Capitolo 4

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Arrivo a scuola 10 minuti prima, giusto per assicurarmi che il ricatto dei segreti avesse avuto effetto.

Noto che la porta dell'aula riunioni non è chiusa bene, così decido di spiare cautamente dallo spiraglio. I posti erano esauriti e per questo la maggior parte degli studenti stava a sedere in terra o appoggiata alla parete.

Un sorriso compiaciuto mi sfugge, ma viene subito annullato dalla vista di Jenny e Nate che si abbracciano felici per merito mio.

Non mi aspettavo un riconoscimento, ma che la loro gioia di coppia sia dovuta ad una mia azione mi provoca un'orticaria tremenda.
Non appena vedo i presenti alzarsi, corro verso il mio armadietto per non farmi scoprire e per mia fortuna faccio appena in tempo.
Li sento ridere mentre passano alle mie spalle.

Devo fare qualcosa con quei due, non li sopporto più.

Chiudo l'armadietto e mi affretto a lezione.
Entro in classe non appena suona la campanella, saluto le ragazze con un cenno della mano e osservo per un attimo il mio posto.

No, ora o mai più.

Mi volto lentamente, osservando tutti i banchi. Perché non dare una piccola dimostrazione a Jenny di quanto può far male l'amore? Dopotutto lo faccio per lei, me ne sarà grata. Un giorno.

Mi metto difronte al ragazzino che ha preso posto nella fila dietro Nate e davanti a quella di Jenny.
<<Tu, alzati - ordino al ragazzo - forza! Non ho tutto il giorno>>.

Ovviamente fa come gli dico e si dilegua in un secondo, liberando il banco per me. Una volta sistemata, mi volto verso Nathan, rivolgendogli un sorrisetto malizioso.

La sua espressione era davvero buffa: doveva scambiarmi per pazza visto tutti i miei cambi repentini d'atteggiamento. Mi guardava con la fronte aggrottata, ma gli si leggeva in faccia la curiosità che aveva nei miei confronti.

<<Nate, riconosco di non essermi comportata bene con te. Sono qui per una tregua, che ne dici?>>
Attendo la sua risposta per qualche secondo, poi per fortuna arriva come avevo sperato.

<<So già che me ne pentirò, ma va bene>> acconsente.

Lancio uno sguardo fugace verso la mia vecchia amica che ci stava fissando con gli occhi ridotti a fessure, poi mi sporgo verso il banco di Nate, raggiungendo il suo viso.

<<Sembri un bravo ragazzo>> sussurro, tenendo i suoi occhi incollati ai miei, mentre oscillo lentamente la testa a destra e a sinistra.

<<Peccato che l'apparenza inganna e tu sei proprio come ogni altro stronzo sulla faccia della Terra, ma per fortuna le ho dato una piccola mano a capirlo>> gli sorrido fredda.

Jenny, essendo esattamente dietro di me, percepiva solo la vicinanza tra i nostri visi, poiché i miei capelli voluminosi le impedivano di vedere meglio. I movimenti che avevo fatto mentre distraevo Nate con le mie parole, erano ampiamente fraintendibili da una posizione come la sua. Credeva che ci stessimo baciando.

<<Ma di cosa stai parlando?>> Non appena finisce di fare la domanda, vede Jenny correre fuori dall'aula in lacrime.

<<Stronza>> ringhia non appena capisce quando è appena successo. Vedo i suoi occhi neri farsi più lucidi e la mascella irrigidirsi insieme ai suoi pugni.

<<Ti avevo avvertito di non metterti contro di me. Ora stai al tuo posto Iowa>> lo guardo altrettanto male. Mi alzo non appena il professore domanda cosa avesse fatto la ragazza che era appena fuggita in lacrime.

Senza perdere l'occasione di sistemare entrambi, dico al professore di essere in pensiero per lei e chiedo il permesso di andare a controllare come stesse. Lui acconsente e, prima che Nate possa intervenire, corro fuori dall'aula, andando dritta verso i bagni.

Come da copione, appena entro la vedo piangere fissandosi allo specchio. Le arrivo alle spalle, guardando il riflesso dei suoi occhi azzurri nello specchio.

<<So che fa male, ma non sarebbe successo se tu mi avessi dato ascolto. Resta al tuo posto Jenny, non voglio essere costretta a ferirti un'altra volta.>> Mi allontano lentamente, lasciandola sola con tutta la sua rabbia.

Ritorno in classe e mentre prendo posto lancio uno sguardo gelido a Nate, che aveva accusato duramente il mio colpo. Onestamente? Non mi dispiaceva nemmeno un po', anzi, questo gesto mi aveva dato sicurezza, quella sicurezza che era andata un po' scemando da quando lo avevo conosciuto.

Non ho mai permesso a nessuno di mettermi i piedi in testa e non avrei certo cominciato adesso.

****

Il giorno successivo passa in fretta e finalmente arriva il sabato. Solitamente esco il venerdì sera, ma ieri sera sono rimasta a casa ad aspettare mamma. Sarebbe dovuta tornare per cena, ma si è trattenuta a cena fuori con i suoi colleghi e ho finito per addormentarmi sul divano senza neanche accorgermi di aver saltato la cena. Ogni volta spero che abbia voglia di vedermi e che sia contenta di tornare a casa, ma non è così. Questo posto le ricorda la famiglia che non ha più. Mio padre ha lasciato il caos quando se n'è andato e mamma non è stata capace di affrontare la cosa. A volte penso che mi odi, che mi veda come un peso che la tiene incollata a questo posto.

Un tempo soffrivo molto per questo, piangevo in continuazione, soprattutto quando sentivo chiudere il portone e la vedevo allontanarsi senza nemmeno avermi salutata. Ora non è più così: sono abituata.

Sono le 9 di sabato mattina, nessuna delle mie amiche sarà sveglia, quindi decido di mettermi una tuta nera, leggings e top,  una felpa leggera sopra dello stesso colore e le mie McQueen bianche. Prendo solo telefono e chiavi prima di uscire a fare una passeggiata.

Scendo al piano di sotto e vado in cucina da Jacline, chiedendole di prepararmi un caffè e latte. Mentre lo bevo fisso la porta in silenzio.

<<La signora Georgia è uscita presto questa mattina, se vuole le dico che>> non la lascio finire <<No Jacline, non mi importa>>.

Sento che sospira dispiaciuta dietro di me. Lei mi vuole molto bene, nonostante il mio carattere. Credo che mi capisca, per questo i suoi occhi sono sempre dolci quando mi guarda, mi ha vista crescere e, insieme a Patrick, è l'unica persona che si è sempre presa cura di me. L'unica da quando anche mia nonna se n'è andata. Diciamo che lei e Pat sono tutto ciò che più si avvicina ad una famiglia per me.
Quando tornavo ubriaca mi accompagnava a letto e al mio risveglio trovavo sempre un bicchiere d'acqua e un'aspirina. Quando piangevo mi preparava una cioccolata calda e mi riempiva di complimenti per tirarmi su, nonostante le mie risposte sgarbate. Le voglio bene anche se non glielo dimostro, lei sa come sono fatta.

Finisco l'ultimo sorso ed esco senza dire niente, persa nei miei pensieri.

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