Capitolo 19 |Come nebbia che scivola

521 48 0
                                    

Il sole cercava di nascondersi dietro le nuvole, troppo sottili per non far filtrare i raggi tiepidi.

Kassandra aveva ormai raggiunto il boschetto e ora correva tra le sterpaglie. A volte saltava da un tronco di un albero all'altro. Le piaceva quella sensazione di libertà mai provata.

Sapeva di esser seguita, ma sapeva anche che fra lei e i suoi inseguitori vi era una netta distanza.

Il cuore pulsava con vigore nel suo petto, accompagnando il rumore ritmico delle sue zampe che battevano sulla terra umida. Qualche volta i raggi del sole riuscivano a raggiungerla, illuminandole il folto manto nero. I denti bianchi erano ben in vista, e la lucentezza contrastava vivamente con l'oscurità della folta pelliccia. Il verde delle sue iridi era quasi scomparso, soffocato da un rosso scarlatto.

Lei sentì un ululato, lontano centinaia di metri, che esprimeva preoccupazione. Doveva essere di Sebastian. 

 Rallentò per un attimo.

Quell'ululato le chiedeva di fermarsi, ma non poteva farlo o le sarebbero state tolte quella velocità, quell'agilità e quella forza. Quel senso di libertà sarebbe probabilmente scivolato via assieme a quel senso di onnipotenza, come la nebbia che scivola giù per i pendii dei monti.

No. Nessuno le avrebbe tolto niente. Tutti quanti. Tutti le avevano mentito per lungo tempo, strappandola quindi dalla realtà che doveva invece vivere. La rabbia e lo sdegno le pulsarono nelle vene. Con un ringhio aumentò ancora di più la sua velocità.

In pochi minuti uscì dal piccolo boschetto. Mancavano un paio di centinaia di metri e avrebbe raggiunto casa sua. Non vi era traccia dei suoi inseguitori, e non fiutava nemmeno il loro odore.

Quando vide il salice rallentò. I rami di questo si muovevano lenti in una danza ipnotica. Kassandra si fermò sotto l'albero. Guardando il movimento delle fronde, i suoi muscoli si rilassarono e gli scalpitii del cuore pian piano rallentarono. Si arrampicò su di esso e, trovando la finestra aperta, con un balzo entrò.

Prima di atterrare sulla moquette beige della sua stanza, riprese le sembianze umane. I capelli le ricoprivano la schiena nuda. Dopo aver chiuso la finestra guardò il suo riflesso allo specchio attaccato alla parete: le guance erano arrossate e riprendevano il colore delle labbra carnose. Le iridi presentavano ancora bagliori cremisi.

Si guardò attorno, alcuni dei suoi disegni erano per terra, evidentemente, con la finestra aperta, qualche folata di vento li aveva buttati giù dalla scrivania. Si piegò per raccoglierli e gli angoli della bocca le si piegarono verso il basso quando vide la figura di sua madre disegnata con il carboncino sul foglio. Accanto a lei vi era disegnato un uomo sorridente, l'uomo che Kassandra aveva sempre creduto fosse suo padre.

Ai piedi dei due vi era un grande anello che rifletteva i loro visi in maniera distorta: lei, infatti, anziché avere un'espressione serena ne aveva una angosciata e si stava cucendo la bocca con ago e filo, lui anziché guardare la moglie con un sorriso amorevole, la osservava sorridendo malvagiamente.

Kassandra raccolse tutti i disegni e li mise dentro un cassetto della sua scrivania bianca, poi andò al suo armadio e prese una maglietta e uno slip. Mentre si stava infilando la mutanda, sentì un ululato. Era ovvio. Prima o poi, fiutando l'aria, l'avrebbero raggiunta, e infatti eccoli lì. La ragazza alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Perché non la lasciavano in pace?

Ringhiando aprì la finestra, poi urlò contro Cristopher e Sebastian
–Lasciatemi stare. Io me ne sto nel mio e voi nel vostro. Io non disturberò voi e voi non disturberete me. Non costringetemi a scendere–

I due la guardarono, non sembrava minimamente volessero ascoltare le sue minacce. I suoi occhi si fecero due sottili fessure. Saltò giù dalla finestra e atterrò con grazia dopo aver fatto una capriola. La maglietta non era abbastanza lunga per coprirle le cosce.

