Capitolo 10: La quiete è prima o dopo la tempesta?

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Sabato arrivò davvero in fretta.

Troppo in fretta.

Marco scese dal aereo e Filippo gli saltò addosso come non lo vedesse da mesi. C'era un gran freddo quel giorno, dicembre era ormai alle porte e stavamo già aspettando la prima neve. Stavo detestando già cappotto e berretti.
Amavo l'estate e il caldo, allo stesso modo detestavo le temperature pungenti. Avevo smesso di adorare il freddo nel momento stesso in cui avevo iniziato a provarlo dentro, direttamente sotto la pelle.

Al terminal la gente correva come impazzita per prendere un aereo diretti per chissà dove, frenetici alcuni, felici altri, con il bagaglio a mano e il sorriso di chi sta andando al caldo a godersi qualche vacanza invernale fuori porta. O la gioia di chi sta per incontrare qualcuno che ama.

Mi ritrovai ad essere un po' gelosa di quella frenesia, io che da sempre avevo cercato quiete e organizzazione in ogni mia azione quotidiana.
Speravo un giorno di prendere un aereo, di sedermi accanto ad un finestrino e osservare le nuvole dall'alto. Di ripartire da capo, di buttarmi in nuove avventure.

In un altra vita, magari.

Tornammo subito a casa senza fermarci per soste non progettate.
In auto Marco raccontava del suo viaggio con un tale entusiasmo da darmi quasi fastidio, del fatto che avesse avuto un po' di tempo anche per visitate Londra, bellissima città storica, elegante e di tendenza.

《Un giorno vi ci porto. 》

Ci aveva detto, entrando nel vialetto di casa.
Io, a differenza di Filippo, non diedi troppa importanza a quella promessa.

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Marco era tornato. La mia vita da pseudo single era un po' fortunatamente e un po' malauguratamente finita.

Quella sera svuotammo valige e sistemammo gli acquisti di Marco. Ci portò dei regali anche fin troppo costosi.
Una valigetta molto elegante per me, in vera pelle " per essere pronta al nuovo progetto lavorativo " e una serie infinita di giocattoli per Filippo.
Odiavo che lo viziasse così tanto, eravamo d'accordo che gli avrebbe portato qualcosa, non un intero negozio di giocattoli.

Robot, macchinine, peluche, trenini. Tanti soldi spesi male, quando Filippo non aveva assolutamente bisogno di affetto materiale, ma di un padre che tornasse a casa il prima possibile per stare con lui.
Non creai questioni, eravamo stanchi e Marco era appena tornato.
Avremmo avuto molto tempo per litigare, discutere, in seguito.

Quella notte dopo aver accompagnato Filippo nel suo lettino, io e Marco facemmo l'amore dopo tanto tempo.
Sembrava persino che fosse diverso, più maturo, cambiato.
Si muoveva su di me con più sicurezza, mi baciava con una tale intensità che non ricordavo nemmeno quando fosse stata l'ultima volta.
Eppure durò il tempo di un suo egoistico breve orgasmo, poi mi crollò a fianco e si addormentò lasciandomi lì, a guardare il soffitto, incompleta. 

Non che fosse una novità, ma quella sera fu anche peggio di altre volte.
Mi sentii ridotta ad una bambola gonfiabile, un oggetto usa e getta.
Volgarmente, uno svuotapalle.

Inevitabilmente qualcos'altro si era rotto dal suo ritorno.

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I giorni trascorsero veloci, andavo all'Hotel quasi ogni giorno per controllare come procedevano i lavori.
Più osservavo le migliorie, più me ne sentivo personalmente soddisfatta.
Nel frattempo il Fausti mi premiò con il primo compenso per il lavoro svolto, cinquecento euro extra alla mia paga abituale.

《La prenda come un 'grazie' speciale per l'ottimo lavoro che sta svolgendo per me. Quando i lavori saranno ultimati, riceverà il compenso per intero, ma nel frattempo ogni mese mi permetto di fare qualcosa in più per l'impegno e la responsabilità che ha in questo lavoro. 》

Lo ringraziai dal cuore come non avevo fatto mai. I soldi non erano mai abbastanza, non ci bastavano mai.

Ne fui entusiasta. Non ero abituata ad essere gratificata, ma stavo davvero mettendo anima e corpo in quel progetto e speravo davvero che tutto andasse bene. Ore e ore a far quadrare i conti, notti insonni e caffè ingurgitati stavano finalmente permettendo che il mio lavoro venisse riconosciuto.

Ne valeva la pena.

Cinquecento euro.
Che sommati ai miei soliti compensi, senza straordinari, erani un bel incentivo.
Sarei tornata a casa quella sera e me ne sarei vantata con Marco, visto che non faceva altro da qualche settimana che parlare della O'Brian e del fatto che questo lavoro ci riempiva le tasche di bei soldi.

Questa Caroline era sempre nelle nostre vite.
Impicciona e autoritaria.

Telefonava ad ogni ora, lei e Marco discutevano in inglese di lavoro e, di tanto in tanto, percepivo un tono vagamente malizioso da parte di entrambi.
Lui la nominava di continuo, Caroline ha fatto, ha detto, ha pensato.
Io iniziavo ad avere qualche sospetto in merito a quel viaggio di lavoro, ma lo scacciavo via quando la sera mi prendeva nel nostro letto senza troppo chiedere il permesso.
Facevamo l'amore quasi ogni sera, ero stupita e sorpresa, ma compiaciuta che finalmente avessimo ritrovato un po' di intesa.
Avevamo anche smesso di litigare per le piccole cose, ci baciavamo di più e Filippo percepiva che l'umore era finalmente migliorato. 

Ma qualcosa puzzava di bruciato e di balle.
Una donna lo sente, sempre.

Inevitabilmente si finiva per discutere della sua prossima partenza. Ormai dicembre era alle porte e mi scocciava l'idea che partisse per le feste di natale. Non per me, piuttosto per la gioia di nostro figlio.
Lo pregai di rimandare con l'anno nuovo, nella speranza di essere assecondata.
Non c'era verso di fargli cambiare idea.

Nelle nostre vite qualcosa stava cambiando, non so se fosse solo la mia idea di lui o la fiducia che iniziava a vacillare.

Ma di una cosa ero certa.
Ci aspettava un nuovo anno e nulla sarebbe più stato come prima.

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