetti risposta.

«Roberts», insistetti, dando colpetti al legno, «dobbiamo andare. Sono già le nove.»

Non mi rispose, quindi accostai l'orecchio alla porta. Dall'altra parte proveniva solo silenzio.

Aprii allora la porta, che non aveva chiuso a chiave, ma quando lo feci mi resi conto che il silenzio era dovuto alla sua assenza. Il letto era sistemato, il bagno era in ordine, e di lei non vi era nessuna traccia. La mia attenzione fu catturata da un bigliettino scritto a penna, adagiato al centro del materasso. Mi sporsi e lo presi per leggere quelle poche righe.

"I taxi hanno ripreso a viaggiare. Ne ho preso uno per tornare a Manhattan. Ci vediamo al lavoro."

Rimasi fermo al centro della stanza, con il bigliettino ancora in mano, mentre un retrogusto amaro mi invadeva la bocca.

Forse non voleva parlarmi, e sarebbe stato perfettamente da lei dopo ciò che era accaduto la sera prima. O, per meglio dire, quello che alla fine non era successo.

Sapevo di aver superato quella linea immaginaria di un limite che in qualche modo era stato imposto, più da lei che da me, ma ciò non bastava a farmi pentire. Quella era stata la prova del nove, la conferma inconfutabile a quel dubbio che mi era ronzato in testa da giorni e che finalmente lei stessa aveva fugato. Che nonostante avesse negato a parole, era stato il suo corpo a dare la conferma.

Era attratta da me.

Una piccola vittoria, che tuttavia aveva nutrito il mio ego abbastanza da sapere che, se lei avesse dato un cenno di cedimento, la sera prima non mi sarei di certo fermato. Perché c'era una cosa che mi bramavo ancora più dei soldi e del potere: le sfide. Soprattutto quelle che parevano perse, ma che avevano un margine occultato di vincita.

Eleanor, senza saperlo, me ne aveva appena offerto una su un piatto d'argento, e non mi sarei mai tirato indietro. Avrei ottenuto quello che volevo, a qualsiasi costo.

Arrivai in azienda in tarda mattinata, quando ormai tutti i dipendenti erano in procinto di fermarsi per la pausa pranzo, perché avevo dovuto aspettare più del dovuto per potermi riappropriare della mia auto dopo aver ovviamente pagato la sanzione. Avevo avuto modo, durante il viaggio, di parlare al telefono con Damian che mi aveva informato che lui e James sarebbero arrivati a New York la settimana successiva, giusto in tempo per il mio compleanno. Non che mi interessasse davvero festeggiare, ma volevo approfittare di quell'occasione per stare un po' in compagni dei miei fratelli e dei miei amici.

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