6. Il trofeo

246 22 32
                                    

Gli endar amavano la teatralità: accresceva la percezione che la gente aveva della loro potenza.

Comparvero dal fitto dei boschi: una lunga schiera orizzontale di ombre nere senza volto - che parevano un unico essere mostruoso - avanzava uniforme verso il centro del campo.

Agli spettatori del torneo parve fosse trascorso un attimo da che quella schiera era comparsa dal nulla ed era giunta di fronte ai bersagli, oscurandoli.

Se la paura non fosse stata tanto grande, forse una folla di cinquecentomila persone avrebbe potuto fermare quella scarsa dozzina di uomini. O, forse, essi non erano uomini e, anche dando il proprio massimo, quella gente non avrebbe potuto nulla contro di loro.

I poteri degli endar erano avvolti dal mistero: nessuno sapeva dire con certezza fin dove potessero spingersi. La gran maggioranza di quella folla li credeva capaci di polverizzare tutti i presenti con uno schiocco delle dita.
Nessuno aveva il coraggio di opporsi a quegli esseri sovrumani.

L'ignoranza e la paura procedono a braccetto, e niente era così forte come l'ignoranza in quella parte dell'Impero, dove il reggente aveva fatto sparire tutte le biblioteche e il loro intero contenuto.

Qualsiasi cosa gli endar avessero fatto o detto sarebbe stata accettata senza obiettare.
Le lamentele sarebbero venute, sì, ma soltanto dopo che gli endar fossero tornati nei boschi da cui erano apparsi.
Qualcuno, poi, avrebbe persino lodato la loro potenza o avrebbe giustificato la violenza dei loro metodi in nome di quella che si credeva l'unica salvezza dell'impero e che sembrava essere nelle loro mani.

La domanda che percorse la mente di coloro che per primi riuscirono a riprendersi dalla paura fu: "Che cosa vogliono i Mantelli Neri e quanto ci impiegheranno per andarsene?".

Quando gli endar furono arrivati a portata d'orecchio, si fermarono e si fecero finalmente sentire.

Evander avrebbe preferito che non l'avessero mai fatto.

Mai aveva sentito il mondo crollargli addosso come in quel momento, mai aveva provato su di sé la paura degli endar in quel modo, nonostante tutte le volte in cui il suo maestro aveva tentato di metterlo in guardia.

Con quella prima parola pronunciata dai Mantelli Neri, Evander seppe che quegli esseri gli avrebbero rovinato la vita.
A sentire Jonathan, lo avevano già fatto.

Pronunciarono un'unica parola, un nome.
Reymond Henx.

In un attimo, Evander fu certo che non lo avrebbe più rivisto.
Mai più.

«Reymond di Eythien. Siete stato scelto per servire l'Imperatore. Da questo momento intraprenderete la strada dell'endar».

E fu proprio in quel momento che Reymond lasciò cadere dalle proprie mani il trofeo che aveva così duramente conquistato.

Quel trofeo che gli aveva regalato un istante di pura gioia non poteva salvarlo dalla peggiore delle sorti: diventare un endar.

E, nel preciso istante in cui il trofeo, simbolo di tutte le sue speranze distrutte, toccava terra, Reymond si voltò e cercò fra la folla lo sguardo dell'unica persona che poteva capire il suo orrore.
Lo sguardo dell'unica persona che poteva avere il potere di salvarlo.

Evander scattò in piedi, unico fra tutti gli spettatori immobili sugli spalti, ma non osò parlare né far nulla.

E cosa avrebbe mai potuto fare, poi?
Il suo unico amico gli rivolgeva uno sguardo pieno di speranza, una richiesta di aiuto prima della fine, ma lui... quale aiuto poteva dargli?
Che cosa poteva fare un ragazzino, contadino e orfano, per impedire a quelle creature sovrumane e prive di scrupoli di far sprofondare la terra sotto i piedi del suo miglior amico?

Reymond fu portato via per sempre, senza che Evander potesse fare nulla per impedirlo.
Senza che lo stesso Reymond riuscisse a capire appieno ciò che stava accadendo e che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.

Ai suoi genitori era stato permesso di dirgli addio, ma né la madre né il padre riuscirono a farlo. Dalle labbra del padre uscì un flebile filo di voce disarticolato e senza senso, da quelle della madre un grido strozzato e un sospiro, mentre sveniva fra le braccia del marito.
Lei, forse, aveva capito più di tutti ciò che sarebbe avvenuto di suo figlio. E la prova fu che non si riprese mai da quello svenimento.

