Capitolo 2

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« Chi sa dirmi qualcosa sulle Crociate?» chiedo agli alunni, che subito puntano i loro occhi per terra.
Come sempre, la ragazzina in fondo al banco alza la mano. Le faccio segno di rispondere, mentre mi siedo sulla cattedra, ricevendo uno sguardo ammiccante dalle ragazze più esperte.

«Furono una serie di guerre combattute tra l'XI e il XIII secolo, fra eserciti di cristiani europei ed eserciti musulmani» risponde la ragazza, senza mai guardare nella mia direzione.
«Bene, signorina» mi affretto a cercare il registro di classe, per ricordarmi il suo cognome.
«Cerchi nella lettera S ... come sfigata» risponde la bionda ossigenata, seduta ai primi banchi, mentre tutti iniziano a ridere.
Poso lo sguardo su ognuno di loro, che smettono immediatamente di ridere, tornando a guardare il libro.
«Quella lettera la tengo per voi, per ricordarmi che branco di stupidi che siete.» Dico, mentre sul volto della ragazza compare un veloce sorriso. Direi addirittura che sia stato più veloce del mio.
«Qualcun altro sa dirmi qualcosa in più?» chiedo ad alta voce, mentre tutti fingono di leggere.
«Bene, perché oggi interrogo.» Aggiungo, mentre il silenzio viene spezzato dalle voci degli studenti.

Il ragazzo davanti a me conosce la storia, quanto io conosco quella del cellulare.
«Pensi che fare scena muta ti salverà dal tuo quattro, o pensi che possiamo arrivare a un cinque?» chiedo, mentre il ragazzo sbianca per il voto che avrebbe preso.
«Professore, mi abbasserà la media. E in settimana prossima c'è il torneo. Se mi dá quattro, il coach non mi farà giocare» prova a dire lui, mentre prendo il suo libretto dei voti.
«Carl, la tua media è giá così bassa, che nemmeno un miracolo potrebbe salvarti.» Rispondo, mentre gli studenti riprendono a ridere.
La campanella suona, mettendo fine a questa tortura. Restituisco il libretto al ragazzo.
«Aspetti!» dico rivolgendomi alla ragazza, che come sempre esce per ultima.
«Julya Roder» pronuncio il suo nome, mentre lei mi fa segno di sì con la testa.
Mi fermo a guardarla, cercando di capire perché gli altri la chiamano sfigata, visto che davanti a me ho una ragazza come tutte le altre.
Jeans, le solite Converse che tutti portano ; giacca in pelle, iPod in mano con le cuffie colorate.
«Domani c'e una verifica a sorpresa» le dico. E per la prima volta alza lo sguardo su di me.
«Pe-perché me lo dice?» chiede, abbassando subito lo sguardo verso il pavimento. Più la guardo e più mi sembra strana ; è diversa dalle altre.
Ma forse è la fame a farmi vedere cose che non esistono.
«Sei la mia miglior alunna. Non vorrei che la tua media si abbassasse.» Affermo, prima di farle cenno di andare.
Devo allontanarmi, la mia fame si sta facendo sentire. Sono giorni che non mi nutro come si deve.

In un attimo sono lontano dalla città, diretto verso l'ampia foresta per cacciare.

"Un vampiro ha bisogno di sangue".

E io ne ho bisogno, così tanto, anche se non voglio fare una strage.
-Avrei dovuto fare richiesta per avere nuove sacche di sangue umano- penso mentre afferro un cervo, infilando i miei canini all'interno della sua gola.
La mia caccia va avanti fino a tarda sera, finché non decido di tornare a Winnemucca.
Cammino nelle buie strade della città, mentre continuo a chiedermi come possa abitare qui.

Un Puro che abita in un posto sperduto del Nevada, non si era mai sentito.

«Ehy! Gurda dove vai!» la voce della ragazza che è caduta davanti a me, fa staccare la mente dai miei pensieri. « Professore!» esclama, prima di accettare la mia mano per rialzarsi.
«Julya Roder» mi affretto a pronunciare il suo cognome  « Cosa fai qui a quest'ora?» chiedo, mentre lei cerca di ripulirsi il pantalone.
«Lavoro. Cioè, ho finito il turno e sto tornando a casa» si affretta a spiegare.
«Dove?» domando curioso.
«Al Butch.» specifica mentre la guardo, non comprendendo di cosa stia parlando.
«Dove abita?» domando, mentre lei alza gli occhi verso il moi volto.
«Io... abito a tre isolati da qui. Vado, che si è fatto tardi.» Risponde, e alzo la mano per salutarla.
Lascio che mi sorpassi, per poi girarmi nella sua direzione.
«Aspetta, ti accompagno.» Propongo, camminando affianco a lei.