Avanzava verso di loro con i pugni stretti e con la mascella serrata. Le iridi nuovamente rosse. Si fermò a un paio di metri dai due licantropi e disse ringhiando –Vi ho detto di andarvene. Non ho voglia di sentire le vostre merdate–

Il licantropo bianco tentò di avvicinarsi ma l'altro, Cristopher, gli si parò davanti scuotendo la testa. Quest'ultimo aveva il manto color mogano, ma il petto, l'addome e le zampe erano ricoperti da un pelo color champagne.

Gli occhi dorati di Sebastian la supplicavano di ritornare in sé. Ma lei non parve accorgersene. Sebastian era nella tipica posizione del ragazzo vittima di una donna in balia degli ormoni legati all'arrivo delle giubbe rosse... non sapeva proprio cosa fare.

Christopher guardò per un'ultima volta Kassandra, poi si voltò e corse verso il boschetto seguito da Sebastian. Kassandra, con ancora i pugni serrati, li guardò sparire tra gli alberi in lontananza. Si voltò di scatto sentendo una fredda presenza.

Peter la guardava, a pochi centimetri da lei, con un'espressione disgustata dipinta sul volto. La sua pelle era pallida, quasi grigiastra e le vene bluastre, molto visibili, si diramavano lungo le guance e lungo le tempie. La pelle attorno agli occhi era livida, le labbra prive di colore. Gli occhi color nocciola erano le uniche cose che davano colore a quel viso.

–Anche tu puzzi peggio di un cane bagnato– sorrise quasi con aria di scherno, poi chiuse gli occhi e si grattò il mento –anche tu come loro quindi. E nessuno mi aveva mai detto niente. Quanta ipocrisia, fortunatamente ho imparato a non avere aspettative da nessuno–

Riaprì gli occhi e si portò una mano al collo. Kassandra seguì con lo sguardo il percorso della mano dell'uomo. Osservò quel collo che una volta aveva un bel colorito roseo.

Cosa gli era successo? Si domandò la ragazza corrugando la fronte. Il troppo bere? La droga forse? Scacciò via quelle domande dalla mente, poco importava. Non era un suo problema.

Quando però Peter tolse la mano dal collo, Kassandra vi scorse la cicatrice rossastra di un morso. Senza rendersene conto gli stava guardando il collo con una strana espressione sul viso, tant'è che Peter rise.

–Mai visto un morso di vampiro? Non ci credo!–

Kassandra con gli occhi sgranati e le labbra leggermente dischiuse indietreggiò confusa, mentre Peter la guardava con un sopracciglio alzato. Questi si mise la mano destra nelle tasca dei jeans consumati e tirò fuori un pacco di sigarette e un accendino.

Gli occhi nocciola accarezzavano con lo sguardo dapprima i boccoli corvini dei capelli, poi scivolavano lungo i fianchi e infine arrivavano alle gambe nude di Kassandra. Le dita agili invece sfilavano una sigaretta dal pacchetto e la portavano alle labbra incolori.

Accesa la sigaretta aspirò lentamente chiudendo gli occhi.

–Allora Kassy, come mai neanche tu mi hai mai detto niente riguardo tutto questo?– le chiese facendo uscire il fumo dalle narici.

–Non lo sapevo. Ho scoperto solo un paio di giorni fa di essere un...–

–Licantropo– finì la frase per lei

–Sì...–

–Tua madre? È stata lei a dirtelo?–

–No... un... un suo amico d'infanzia–

–Non dirmi che è lo stesso amico d'infanzia con cui mi ha tradito! Oh a proposito sai che io... beh tu ed io non...–

–Non siamo padre e figlia, sì. Lo so. Me lo ha detto il mio stesso padre... quello vero. E per la cronaca, no. Non è lo stesso amico d'infanzia–

–Uhm... ho capito. Ho capito.– fece un altro tiro e poi buttò giù. Il tutto con una lentezza snervante. –Sei arrabbiata con coloro che ti hanno nascosto tutto questo?– la guardò pensieroso.

Kassandra guardò il fumo che si sollevava piano piano. –Sì. Molto–

Peter sorrise con finta innocenza.

–Seguimi, parliamo un po'–

LykaiosDonde viven las historias. Descúbrelo ahora