27 | Tsunami

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Y el silencio me habla de ti, es que solo hay tanto espacio desde que no estas.




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Idie camminò piano lungo il corridoio con le unghie infilate nella carne e i denti che mordevano il labbro inferiore -già gonfio e sanguinante-

Sospirò con il capo chino quando arrivò davanti all'ultima porta, chiusa.

Lanciò un'occhiata veloce alle pareti che la circondavano, dove si alternavano le varie fotografie.

C'era anche lei su quei muri, con la solita espressione imbronciata e gli occhietti vispi.

Olga da piccola la chiamava affettuosamente "Tsunami" ed anche sua nonna concordava con la definizione che le era stata data.

Ovunque passasse creava danni.

Da piccola rientrava in casa sporca di fango e rovinava il tappeto orientale all'ingresso, poi rompeva il vaso di porcellana e la lampada di cristallo.

Era un continuo rompere senza avere la possibilità di aggiustare le cose.
E a che serviva chiedere scusa?

Forse era vero.

Forse era davvero uno Tsunami.
I danni che aveva creato anche in modo involontario erano evidenti agli occhi di tutti, eppure lei nemmeno ci aveva fatto caso.

Era atterrata a Torino con la consapevolezza che non sarebbe durata tanto lì, tra quel mare di estranei, che nessun'onda l'avrebbe fatta annegare.

Invece era rimasta, ed era stata lei l'onda anomala.

Sospirò ancora una volta, l'ultima prima di bussare piano.

Non aspettò nessuna risposta, ovviamente.

Tutto quello che si sentiva nell'ufficio di suo padre era lo scricchiolio della sedia girevole, la penna posata sulla scrivania e l'arrivo di una notifica sul cellulare.

Suo padre, come sempre, aveva lo sguardo puntato su dei fogli che dovevano essere importanti, mica come lei.

Continuò a tenere lo sguardo basso anche quando iniziò a parlare.

«Quando i giornali scrivono alcune cose, bisogna sempre stare attenti a saper distinguere la verità dalle ipotesi»

Sapeva bene dove voleva arrivare a parare, ma lasciò che finisse solo per capire quanto potesse essere grave la situazione.

«Sono due giorni che non si parla d'altro che di una..com'è che l'hanno chiamata?»

«Liaison» s'intromise Tatiana con la voce flebile ma attenta.

«Già, grazie- disse, schiarendosi la voce -una liaison tra mia figlia e un calciatore argentino. Mi sono fatto una risata, cos'altro potevo fare?»

Stare in silenzio era una violenza quasi fisica delle volte. Non ci era mai riuscita del tutto a stare zitta e buona.

Ma, per quella volta, decise di mordersi la lingua e non ribattere.

«Poi però le ipotesi sono diventate certezze,- disse con un tono di voce molto più basso, come se non avesse voluto farsi sentire da nessuno -con tanto di foto e prove. Una collana in comune, tu che inizi ad interessarti al calcio, le sue prestazioni altalenanti..e allora non era più solo un abbraccio di consolazione, giusto?»

Il tono di suo padre era sempre lo stesso. O bianco o nero. Privo di qualsiasi sfumatura o gradazione di colore diverso.

Anche in quel momento, dove si aspettava di sentire la rabbia nella sua voce era piatto, a tratti apatico.

𝕿𝖗𝖚𝖊 𝕮𝖔𝖑𝖔𝖗𝖘|| P.DWhere stories live. Discover now