ventiquattro

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Praying, Kesha

A Bath piove oggi, e lo fa così intensamente che sentiamo le gocce rincorrersi e imbattersi contro l'asfalto da dentro il locale. Fa ancora freddo, nonostante le temperature si siano alzate nell'ultimo periodo.

Darlene se n'è andata poco fa, è passata prima che il turno di Matt finisse. Io ne ho fino alla chiusura, ma è venerdì e va bene. Harry è seduto in fondo e sta scrivendo qualcosa che ancora non conosco sul suo taccuino; un bicchiere quasi completamente pieno è accanto alla sua mano che veloce si muove sulla carta.

Qualche volta lo guardo, e sono sicura che anche lui guardi me. Lo sento.

Darlene mi ha chiesto di lui. Quando è venuta Harry non c'era ancora, ma ha visto il modo in cui mi ha guardata quando è arrivato. E poi ha visto me.

Siamo usciti ancora dopo quella volta a casa sua, e ognuna delle successive è stata diversa. Non posso dire se durerà e quanto, cosa siamo, e in realtà non lo voglio neanche. Mi basta quello che abbiamo, averlo vicino nel modo di cui ho bisogno. Mi basta guardarlo scrivere, ascoltarmi, sentire lui parlare, stare in silenzio.

Sto bene, e dopo tanto mi sembra di tornare a respirare. Il fondo non sono ancora sicura di averlo abbandonato, ma sto risalendo. Piano, lentamente, ma ce la sto facendo anche stavolta.

Nonostante il tempo però le persone continuano ad entrare nel Midnight; c'è chi si rifugia dalla pioggia e chi ci è finito per caso, poi c'è chi di questo locale ne ha fatto un'abitudine e difficilmente ci rinuncia. Con me c'è George, ma il ragazzo che entra chiudendo le porte dietro di sé e con un cappuccio scuro sulla testa viene verso il bancone, quindi dovrò servirlo io.

Del suo volto riesco a vedere poco fino a quando non si siede, ma c'è qualcosa nei suoi movimenti che ne riporta a galla altri, quelli che ormai sono solo ricordi consumati dal tempo. Alla fine alza il volto e si scosta il cappuccio, ed è adesso che lo riconosco.

Mi guarda, ma è meno sorpreso di quanto mi aspettavo quando anche lui riconosce me. È bello, e se non fosse per i capelli che adesso sono più corti sembrerebbe la stessa persona che era quando credevo che lui avrebbe potuto fare la differenza nella mia vita.

«Mia?» domanda, un accenno di sorriso sulle labbra. Io invece le stringo e le contraggo, poi ricambio debolmente il suo sorriso.

«Froy.»

«Non sapevo che lavorassi qui» dice, e io vorrei dirgli che non è mai stato compito suo sapere cosa facessi e dove fossi. Vorrei replicargli la domanda per chiedergli perché avrebbe dovuto saperlo, ma mi limito soltanto a scrollare le spalle e a rispondergli nel modo in cui forse la vecchia Mia non avrebbe fatto.

«Lo sai adesso.»

«Beh» inizia, la voce sottile e dolce che usava per parlarmi ogni volta, anche quando voleva farmi male. Lo nascondeva così, ma io non lo sapevo. L'ho capito solo dopo, solo quando era troppo tardi. «Come stai?»

Io lo guardo prima di rispondergli. «Sto bene. Tu?»

Froy sorride e non so bene perché, dopo tutto questo tempo non ho mai imparato a leggerlo nel modo in cui avrei dovuto, in quello in cui avrei potuto preservare me stessa da quello che sarebbe venuto dopo.

«Non cambi mai, Mia. La tua armatura è sempre lì» sostiene e io distolgo lo sguardo dal suo. È in questo momento che incontro quello di Harry, fermo su di me e sul ragazzo che ha spezzato ogni singolo frammento del mio cuore.

«Sto bene anch'io» continua Froy e io riporto l'attenzione su di lui, poi continuo a lavare i bicchieri dietro il bancone quando non dice altro.

«Ti porto qualcosa?» gli domando io, perché non ho ancora capito quali siano le sue intenzioni. È entrato in questo locale a prescindere da me, ma il modo in cui sento il suo sguardo addosso mentre mi muovo mi mette a disagio, mi da fastidio.

Froy ha entrambi i gomiti poggiati sul bancone, i capelli sono ancora leggermente umidi sulle punte e si è tolto la giacca di pelle. «Quello che vuoi, decidi tu.»

