Capitolo 9: Peonie

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<<Farà male, vero?>> chiese Zen. 

<<Sì e anche parecchio.>> rispose il tatuatore. 

La ragazza sbuffò, sistemò la maglietta e gli fece un cenno con la testa per farlo iniziare. Stava per avere impresse sul costato due peonie bianche e il disegno lo aveva realizzato Ego come per gli altri tatuaggi.

Un pomeriggio di sole le due erano uscite per fare una passeggiata portando con loro la macchina fotografica. Passando davanti a un fioraio Zen era rimasta colpita da alcune peonie e aveva voluto che l'amica le fotografasse e che poi gliele disegnasse ed erano talmente belle che aveva deciso di farsele tatuare. Era un fiore che aveva sempre amato perché la rispecchiava: i suoi petali erano in ordine ma al tempo stesso confusionari ed era la sensazione che portava spesso dentro di sé. 

Zen sentiva dolore, ma Ego e suo padre erano lì con lei e tentavano di distrarla. Era coricata su un lettino con le braccia sotto alla testa e per sgranchirsi leggermente allungò una mano e le dita fredde della bionda si unirono alle sue. Quel gesto la riportò con la mente a un paio di giorni prima, quando si erano trovate di nuovo in intimità. 

Era passato un mese dalla loro prima volta e ormai Ego era entrata nella decima settimana di gravidanza. La mattina dopo si erano svegliate molto tardi dimenticandosi della scuola ed erano rimaste a letto tutto il giorno a coccolarsi. Non era stato diverso dal solito e nemmeno i loro corpi nudi le avevano messe in imbarazzo. Per i giorni successivi, però, avevano evitato l'argomento, soprattutto perché Zen si sentiva in colpa nei confronti di Ade. Non riusciva a guardarlo in faccia senza che gli occhi le si riempissero di lacrime ed evitava di stare sola con lui in tutti i modi. 

Solo che una notte, mentre si rigirava nel letto a cercare un modo per raccontare tutto a Ade, Ego l'aveva afferrata e l'aveva tirata verso di sé. Le aveva detto che non serviva a nulla piangere sopra quello che era successo e di smetterla di farsi del male pensandoci. Zen le aveva dato ragione e guardandola negli occhi la scintilla era scattata di nuovo. E poi ancora e ancora nelle settimane successive, anche se forse la ragazza tatuata avrebbe voluto fermarsi. Non tanto per Ade, quanto per lei e quello che le stava succedendo dentro. Ego la confondeva e portare avanti quella relazione solo fisica non la aiutava a schiarirsi le idee. 

In più era complicato per lei stare dietro all'amica. Aveva continui sbalzi d'umore, la nausea quasi tutti i giorni e aveva preso un po' di peso, cosa che l'aveva fatta entrare in crisi. La maggior parte dei pantaloni si chiudeva ancora, ma dopo qualche ora li sentiva stretti e il reggiseno le faceva male. Si era dovuta togliere perfino il piercing da quanto fosse fastidioso. Inoltre dormiva spesso, faticava a concentrarsi, a scuola non stava molto attenta e Zen tentava di fare per entrambe, ma si rendeva conto che agli esami Ego sarebbe stata sola. Per questo le aveva detto più volte di informare i professori della sua condizione, ma non aveva voluto. Rispondeva che avrebbe trovato un modo per nascondere la pancia e che non fosse necessario avvisare qualcun altro. Già era sempre all'erta nel caso in cui Mad avesse spifferato tutto in uno dei suoi momenti di poca lucidità, non voleva sopportare anche gli sguardi pesanti degli insegnanti. 

Per non parlare del rapporto con i suoi genitori. I signori Tegeirian avevano voluto incontrarla per convincerla a tornare a casa con loro, ma Ego non aveva sentito ragioni. Si era decisa a tenere il bambino e niente e nessuno l'avrebbe smossa. L'unica ad appoggiarla era Venetia che ogni tanto andava a trovarla a scuola o a casa da Zen. Le aveva portato un po' alla volta quello che le mancava e le aveva raccontato dei litigi tra i suoi genitori. Sua madre alla fine si era schierata dalla parte di Ego e la difendeva nonostante non capisse perché la figlia volesse continuare per quella strada e dall'altra c'era suo padre che continuava a preoccuparsi per se stesso. La ragazza sapeva del disagio che stava causando, ma se loro non volevano aiutarla doveva cavarsela da sola. 

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