Capitolo 40

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<< Sid, ti vuoi svegliare? >>

La stanza d'hotel è ancora buia nonostante sia già mattina inoltrata. Ieri abbiamo trascorso l'intera serata a fare un tour dei locali in centro per festeggiare l'imminente rientro a New York e Sid aveva già perso lucidità dopo un paio di shot. Dopo aver ingurgitato diversi tipi di alcolici, ci siamo diretti in una discoteca che si trova a venti minuti di distanza dall'hotel.

Riesco a malapena a respirare poichè al disgustoso odore di fumo impregnato nei miei capelli, si aggiunge la sgradevole puzza proveniente da una macchia di vomito presente sulla maglia di Sidney. Continuo a strattonarla cercando di riportarla in vita, mentre Roxanne è intenta a preparare la valigia.
Scostando le tende, la luce riesce ad attraversare il vetro leggermente appannato ed i raggi si riflettono sul viso della mia amica.
<< Chiudete quella cazzo di tenda >>
<< Smettila e alzati! Devi prepararti, altrimenti ti lasciamo qui >>
Porta il cuscino sopra al viso, il quale fa da muro tra il sole ed i suoi occhi socchiusi.
<< Credo sia necessario buttar via quella maglia >> esclama Roxanne.
<< Non berrò mai più >>
Il suono della sua voce risulta ovattato a causa del soffice cuscino che ha portato sopra la sua testa.
<< Mmm, vedo dei piccoli residui di prosciutto cotto >> mormora Roxanne scrutando la maglia rosa shocking di Sidney.
<< Ma scherziamo? Ti prego, mi sta venendo il voltastomaco >> dico a voce alta portandomi una mano davanti la bocca e l'altra all'altezza dell'ombelico, come se volessi trattenere un conato di vomito immaginario.

Il rientro a New York è stato meno tragico dell'andata. L'ansia non mi ha abbandonata un secondo durante il le due ore di volo, ma Kyle ha cercato di anestetizzare questa brutta sensazione con la sua presenza.
Dopo aver salutato i nostri rispettivi ragazzi, io e Sid saliamo sul primo taxi libero ed euforiche della bella vacanza passata, raggiungiamo la nostra abitazione.
<< Amore, eccoti >> urla esaltata la madre di Sid. I suoi capelli biondi ed ondulati le arrivano fin sopra il seno e cerca di muoversi nella maniera più sensuale possibile su quei tacchi, ma sembra assomigliare più ad un tirannosauro impazzito. Noel invece, la aspetta sull'uscio della porta e quando i nostri sguardi si incrociano, da lontano, accenna un leggero saluto alzando il mento al cielo.
<< Dio mio, quanto è pesante questa valigia del cavolo >> dico lentamente mentre cerco di scaricare i bagagli.
<< Ti do una mano >> propone Noel fiondandosi in mio aiuto.
<< Ah certo, invece che salutare tua sorella ti preoccupi di scaricare le valigie >> dice Sid portando le mani suo fianchi e fingendo di essere arrabbiata con suo fratello, il quale si gratta un orecchio senza proferire parola. Lo fa sempre quando é in imbarazzo.
<< Sto scherzando, vieni qua! >>
Sid spalanca le braccia pronta ad accogliere suo fratello.

Percorriamo le innumerevoli scale del palazzo e l'odore di casa si fa più intenso mano a mano che mi avvicino all'ingresso del mio appartamento.
<< Com'è andata? >> chiede Noel con tono affaticato, trascinando su per le scale la valigia di Sid da un lato e dall'altra parte la mia.
<< Bene, avresti dovuto esserci >> risponde Sid << dovrò aggiornarti riguardo molte cose >> continua, accennando un sorriso malizioso. Il rapporto che hanno è quello che avrei voluto avere con mio padre. Si, proprio lui. Infondo è l'unica persona che conosce tutti i miei lati.
<< Dai, lasciala a me >>
Cerco di strappargli il bagaglio dalle sue mani allungando una mano verso di esso, appena dopo aver visto una piccola goccia di sudore attraversare la fronte di Noel.
Giunti al loro piano, li saluto e proseguo salendo l'ultima rampa di scale che mi separa da casa mia.

