Capitolo 48

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Le luci si accendono.
La sveglia. Speravo arrivasse più tardi.
Mi alzo a sedere.
Un nuovo giorno.
Scendo lentamente dal mio letto metallico.
Mi sento stanca, debole. Ogni giorno sembra non finire mai, e la notte dura troppo poco.
La porta della mia "stanza" si apre. La Dottoressa Green appare sulla porta.
Mi saluta con un sorriso cordiale.
Se potessi, le sputerei addosso, da quanto odio vederla. È una delle più false e bugiarde tra tutte le persone con cui sono venuta a contatto finora. Non sono molte, in realtà.  
Solo lei, la Dottoressa Smith, il Dottor Martinez e gli altri pochi scienziati che si occupano dei miei test.
- Buongiorno. - dice la donna - Mi vuole seguire? - dice, indicando con un gesto cortese l'esterno della stanza.
Come se avessi altra scelta.
Tanto so che, poco dietro di lei, ci sono almeno due o tre guardie.
Ho già provato a scappare. Ho provato a ribellarmi.  Tutto completamente inutile.
Ormai sono in uno stato di passività incredibile. Non mi interessa più nulla.
Non mi lamento mai, non dico mai una parola.
Forse per paura che tutte le mie ultime forze mi scivolino via solo a utilizzare le corde vocali.
Annuisco, e la raggiungo oltre la porta.
Sono qui da... ormai non lo ricordo più. 
Ho fatto talmente tanti test, sempre di più, fino ad arrivare a quattro al giorno, che ormai non riesco nemmeno a contare il tempo che passa. Mi sembra tutto uguale.
Ma ora ricordo.
Ricordo cosa è successo prima della Radura. Ricordo mia madre, mio padre, il mio lavoro.
La Dott.ssa Smith non mentiva. 
Lavoravo anch'io qui.
Qui.
Qui è dove mi trovo: alla C.A.T.T.I.V.O., un'associazione internazionale costituita per salvare il mondo dall'Eruzione.
Brutta cosa, l'Eruzione. 
Un virus, una malattia virale estremamente contagiosa, che si è portata via tutta la mia famiglia e ora sta distruggendo l'umanità intera. Io però non ne sono stata nemmeno toccata.
Sono un Mune, ho scoperto. È così che chiamano quelli come me.
Sono immune alla malattia, ed è per questo che la C.A.T.T.I.V.O. mi prelevò, anni fa ormai, per portarmi a lavorare alla ricerca di una cura. Sono pochi, incredibilmente rari, gli immuni. Rari, e preziosi.
Si dice che siano la chiave per trovare la cura.
Alcuni sono stati spediti nei vari test, il Gruppo A e il Gruppo B, per essere studiati. Sono soprattutto ragazzi e ragazze.
Si sta cercando di completare la suddetta "cianografia" del loro cervello. Del nostro cervello. Cercano di capire come mai noi siamo immuni.
Ma per farlo, studiano in particolare la "zona della violenza", dove dovrebbe agire il virus. Il modo migliore per stimolarla, è far soffrire i "soggetti".
In che cacchio di casino deve essersi cacciato, il mondo, per buttare un branco di adolescenti in un Labirinto per farli soffrire e morire?
È tutto talmente estremo e orribile, da non sembrare vero.
Per questo, è stato tanto traumatico ricevere i miei ricordi. Soprattutto, avendo già quelli nuovi, abbastanza brutti di per sé da non aver bisogno di altra tristezza.
Ma non voglio pensarci, mi obbligo a non pensare a nulla. È facile non pensare, quando provi così tanto dolore da non poter respirare.
Io non ero inserita nei programmi dei test, inizialmente. Non ero abbastanza intelligente.
In teoria, prima avrei dovuto svolgere un semplice lavoro di guardia addetta al Gruppo B: in sostanza, ero uno dei tanti agenti in tuta blu che si occupava a buttare le ragazze nella Scatola, che saliva fino alla Radura del Gruppo B.
Mi sono odiata, a scoprire tutto questo.
Ma ormai ho consumato tutto l'odio rimasto in me, non riesco più a provare nulla.
I miei test sono differenti da quelli degli altri. Mentre gli altri soggetti in fase di studio lavorano ai computer, io li oltrepasso e sparisco quotidianamente oltre una porta di metallo, sigillata, naturalmente.
Non vorrebbero di certo che qualcun'altro scoprisse cosa mi fanno.
Svoltiamo nell'ultimo corridoio, e ci fermiamo davanti a quella porta, che ho imparato a temere e odiare.
La Dott.ssa fa passare la sua tessera magnetica sul pannello, ed essa si apre.
La oltrepassiamo, le guardie che ci seguivano rimangono fuori. La porta si chiude immediatamente.
Neanche avessi la forza e il coraggio di scappare.
C'è la solita poltroncina bianca, in mezzo a una stanza dalle pareti a specchio. Rimango alcuni secondi a fissare la sedia, che ora sembra tanto innocua, con uno sguardo perso.
Non voglio sedermi.
Non di nuovo.
- Suvvia, non sarà peggio delle altre volte - dice gentilmente la donna alle mie spalle.