Io annuisco e la mia mente inevitabilmente parte, torna a una Mia diciassettenne e torna a quello che piaceva a lui, a quello che nonostante tutto ricordo ancora. Mentre preparo il drink a Froy alzo lo sguardo e cerco quello di Harry, perché ho bisogno che mi dia la certezza di esserci, che io non sono sbagliata, anche se della situazione e di lui non sa niente.

Faccio scorrere il bicchiere tra le mani di Froy e dopo averne bevuto un lungo sorso mi guarda. «Sapevo che non l'avevi dimenticato.»

Vorrei avere il coraggio di rispondere a Froy che forse è vero, forse alcune cose non sono cambiate e non cambieranno, che ce ne sono altre che probabilmente non dimenticherò mai perché non ci riesco, solo che Harry viene verso il bancone prima che io riesca a trovare quel coraggio che mi manca. Mi passa il bicchiere vuoto, e so che lo ha fatto di proposito, perché lui non beve mai tanto; l'unico bicchiere che gli riempio se lo fa bastare sempre per tutta la sera.

Sospiro e non dico niente, poi Harry guarda Froy e lui dopo qualche istante fa lo stesso. Non ci sono parole, non ce n'è bisogno.

Froy scuote la testa e abbassa lo sguardo con ancora il bicchiere tra le
mani, un angolo delle sue labbra si solleva verso l'alto. Poi guarda me. «Credo di essermi perso qualcosa.»

«Ti sei perso tante cose, Froy» gli rispondo guardandolo, un sorriso sulle mie labbra che di felice non ha niente. «Non sono più la Mia che ricordi tu, quella di cui prendersi cura silenziosamente. Adesso da sola ce la faccio.»

Froy mi guarda senza più il sorriso sulle labbra e lo stesso fa Harry, ancora davanti al bancone. Ha ascoltato anche lui le mie parole, le ha sentite anche se io non lo stavo guardando. Poi Froy prende il suo bicchiere e lo svuota completamente, si solleva piano dallo sgabello e recupera due banconote dalla tasca posteriore dei pantaloni che indossa. Guarda Harry per qualche istante, poi si alza definitivamente e guarda me. Mi guarda in modo diverso, in un modo in cui forse prima non mi ha mai guardata. Mi guarda e mi vede.

«Spero che tu sia felice, Mia. Contrariamente a quello che tu pensi e che io ti ho dimostrato, a te ho sempre tenuto. Prenditi cura di te stessa» dice, e quando lo fa io qualcosa lo sento ancora; dura poco, però lo sento. Io a lui tenevo più di quanto fossi disposta ad ammettere.

Esce dal locale dopo aver rialzato il cappuccio della felpa sulla sua testa, chiudendosi la porta alle spalle e tornando sotto la pioggia incessante di Bath.

Harry è ancora davanti a me quando mi volto e torno a guardarlo, i suoi occhi già su di me. So che vorrebbe dirmi qualcosa, che anche se non fa domande vuole delle risposte, ma adesso io non riesco a farlo. Allora continuo a guardarlo, anche se sto ancora imparando a non vacillare sotto il suo sguardo, per il modo in cui ogni volta sembra scavarmi dentro quando lo fa. Perché Harry non è come Froy, Harry riesce sempre a vedermi.

«Io non ho bisogno di essere salvata, Harry» sorrido debolmente nel momento in cui lo dico, «non è ciò che voglio.»

Harry continua a guardarmi per qualche momento senza dire niente, poi lo fa anche lui in un modo diverso, in un modo che però non riconosco, solo che questo fa un po' male.

«Non volevo salvarti, Mia» sussurra, la voce bassa ma che riuscirei sempre a sentire anche sopra la musica del locale. «Volevo soltanto starti accanto, perché sappiamo entrambi che prima mi hai guardato in quel modo per un motivo. E io ti ho risposto, solo che tu hai sempre bisogno di credere a qualcos'altro, che la minima mossa verso di te sia sempre quella che ti farà cadere.»

Sento gli occhi bruciare leggermente, ho le labbra serrate mentre con il cuore che mi batte forte nel petto guardo l'unica persona che non avrei dovuto spingere via andarsene, non facendo niente per fermarlo quando esce dal locale chiudendosi la porta alle spalle senza neanche voltarsi un'ultima volta.

𝐔𝐓𝐎𝐏𝐈𝐀 [𝐇𝐚𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐞𝐬]Where stories live. Discover now