Tutto era avvenuto nel momento in cui la felicità di quella famiglia di contadini sembrava esser giunta al culmine. Per un attimo, Reymond aveva potuto assaporare la propria vittoria. Poi, quel dolce gusto di un sogno realizzato si era tramutato nell'amaro sapore del panico. E tutto era finito prima ancora di cominciare.

Cosa ne sarebbe stato, ora, della famiglia di Reymond? Di suo
fratello, di sua madre, di suo padre. Di Reymond stesso?
Il fratellino sarebbe stato portato via dalla zia, la madre si sarebbe ammalata di crepacuore, il padre sarebbe ricaduto nello stato di alcolizzato senza speranza.

Anche per Evander finì quell'epoca di popolarità e amicizia che per due anni lo aveva reso felice.
Da quel momento, il villaggio gli addossò la colpa della tragedia avvenuta in casa Henx, e nessuno gli dimostrò più la cordialità di prima. Anzi, ripresero a odiarlo ed evitarlo ancor più di quanto avessero fatto prima dell'uccisione del lupo.

Dappertutto, al suo passaggio, si sentiva dire:
«Ero sicura che sarebbe andata così, sin da quando quelli sono venuti a trasferirsi qui».
«Io l'ho sempre detto, che non c'era da fidarsi».
«Il ragazzino edresiano ci porterà sfortuna, come ha fatto con gli Henx».

Tutto il villaggio era convinto che, con i suoi libri, i suoi insegnamenti eccentrici e le sue idee ambiziose, Evander avesse portato sulla cattiva strada Reymond, facendo sì che egli divenisse interessante per i Mantelli Neri.
Qualcuno venne pure a dirglielo in faccia:
«É tutta colpa tua, se Reymond è stato portato via! Era un così bravo ragazzo, prima che arrivassi tu a rovinarlo!».

Evander fu certo d'essere colpevole sin dalla prima di quelle frasi che sentì.

Si addossò tutta la colpa, ne pianse per giorni, e smise di farsi vedere nel villaggio. Non perché non volesse essere insultato o trattato male, ma perché non voleva obbligare il villaggio alla sua compagnia o alla sua sola vista, come se fosse indegno di stare in mezzo alla gente.

L'ultima volta che fu visto in città fu quando si presentò alla porta degli Henx.
La gente pensò che fosse senza vergogna, a presentarsi in quel modo ai genitori del povero Reymond. Ma Evander vi era andato per implorarli di perdonarlo.

Non fu fatto salire.

Rimase per ore di fronte a quella porta trattenendo le lacrime, con gli occhi fissi sulla maniglia, sperando di vederla girare sui cardini, ma invano. Non un segno di vita, da quella casa. Le finestre e la porta rimasero chiuse e oscurate.

Il giorno dopo si venne a sapere della morte della madre di Reymond.

Tutti piansero per il povero fratellino che, a soli tre anni, aveva perso metà della famiglia. E tutti furono altrettanto d'accordo sul sostenere che quella nuova sventura fosse accaduta per la maledizione che Evander aveva portato sulla casa degli Henx. Non era certo una coincidenza che il giorno precedente Evander fosse stato visto di fronte alla porta degli Henx per più di sei ore, immobile e con lo sguardo fisso, probabilmente intento a recitare mentalmente un qualche malocchio. Fu additato per le strade come un assassino o come un demonio. E gli venne intimato di stare alla larga da tutti i bambini del villaggio, a iniziare dal fratellino di Reymond.

Lo stesso Jonathan, pur sollevato che il villaggio non fosse più tanto curioso e ficcanaso nei loro confronti, non riuscì a non dispiacersi della sofferenza del ragazzo.

Per riprendersi dal rimorso, dal senso di colpa e dal senso di vuoto, Evander ogni giorno faceva una cosa molto avventata, all'insaputa del suo maestro: tentava la sorte, affrontando di nuovo la foresta.

La Notte Verde non era più sua nemica: era grazie a essa che la sua amicizia con Reymond si era saldata a dispetto di ogni presupposto.

Evander onorava la memoria di quella perduta amicizia entrando nella foresta e fermandosi appena il buio diveniva totale, poi si sedeva sul morbido tappeto di foglie per qualche minuto, a ricordare.
A volte restava anche un'ora o due.
Per fortuna, fino a quel momento, la foresta e i suoi abitanti lo
avevano lasciato stare.
Ma chi poteva dire per quanto ancora sarebbe durata quell'illusoria tregua?

Triplania- il predestinatoWhere stories live. Discover now