3- L'Album da Disegno

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Dopo tutto quel tempo passato a star seduti a non far niente, era finita. Finalmente! Il fondo schiena di Lance si era atrofizzato, giuro io per lui.

Non aveva neanche avuto il tempo di avvisare sua madre, e probabilmente ora la povera donna si stava chiedendo se suo figlio fosse morto o se fosse stato rapito dagli alieni.

"Potete prendere le vostre cose" comunicò il professor Zarkon, quasi dispiaciuto che la punizione dei quattro fosse finita così presto.

Lance fu il primo ad alzarsi: prese le sue poche cose con fretta e fece per filarsela, ma si trattenne, cadendo con la coda nell'occhio su uno strano dettaglio.

Kogane stava prendendo i suoi effetti, ed ispezionava scrupolosamente i suoi album da disegno, quasi per controllare che il professor Zarkon non ci avesse scarabocchiato sopra per dispetto.

"Quello... sono io?"

Tutti guardarono il cubano, essendo stato il primo ad aver detto qualcosa ad alta voce dopo ore.

"Credo di sì" rispose il moro, controllando il foglio con aria scocciata.

"E questo? Sono sempre io?" insistette Lance; indeciso se provare imbarazzo o divertimento.

Kogane era confuso. Ma diceva Lance, come faceva a non capire?

"Sì, suppongo di sì" disse, spostando gli occhi dal viso dell'ispanico al foglio.

"Perché disegni McLain di nascosto?" chiese Gunderson, la ragazza con gli occhiali rotondi, mentre metteva distrattamente i suoi affari elettronici nello zaino.
Lance la conosceva solo di sfuggita, nei corridoi si mormorava che fosse una hacker ricercata che aveva cambiato identità per sfuggire alla legge.  Non avrebbe faticato a crederci.

"Non lo faccio mica di nascosto. Sto studiando l'anatomia dei corpi in movimento"
Kogane li guardò, uno sguardo glaciale.  "Ho fatto qualcosa di male?" chiese poi con ironia.

"Non puoi disegnare la gente di nascosto" insistette Hunk, che era l'unica faccia familiare tra quella gente. Oltre ad essere storici compagni di progetto erano anche migliori amici da una vita.

"Non ho disegnato te te. Credo che ti capirei se avessi disegnato la tua faccia, cosa che non ho fatto; quindi, a meno che io non debba prendere questi fogli e stracciarli, cosa che non intendo fare, penso che andrò a casa mia"
Kogane si riprese una volta per tutte le sue cose e se ne andò, con passo affrettato e scocciato.

Chi sa se anche i suoi genitori erano preoccupati come quelli di Lance, pensò lui.

"Lascia stare Hunk, davvero, non ha fatto niente di male. Ci sono cose per cui vale davvero la pena discutere, ma questa non è una di quelle. Ci si vede in giro" disse.
Il ragazzone smise di fare il broncio e lo salutò allegramente.

Lance uscì, prendendo finalmente una boccata d'aria fresca, e solo in quel momento si ricordò che non aveva mezzi per tornare a casa. Il bus era partito ormai da un'ora e ci sarebbero voluti secoli prima che ne fosse passato un altro, e soprattutto un colpo di fortuna per trovare proprio quello che lo avrebbe portato sulla via di casa. La macchina? Niente da fare, l'aveva lasciata ai suoi genitori che avevano delle commissioni da fare. Hunk tornava sempre a piedi, quindi sarebbe stato inutile per i suoi scopi.

"Vuoi un passaggio?"

Kogane era seduto su una moto cromata, probabilmente un po' vecchiotta, ma per Lance era difficile dirlo (le moto non erano esattamente nei suoi interessi).

"...Keith, giusto?" disse Lance, alla cieca. Kogane era un cognome che ricordava, ma Keith... no, c'era qualcosa di sfuggente in quel nome. Sembrava il quello di una ragazza più che di un ragazzo come lui. Avrebbe dovuto chiamarsi Axel o Jackson o Blake. Di solito quelli così non si chiamavano tutti in quella maniera?

Il moro fece una finta faccia sbalordita, come aveva già fatto Pidge qualche ora prima.

"Oh mio dio, Lance McLain si è ricordato il mio nome"

Lance ridacchiò. "Davvero divertente" disse.

"Se preferisci puoi continuare a chiamarmi Kogane, come gli altri" fece il moro, scuotendo la testa con aria indifferente.

"Nah, io non voglio essere come gli altri"

"Lo vuoi questo passaggio sì o no?"
Keith gli lanciò un casco, rosso fiamma e Lance lo prese al volo.

"Non sai nemmeno dove abito" disse Lance, storcendo amabilmente il naso.

Il moro controbatté. "So perfettamente dove abiti. Ogni giorno torni con il bus e scendi alla sesta fermata, tre prima della mia"

"Mi disegni, sai dove abito... sei uno stalker?" ridacchiò.

Keith fece spallucce. "Solo un osservatore"
"Allora, caro osservatore, accetto volentieri il tuo passaggio"

Salirono sulla moto e Keith fece scaldare i motori, che ruggirono come un leone pronto a scattare sulla preda. Lance adorava il vento che gli gonfiava i vestiti, e quando la giacca della squadra della Garrison svolazzava dietro di lui, pareva proprio un mantello, ed il cubano si sentiva un supereroe.

"Casa tua" fece Kogane, dopo una manciata di minuti.
"Non c'era davvero bisogno" disse il cubano slacciandosi il casco.

"Be', dato che disegnare le persone senza il loro consenso può diventare un problema, suppongo sia il minimo"
"Non devi scusarti. Disegni bene. Benissimo, a dirla tutta" disse Lance.

Keith abbassò di scatto la visiera del caso, coprendo gli occhi. "Ci si vede in giro McLain" disse, e partì velocissimo sulla sua moto.

Lance non capiva, aveva per caso detto qualcosa di sbagliato?
Non importava, in quel momento entrare in casa era la priorità assoluta.

Girò le chiavi nella serratura, facendola scattare due volte.

Sua madre era sulla poltrona del salotto, mentre giocava con l'uncinetto, facendo passare un filo da una mano all'altra, all'uncino del gancetto e poi infilandolo con prodezza nella composizione (in questo caso solo un'umile presina).

"Lance! Ma dove sei stato?!" disse la madre, alzandosi di scatto.
Lo abbracciò, una reazione forse un po' eccessiva per così poco, pensò il ragazzo.

"Io... in punizione. Ero fuori dalla classe ed è successa una cosa strana. Nulla di grave, te lo giuro su chi vuoi tu"

Lei lo guardò con sguardo sospettoso. "Chi era il ragazzo che ti ha accompagnato? Non lo avevo mai visto prima" disse lei, raccogliendo i fili che erano caduti a terra.

Lance non sapeva che dirle. Come le avrebbe dovuto presentare Keith? Amico? Conoscente? Delinquentello che era stato in punizione con lui?


Alla fine, il cubano optò per la cosa più classica e sul vago, perfetta.
"È solo un mio compagno di classe, mamma. Keith Kogane, mai sentito parlare?"

"A Voltron Story"Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin