Epilogo

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Testa bassa.
Fissando le mie scarpe pensavo a tutto quello che avevo vissuto con quella bambina,
le lacrime mi punsero gli occhi;
no, non poteva essere giusto tutto quello.

-Pete, vieni andiamo a prendere un po' d'aria.- Disse Christine sottovoce.

-No.- Risposi.
-Cosa dovrei fare fuori?- Continuai con gli occhi persi nel vuoto.

Ogni angolo del corridoio di quel maledetto ospedale mi stava fissando, le mura gradualmente si stringevano attorno a me, sentivo ogni parte del mio corpo, sentivo di star male.

"Questo è il momento più brutto della mia vita." Pensai chiaro e tondo.
In quei momenti  ti capita sempre di pensare a cose stupide;
Ad esempio un mio amico, il giorno del funerale del padre, pensò che il bagno fosse troppo sporco e si mise a pulire mentre tutti, compreso lui, stavano piangendo per una morte.
È un meccanismo di difesa del cervello, almeno così stavo pensando allora, appunto perchè stavo pensando a quello.

Mi venne in mente quando cercai di parlarle il secondo giorno, dopo quella rapina.
Quando le regalai il mio braccialetto sorrise per la prima volta.
Un vortice di emozioni attraversava la mia mente.
Non era una questione semplice, molti avrebbero potuto pensare che non essendo mia figlia biologica, il dolore che stavo provando il quel momento fosse minore;
Io sentivo Sonia parte di me.
Quando mi tranquillizzavo, tornavo a soffrire perché pensavo che lei fosse qualcosa di intimamente mio, che mi appartenesse nel profondo.

Il mio corpo si rifiutava di pensare che quella magnifica storia fosse giunta al termine, io mi rifiutavo di pensare di dovermi separare dal mio angioletto.

-Signor Gavin.- Una voce fredda e tagliente pronuncio il mio cognome.
-Non possiamo- Cominciò tentennante.
-Non possiamo fare più nulla...- Concluse abbassando la testa.

Fu come se qualcuno chiudesse un baule pesantissimo davanti a me, e fu come se il rumore prodotto mi facesse trasalire.
Lentamente mi inginocchiai, continuando a fissare il nulla, il nulla più profondo, non riuscivo a pensare a nulla.

Lentamente scoppiai in un pianto disperato, insieme a me Christine rimase scossa alla notizia, lasciando che le lacrime le scorressero lungo le gote.

Diventai sempre più piccolo, più piccolo dell'ospedale, del quartiere e del mondo.
Diventai anche più piccolo di Sonia, ero troppo fragile.

Suor Anastasia era come se non ci fosse.
Da quando portammo Sonia in ospedale era come se avesse smesso di essere tra noi, ma alla notizia anche lei si abbandonò alla disperazione.

Non esistono parole per descrivere cosa si provi quando qualcuno ti dice che tua figlia morirà, non ce ne sono perchè quando qualcuno le inventò, non avrebbe mai pensato che un genitore potesse sopravvivere ad un figlio.

-Capisco il vostro dolore- Disse il medico.
-Però vi devo dire che potete vedere la bambina prima che...-
Non finì la frase, lasciò che noi capimmo cosa lui volesse dire, ciò fu un piccolo bene nel mezzo di quella voglia di morire.

Ci avviammo tutti insieme, ma prima che potessimo varcare la soglia della stanza, sentimmo una voce non troppo lontana alle nostre spalle:
-PETE-
Mi girai, in fondo al corridoio vidi un gruppo di persone tra cui Suor Paolina, che mi chiamò di nuovo.
Paolina si avvicinò a noi, le lacrime le scesero lungo il viso, e, come una calamita le nostre braccia si chiusero a vicenda l'uno con l'altra, finendo in un abbraccio spontaneo.

-Adesso- Singhiozzò Paolina.
-Adesso vai.- Concluse con la voce spezzata dal pianto.

Un muro si formò tra me e la porta da dove dovevo passare, ma presi coraggio, lo ruppi ed entrai.
Appena vidi la forma del suo corpicino attraverso le coperte, corrugai le sopracciglia in una smorfia di pianto.

UN CIELO BIONDO [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now