Tutto è rimasto com'era: il cigolio della porta di ingresso che puntualmente stride appena la si apre un pò, il copri divano azzurro che sembra avere qualche macchia giallastra in più, i cuscini gialli sulla quale si depositano i peli di Blacky.
È posizionato supino sul pavimento in legno difronte alla finestra della cucina, proprio nel punto in cui batte il sole. Il rumore violento del portone che si chiude di colpo, lo fa sobbalzare. Lo stringo forte e qualche pelo finisce sul maglione azzurro acquistato a Santa Monica.

Tutto è al proprio posto, tranne mio padre. Ripeto il suo nome ad alta voce e l'eco si diffonde all'interno delle quattro mura dominate dal silenzio.
Spoglio la candela della carta che la riveste e la posiziono sul comodino in legno. L'odore di vaniglia fa fatica a diffondersi proprio come io faccio fatica a credere a tutto ciò che mi è accaduto nei giorni precedenti.
Il mio corpo viene risucchiato dal morbido piumone che riveste il mio letto e guardo un punto a caso del soffitto. Chiudo gli occhi e riesco ad immaginare il rumore delle onde che si ripercuotevano sugli scogli durante quella notte magica.

<< Sei tornata? >>
Mio padre mi guarda restando immobile, come se avesse visto un fantasma.
Mi alzo di scatto e resto seduta ad osservarlo.
<< Si, circa un'ora fa >> dico sfregando un occhio con la manica del maglione.
<< Come è andata? Avete vinto? >>
Anche la mancanza di euforia è rimasta uguale, insieme a tutto il resto.
<< I ragazzi hanno perso, ma Santa Monica è bellissima. Vorrei tanto ritornarci un giorno! >> rispondo alzandomi e apro la tasca laterale della valigia estraendo un piccolo portachiave che ho acquistato in aereoporto.
<< Tieni, questo è per te >> continuo, porgendogli il piccolo pensiero.
Quando mi risvegliaii dallo stato di coma, dovetti affrontare un paio di mesi in riabilitazione. Nel frattempo vedevo uno psicoterapeuta, il quale venne ovviamente a conoscenza della mia condizione famigliare.
<< Tu e tuo padre dovreste fare dei piccoli passi l'uno verso l'altro, Charlotte. >>
Il breve periodo di lontananza da mio padre mi ha fatto riflettere sulle sue parole e mentre vagavo per le vie californiane ho voluto mettere in pratica il suo consiglio.
<< Una ruota panoramica... >> risponde osservando e girando più volte l'oggetto.
<< Si è uno dei simboli che rappresenta la città >>
<< Grazie >> esclama accennando una sorta di sorriso e si allontana dalla stanza per rispondere al telefono che squilla.

La conversazione tra noi due, è stata la più lunga e soprattutto priva di parolacce che riesca a ricordare. Il cuore continua ancora a battere a causa dell'agitazione e l'emozione provata in quell'istante si concretizza attraverso una piccola lacrima di commozione.
Alzo la manopola della doccia girandola verso il lato colorato in rosso.
<< Non posso chiederle nulla, smettila >>
Il rumore dei passi di mio padre si fa sempre più svelto e pesante.
Poggio un orecchio alla porta e cerco di ascoltare le sue parole.
<< Lei non sa nulla e non è al corrente di ciò che è accaduto tra noi anni fa, sapevo che non avreì dovuto fidarmi di te! >>
Mi porto una mano al petto e l'altra a coprire la bocca con la paura che qualche suono involontario possa fuoriuscire da essa.
<< No, no... ora è in bagno stai tranquilla. >>
Le sue nocche battono sul legno ed il rumore è così assordante che per un attimo ho il terrore di aver perso l'udito.
<< Charlotte, sei qui? >> chiede dall'altro lato della porta che ci separa .
<< S-si >>
Le parole fanno fatica ad uscire e la voce tremolante rende il tono della mia voce lieve, così basso che non riesco ad esser sicura che abbia sentito la mia risposta.

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