Sento i battiti del suo cuore, ogni vena del suo corpo è un richiamo per me. Cerco di pensare ad altro.
«Si trova bene qui? So che si è appena trasferito» domanda, mentre io inizio a sentire uno strano nodo alla gola.
«Uhm, non male.» Replico, cercando di pensare ad altro. Sento i canini voler uscire, ho bisogno di quelle dannate sacche di sangue.
Arrivare a casa sua è un miracolo per me, non sarei riuscito a resistere ancór di più. Non le lascio nemmeno il tempo di ringraziarmi, e me ne vado via.

Mi dirigo verso Las Vegas, più veloce che posso, in direzione della clinica privata.
In un attimo sono dentro, alla ricerca delle sacche, che lui avrebbe dovuto lasciarmi.
«Daniel, sei tu?» la voce del dottore alle mie spalle mi fa voltare, mostrandomi nella mia forma da vampiro.
Lui mi guarda con una finta sicurezza, ben sapendo cosa avrei potuto fargli.
«Aspetta, tieni» mi ferma, passandomi la sacca..
Inizio a berla, mentre la mia gola si bea di quel gusto dolce. I canini tornano al loro posto, e il mio viso riprende la forma umana.
«Da quanto non mangi?» domanda Louis, passandomi la terza sacca.
«Da due giorni.» Rispondo.
«Strano, di solito riesci a resistere anche per una settimana. È successo qualcosa?» cerca di farmi parlare.

Avevo conosciuto Louis in uno dei miei viaggi. Anzi, precisamente in Brasile.
Ero lí da poco, lui si era appena laureato, ed era in vacanza. Quella sera vide cosa ero capace di fare. Era a conoscenza del mio segreto.
Avrei dovuto ucciderlo, succhiargli tutto il suo sangue, ma non lo feci.
Per un attimo vidi in lui qualcosa: era diverso.
«Daniel, per caso hai ucciso qualcuno?» domanda, mentre mi ripulisco le labbra.
«Se avessi ucciso qualcuno, di certo non sarei qui!» affermo con convinzione, mentre usciamo fuori dal laboratorio, dirigendoci all'uscita secondaria.
«Ci sono dei documenti da firmare.» Mi informa mentre prendo una sigaretta, che fumo solo per il gusto di farlo.

Non è vero quello che si dice di noi: possiamo bere e mangiare cibo umano. Certo, non proviamo lo stesso gusto degli umani, ma almeno non ci fa sentire diversi
«Sei tu il dottore.» Replico.
«Sì, ma tu sei il proprietario della clinica.» Ribatte, prendendo la mia sigaretta e buttandola a terra.
«Ho bisogno di più sacche. Comincerò a venire due volte alla settimana.» Lo preparo, prendendo un'altra sigaretta.
«Daniel, ti devo parlare. Io...» prova a dire.
«Auguri e figli maschi» Precedo la sua domanda.
«Sì, ma c'è dell'altro. Voglio che tu mi faccia da testimone.» Si piazza di fronte a me.
«Sei impazzito per caso, ti ricordi cosa sono? Tutti quegli umani.» Provo a giustificarmi, mentre lui mi guarda, come se mi avesse scoperto a rubare caramelle!
«Sei un professore, hai un intero college, eppure pensi di essere capace di uccidere al mio matrimonio?»
Mi siedo sulla panchina, mentre butto fuori il fumo, guardando davanti a me.
«Non hai amici, fratelli. O non so, un cane?» parlo, mentre la sua mano si posa sulla mia spalla.
«Daniel, ci conosciamo da dieci anni. L'unico di cui io mi fido sei tu. Se mai dovesse succedermi qualcosa, è a te che consegnerei la mia vita.»
Le sue parole sono un colpo allo stomaco. Non che mi abbiamo ferito, anzi, ne sono felice. Mi sento emozionato per la sua dichiarazione da umano.
«Non dovresti.» Provo a dire, mentre sul suo viso appare un sorriso.
«Tra un mese, ricorda ! Non vestirti con gli abiti dell'800, uno smoking nero andrà bene.» Mi avvisa e si allontana da me.
Sparisco tornando a casa, alla villa che ho battezzato casa, mentre la mia mente immagina quelle labbra, quel calore che mi ha fatto sentire strano poche ore fa.

ETKEN - l'ultimo Principe Where stories live. Discover now