23- Il Cofanetto di Altean

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Delle labbra morbide gli sfiorarono il viso abbronzato, i capelli di lui gli solleticarono il naso ed il collo, procurandogli una risata.

Lance aprì gli occhi ed ebbe una specie di visione paradisiaca: Keith aveva il mento poggiato sul suo petto, la faccia bianca come il latte, gli occhi violetti, le guance un po'arrossate, e sorrideva leggermente, nascondendo le labbra con le braccia. La finestra della sua stanza era rimasta aperta, dopo che lui e Keith erano rientrati, ed ora il vento faceva ondeggiare le tende bianche, lasciando entrare i raggi del sole a vole sì e a volte no.

"Buongiorno" disse Lance, stiracchiandosi.
"Buongiorno" gli disse Keith.

Il cubano si dimenò un pochino per cercare di scrollarsi di dosso il texano, ma quello non la pensava allo stesso modo. "Posso alzarmi?"chiese, tenendosi su con i gomiti a stento.

"No" gli rispose Keith, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

"Posso baciarti?" chiese Lance, sorridendo. Keith fece finta di pensarci un per un po', poi alzò le spalle e rispose guardando da un'altra parte "Forse".

Lance si mise a ridere e prese con le mani la testa dell'altro, facendo aderire le loro labbra.
Keith poggiò le braccia intorno al collo del cubano, ma fu proprio questo a fregarlo.

"Be', direi che adesso il gioco è cambiato" disse trionfante l'altro: ora era lui a stare sopra al moro, che sorrideva beffeggiandosi dell'atteggiamento leggermente infantile che avevano avuto entrambi.

"E che cosa mi farai, McLain?"ghignò Keith, accarezzando il petto di lui e beandosi del fatto che gli piacesse dormire a dorso nudo.

Lance iniziò a baciargli il collo, poi sulle labbra, ed i due sarebbero potuti rimanere così per sempre, fregandosene di tutto il resto. Della scuola, dell'Impero Garla, del basket, del disegno, dei problemi, di tutte quelle cose che importavano a tutti, ma che non erano poi così importanti, o almeno non per loro.

Che d'un tratto il loro piccolo squarcio di paradiso terrestre venne richiuso.

"Lance, sei sveglio?"

Era la voce della madre di Lance, che veniva da dietro la porta chiusa. Lance sapeva che non sarebbe rimasta chiusa per molto.

"Oh cazzo"disse Keith, alzandosi di scatto e facendo rotolare dall'altra parte del letto il cubano.
"Porca puttana. Keith, entra nell'armadio. Adesso"

Keith eseguì gli ordini senza ribattere. Fece un balzo giù dal letto, trascinando con se parte delle lenzuola, aprì il grande armadio di legno coperto di polaroid e nella fretta di chiudere le ante, si chiuse pure due dita, trattenendo a stento una brutta bestemmia.
Lance acciuffò al volo il lenzuolo appallottolato a terra e lo sistemo alla meglio, mentre la porta della sua stanza si apriva.

"C'è qualcuno con te? Ho sentito delle voci"disse sua madre, entrando di prepotenza nella stanza con la sua solita tenuta da casalinga.

"Era... un messaggio vocale. Di Hunk. Mi ha chiesto se potevamo vederci. Oggi pomeriggio. Per studiare. Lo studio, hai presente, no? Brutta cosa, ma necessaria. Lo studio è importante. Viva la conoscenza!"ridacchiò il cubano, iniziando a straparlare come era suo solito fare in situazioni complicate.

Sua madre fece un vago cenno con la mano, iniziando a prendere le lenzuola si Lance per sbatterle fuori dalla finestra, per poi piegarle e metterle nel cesto delle cose da lavare che si portava dietro (cesto strapieno, aggiungerei).
"Certo, certo. Scendi a fare colazione? Oggi ci sono i chiuro con crema al cioccolato bianco"

Lo stomaco di lui fece un gorgoglio. Avrebbe davvero davvero tanto voluto mangiare quei buonissimi chiuro con la crema al cioccolato bianco che nella sua famiglia erano una specialità, ma non poteva. Non poteva proprio.

"A Voltron Story"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora