CAPITOLO 12

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Tra moli, giardini, panchine e calate guardavamo i tetti di Genova prendere vita al nostro passaggio. Una concentrazione incredibile di case e palazzi tutti colorati che ci seguiva.

Avevamo parlato piacevolmente del più e del meno lungo tutto il percorso. Di tante cose: dei nostri film preferiti, dei nostri hobby, dei nostri studi passati, fino a discutere delle sue prime impressioni su Genova. Era così piacevole stare con lui che mi pareva di conoscerlo da tanto tempo.

Aveva un non so che, che mi attraeva e mi conquistava nello stesso tempo. Mi meravigliai di scoprirlo.

Mauro non mi aveva mai fatto sentire così bene. Tra di noi le cose negli ultimi tempi si facevano più per un dovere che per un piacere, me ne rendevo conto. A volte avevo l'impressione che stare insieme fosse diventato più un obbligo che avevamo l'uno nei confronti dell'altra, che un desiderio.

Arrivati nei pressi della Chiesa di San Marco al Molo ci fermammo.

"Non ho mai visto qualcosa di simile. Da vicino è enorme!" esclamò Saverio quando ci avvicinammo alla grande gru di ferro che c'era a ridosso del mare.

"Pensa che è l'unica gru idraulica che è resistita fino ai nostri giorni. Una volta la utilizzavano per lo scarico e il carico delle merci. Ha più di cento anni" lo informai.

"E' impressionante!"

Lo guardai sorridere e mi resi d'un tratto conto che nonostante l'innegabile gradevole pomeriggio, tutto sarebbe finito presto. E avrei dovuto dimenticarmene e non pensarci più, per ritornare alla mia solita e frustrante vita.

Con un sospiro chinai il volto a terra avvicinandomi alla ringhiera che dava sulle barche e gli yacht attraccati. Per un po' il mio sguardo si perse all'orizzonte, assorto.

Avevo sbagliato a restare... avrei dovuto tornare a casa subito...

Appoggiai i gomiti al parapetto e lui mi raggiunse in silenzio. Avvertii i suoi occhi studiare da vicino il mio profilo, mentre pareva non trovare qualcosa di adatto da dire in quel momento. Percepiva che c'era qualcosa che mi impensieriva, che avevo bisogno di spazio e lo rispettava.

"Una volta mi sarebbe piaciuto viaggiare per il mondo" feci malinconica, "Era il mio sogno da ragazzina..." il mio sguardo rimase fisso, lontano "Non sai quanto l'ho desiderato!" confessai nostalgica, "Fare uno zaino con poche cose e prendere un aereo, una macchina, un treno... non importava cosa, purché mi portasse lontano. Alla scoperta del mondo... Ma è stato tanto tempo fa. In realtà non mi sono mai mossa molto. La mia vita non è stata poi così avventurosa..." riconobbi sconsolata.

"Che cosa ti ha fatto cambiare idea?" domandò interessato. Incrociò le gambe e appoggiò la punta della scarpa a terra, sistemandosi meglio accanto a me, con i gomiti alla ringhiera.

"Semplicemente ad un certo punto non ci ho più pensato. Non so nemmeno io il perché. So solo che col tempo le cose sono cambiate..." risposi intrecciando le mani, "Cresci, ti impegni a diventare la persona che dovresti essere e senza sapere come... ti ritrovi grande..." scrollai le spalle rassegnata, "... Soltanto non ti sembra più così importante. E rinunci a farlo..." ammisi tristemente, "Tutto qui..."

"Si può viaggiare per il mondo anche da grandi! Non dovresti tralasciare l'idea di farlo"

Rimasi taciturna qualche istante, prima di voltarmi a guardarlo con più insistenza del dovuto.

"Non sarebbe più la stessa cosa, temo... Adesso la voglia di andar via non avrebbe più lo stesso entusiasmo..." risi a fior di labbra nel dirlo, "Con tutti i casini che ho in piedi... è più simile a un bisogno... non so se mi spiego..."

"Un giorno... qualunque"Where stories live. Discover now