Capitolo 2

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In questi tre mesi trascorsi in questa nuova città non è accaduto nulla che mi faccia apprezzare questo cambiamento di vita radicale e ogni notte vado a dormire sperando di svegliarmi il mattino dopo nella mia vecchia casa.

Sto ancora dormendo quando un forte rumore mi sveglia.
Apro gli occhi di scatto e resto in silenzio nel letto, con la testa nascosta sotto il cuscino.
<< C'è nessuno in casa?>> urla qualcuno alla porta. È una voce femminile.
Io continuo a far finta di nulla sperando che la sua voce stridula smetta di far rumore.

Il suono dei suoi pugni contro la porta si ripete per altre tre volte. Decido di alzarmi e andare a vedere chi è colei che mi ha fatto iniziare la giornata con il piede storto. Poggio i miei piedi nudi e caldi sul pavimento gelido. Rabbrividisco e mi dirigo fino all'ingresso muovendomi sulle punte.

Mentre mi dirigo verso la porta di casa borbotto tra me e me e anche il mio vecchio gatto, Blacky, mi guarda perplesso.

Apro la porta e mi trovo difronte alla vicina insopportabile di cui tutti mi hanno parlato, la Signorina Mary Jane Foster, una donna sulla quarantina, bionda, che ha mollato il marito e con il denaro ottenuto dalla separazione ha deciso di dedicarsi alla sua più grande passione: il botox.
Tutte le donne del palazzo la odiano poichè lei prova ad ammaliare tutti gli uomini che le passano davanti e tra questi c'è anche mio padre.

Lei mi guarda da capo a piedi, con aria schifata e probabilmente non posso darle torto. Indosso un pigiama sgualcito e una maglia dei Queen che probabilmente avrà il doppio dei miei anni. I miei capelli, di un nero corvino, sono attorcigliati tra di loro e formano una vera e propria criniera.

<< In questa città non si usa suonare?>> le dico con tono scocciato, mentre mi sfrego velocemente gli occhi con i pugni.

Lei rimane per pochi secondi in silenzio, ancora impegnata a fissarmi. << C'è in casa tuo padre?>> risponde, senza tener conto a ciò che le ho detto pochi secondi prima.

<< Se vuoi dirgli qualcosa posso riferirglielo io >> dico.

<< No grazie >> replica << Probabilmente passerò più tardi, quando sarà di ritorno >>.

Gira i tacchi e si allontana, sbattendomi in faccia quel suo culone tondo che si muove appositamente da destra verso sinistra, da sinistra verso destra ad ogni passo che fa.
Si gira di scatto e il suo tacco sembra poter bucare il pavimento in legno da un momento all'altro. << Ah, ricordatevi di pagare l'affitto in tempo, almeno questo mese >> continua.

Io sbuffo e le chiudo la porta in faccia senza risponderle.

Mi dirigo così verso la mia camera, dove passo gran parte della mia giornata a guardare serie tv. Solo qui riesco ad isolarmi, sia dal rumore di quella città, sia da mio padre e dai suoi vizi.

Ho cercato di arredare la mia camera in modo tale da renderla il più accogliente possibile.
Ho appeso al muro i miei quadri preferiti e i miei disegni, che riempiono e colorano la mia stanza dai muri biancastri. Amo disegnare.
Al centro della mia camera, sotto la finestra, c'è il mio letto matrimoniale, senza spalliera e ogni mattina prometto a me stessa di dover cambiare la posizione di quel letto, poichè all'alba i raggi del sole iniziano a filtrare dalla serranda e si riflettono sul mio viso.

La mia finestra dà sulla strada principale, un viale alberato e sempre trafficato. Di fronte al mio palazzo c'è un pub, il Beagle, dove ogni weekend si riunisce la squadra di football di una scuola locale.

Alla destra del letto ho una cassettiera dove tengo i miei vestiti, anche se la maggior parte di loro sono lì affianco, poggiati su una sedia che si trova all'angolo della stanza.

Mi metto così sul letto, con il mio pc e Blacky, che mi segue ovunque e inizio la mia giornata guardando il mio telefilm preferito, Pretty Little Liars e resto qui fino all'ora di pranzo.

Il suono del campanello interrompe nuovamente quello che sto facendo.

<< Ma chi è a quest'ora? >> dico. << Blacky vai ad aprire tu?! >>.

Apro la porta ed è mio padre. Puzza di alcool e ha con se una busta piena di stampe dei suoi libri.
Ha passato tutta la mattinata a cercare un editore che li pubblicasse, ma guardando la sua faccia e sentendo quell'odore capisco subito che le cose non sono andate come voleva.

<< Hai preparato il pranzo?>> mi chiede, biascicando come tutti gli ubriachi fanno.
<< Non ho fame >> rispondo. Ho perso circa 5 kg dall'inizio dell'estate. Questo trasferimento ha avuto un impatto troppo forte per una ragazza fragile e insicura come me.

<< Piuttosto, hai visto come ti sei ridotto? Sono le 12 e sei già ubriaco marcio! >> dico.

Lui mi fulmina con uno sguardo. Nonostante sia consapevole della sua dipendenza dall'alcool, non sopporta il fatto che glielo faccia presente.

<< Senti bambina, fin quando sei sotto il mio stesso tetto non ti permetto di dirmi cosa posso o non posso fare. Sei proprio come tua madre. >>

È una frase che mi ripete sempre, ma per me ogni volta è una pugnalata allo stomaco. Io faccio parte di tutto quel gruppo di donne che lui considera come "oggetti" e come tale non posso metter becco nella sua vita.

Mi cambio al volo ed esco di casa. Forse una passeggiata per le vie di questa grande città mi farà bene.

Ora odio più lui che New York.

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