Si, ma le ultime volte è stato come bruciare all'Inferno. Spero bene che non possa essere peggio.
Annuisco piano, e mi dirigo lentamente verso la poltrona.
Mentre cammino, vedo con la coda dell'occhio il mio riflesso.
Non sembro più nemmeno io.
I miei capelli, una volta castani e leggermente mossi, ora sono privi di colore, bianchi e lisci come spaghetti.
Gli occhi, un tempo di un verde brillante, ora freddi come il ghiaccio. Anche la mia pelle è diventata più pallida di prima.
Alcuni dei tanti effetti collaterali del siero.
Il siero che mi iniettano, ogni giorno da quando sono arrivata, per stimolare alcune zone del cervello.
Poi, dopo alcuni minuti di agonia, ne iniettano un altro, che serve a fermare gli effetti del primo, e cronometrano quanto tempo ci impiega a fare effetto.
Solo quando è già circolato in tutto il corpo, inizia ad agire, diminuendo il dolore.
Non so a cosa servano questi test.
Ma mi hanno detto che saranno molto utili alla ricerca. Pensano che questo mi possa far sentire meglio, in qualche modo?
Mi siedo con cautela.
- Se passerai anche questo test, per te sarà l'ultimo. Ti inseriremo nel programma come aiutante degli altri scienziati. - dice la donna.
Prima, avrei dato oro per sentirmi dire quelle parole. Ora, ora provo solo una leggera dose di felicità e sollievo.
Ma non posso rilassarmi.
Devo passare il test. E non so se ne ho la forza.
- Possiamo procedere? - chiede la Dott.ssa.
Prendo un respiro profondo, e annuisco piano.
- Bene. - dice.
Si sente uno scatto metallico, e appaiono le fasce metalliche attorno a caviglie e polsi, che mi bloccano alla sedia. Cerco di non andare nel panico, ma sento il battito del mio cuore accelerare. 
L'ho già fatto altre volte.
Farà male. Molto male.
Ma sopravviverò. Come sempre.
Si alza il braccio meccanico collegato alla sedia.
Mi ricorda molto uno di quelli dei Dolenti, che, del resto, sono stati fabbricati qui.
Mi ricordo della prima volta che ne ho ucciso uno, anche se era una delle versioni più piccole, grazie al coltello che mi aveva dato da...
No, non devo perdermi nei ricordi, soprattutto non ora.
Devo pensare a resistere.
Mi hanno consigliato di immaginarmi come qualcosa di duro, per esempio un blocco di cemento, ogni volta che inizio un test. Un blocco di cemento che respira, avevo obiettato, e che prova dolore.
Ma, nonostante tutto, forse è servito a qualcosa, se ora sono ancora tutta intera.
O quasi.
Dentro sono a pezzi.
Cerco di pensare al cemento. Sono cemento.
Resisterò.
Guardo l'ago avvicinarsi al mio avambraccio.
Chiudo gli occhi, e li stringo forte, preparandomi al peggio.
L'ago mi sfiora la pelle.
Ancora pochi secondi.
La punta perfora la vena.
Il siero inizia ad entrare in azione.
Il dolore esplode improvvisamente, non cresce gradualmente come sempre, prendendomi alla sprovvista. 
È un test finale.
Avrei dovuto aspettarmelo. 
Caccio un urlo, un grido così forte da poter forse anche penetrare oltre le pareti insonorizzate del laboratorio.
Dolore, dolore, solo dolore. 
Ormai non sono abbastanza lucida da pensare al cemento. Al diavolo, il cemento.
Sento le lacrime bruciare, mentre iniziano a sgorgarmi dagli occhi, e mentre scalcio cercando di divincolarmi dalle fasce che mi legano alla sedia.
Basta, basta, vorrei urlare.
Ma non sono capace nemmeno di articolare parole, solo grida acute.
Il dolore sta diventando insopportabile.
Il test non sembra finire mai.
Perché dura così tanto?
Mi sembra di morire.
Non voglio morire. Voglio vedere lui, voglio ritrovarlo... voglio che torni da me.
Ho paura di non rivederlo mai più.
Non posso cedere.
Ma il dolore è terribile, non posso farcela...
Poi, tutto si placa.
Tutto svanisce all'improvviso, come è arrivato.
Sento l'ago del secondo siero dentro la pelle, non mi ero nemmeno accorta del cambio.
Mi sembra di avere l'asma, da quanta aria cerco di prendere a ogni respiro affannoso, mentre mi accascio sulla sedia, senza forze.
La testa mi gira, mi pulsa, mi sembra di cadere.
Mi obbligo ad aprire lentamente gli occhi.
Attraverso le lacrime, che ora inzuppano tutti i miei abiti, riesco a vedere la Dott.ssa Green, ora più vicina alla sedia, che ruota attorno a me come tutta la stanza del resto.
Ho una nausea terribile. Mi sposto di lato, e vomito, senza riuscire più a controllarmi. 
Non è la prima volta che lo faccio.
Sento che sto per perdere i sensi.
Poco prima di scivolare in coma, sento poche parole, pronunciate dalla Dott.ssa col suo solito fottutissimo sorriso:
- Ha superato il test, Giuliana. - 
Poi crollo.

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