Capitolo 56

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È passato quasi un mese.
Quasi un mese, da tutto quel casino. 
Siamo in questo paradiso terrestre da un mese, soli e solamente immuni.
È stata dura ricominciare da capo.
Minho si è messo subito a capo del posto: ha diviso le persone in vari gruppi, alcuni destinati alla costruzione di edifici, alcuni addetti al cibo, altri come medici.
Mi sembra tanto di essere tornata alla Radura.
Con la differenza che, qui, siamo liberi.
O almeno così crediamo, così speriamo. 
Perché si, con l'andare delle cose abbiamo recuperato la speranza, per quanto pericolosa sappiamo possa essere.
Io non sono stata assegnata a nessun lavoro in particolare, dato che mi sembra di essere diventata pure più debole di quanto già non fossi.
Fare il minimo sforzo mi sfinisce.
Perciò, io semplicemente gironzolo tra i vari gruppi, a dare una mano qui una là. 
Oppure, i primi giorni mi nascondevo nella foresta, e non facevo nulla, ma stavo tutto il tempo a pensare.
Ora che ognuno ha una sorta di casa, è diventata questa il mio rifugio. 
Posso starmene sola, per ore, senza essere obbligata a vedere nessuno.
I primi giorni, ho scambiato qualche parola con Thomas.
Entrambi ne avevamo passate tante, e troppo in fretta, avevamo perso molto e non c'era modo per nessuno dei due per tornare indietro. Forse ci stiamo simpatici per questo: abbiamo tanto in comune.
Ci siamo conosciuti un po' meglio, e ognuno ha raccontato la propria storia.
Lui era alquanto stupito della mia, come io della sua.
- Sul serio hai trovato l'uscita dal Labirinto? - ho chiesto sbalordita - Ero anch'io una Velocista e giuro, non avevamo mai trovato nulla fin quando c'ero anch'io. -
- Beh, si, ma.... in realtà non so se ho voglia di parlarne - ha risposto, diventando più teso. 
Beh, lo avevo immaginato.
A nessuno piace parlare della vita prima di adesso.
I ricordi fanno male.
Io però gli ho chiesto di George, benché sapevo che la risposta mi avrebbe provocato solo tanta tristezza. Lui ha risposto che aveva conosciuto, di sfuggita, un George, ma che era rimasto alla Radura.
Perciò è stata solo l'ennesima conferma: anche George, è morto.
Non che ormai pensassi il contrario.
Solo, sentirselo dire con tanta sicurezza, mi ha buttato un bel po' giù.  
Alla fine, siamo giunti a toccare il mio tasto dolente.
- Posso chiederti una cosa? - ha chiesto.
- Spara - ho risposto.
- Cosa... cosa c'è, o c'è stato, tra te e Newt? - ha chiesto.
Io mi sono ammutolita, per qualche secondo semplicemente non ho detto nulla. Avevo bisogno di tempo per elaborare la domanda.
- Non serve che me lo dici, se non vuoi - ha aggiunto allora, in imbarazzo.
Ho deglutito, e ho scosso la tesa.
- No. No, va bene. È tutto a posto. - ho detto alla fine.
E lentamente, ho tirato fuori tutto.
Tutto, magari senza i particolari, ma proprio tutto quello che era successo fino ad ora.
- Io e Newt... stavamo insieme, nella Radura. Più o meno. Poi quando sono stata obbligata ad andarmene, lui non l'ha presa bene - ho spiegato - Mi ha rivista dopo la Zona Bruciata. Ero stata prigioniera della CATTIVO per mesi, avevano fatto esperimenti di ogni tipo su di me, penso più che altro per ripicca. Ho provato a spiegarglielo, ma non ha voluto sentire ragione. Pensava che mentissi... che avessi sempre mentito. Mi odia -
Non mi venivano più le parole. Nonostante continuassi a dirmi che ci dovevo mettere ha pietra sopra, che sarei dovuta andare avanti e lasciarlo perdere... pensare a tutto quello che avevamo passato faceva ancora male. Un male cane.
Thomas ha poggiato incertamente una mano sulla mia spalla.
- Non posso dirlo con certezza, Giulia, ma non penso ti odi - ha replicato.
Io l'ho guardato negli occhi, cercando qualche traccia di bugia in essi. Non ne ho trovata.
- Spero tu abbia ragione - ho mormorato.
Lui ha sorriso dolcemente.
- Tieni ancora molto a lui, vero? - ha chiesto.
Io ho ridacchiato sommessamente.
- Più che alla mia stessa vita -
Non so perché, ma quando abbiamo finito di parlare mi sono sentita meglio.
Più... leggera. Forse, avevo solo bisogno che qualcuno mi aiutasse a portare questo peso. 
Non so bene come vadano le cose con Newt, ora.
Non ci rivolgiamo la parola, ma per lo meno lui non sembra sul punto di strozzarmi ogni volta che mi vede.
Anzi, sembra quasi che, ogni volta che mi vede, voglia dirmi qualcosa. 
Poi però sembra cambiare idea, e prosegue per la sua strada.
È frustrante.
Anche per questo, mi nascondo sempre.
Thomas è stato molto gentile, da quel momento mi ha trattata... beh, come avrebbe fatto George.
E oggi, sono chiusa in casa da quando mi sono svegliata.
Non sono andata nemmeno a mangiare.
Non ne avevo voglia.
Sono seduta a terra, le gambe strette contro il petto, a guardare gli altri lavorare attraverso il piccolo quadrato che fa da finestra. 
Alzo la testa, a guardare il soffitto, e chiudo gli occhi, sospirando.
Abbiamo la libertà, forse è vero.
Ma l'unica cosa che vorrei realmente, non la posso avere.
Sento i passi di qualcuno sul pavimento di legno.
- Se sei Thomas che cerca di tirarmi su di morale, ti conviene muoverti a sparire se non vuoi un calcio nelle palle. - dico sbuffando, senza aprire gli occhi. 
Oggi non sono proprio in vena. Voglio starmene sola.
- Non sono Thomas. - risponde una voce familiare. Troppo familiare. Apro gli occhi di scatto. - E il calcio nelle palle lo eviterei volentieri. - aggiunge, mentre volto la testa nella sua direzione.
Rimango paralizzata, ad osservare che, effettivamente, quello appena entrato dalla porta è proprio Newt.
Ora non indossa i vestiti stracciati di quando è arrivato, ma un paio di jeans, e una t-shirt.
I capelli biondi lunghi sono puliti e gli arrivano fino alle spalle, non ha più i tagli e gli ematomi come segni di quello che ha passato sulla pelle.
Sta proprio davanti alla porta, con le mani in tasca, in piedi.
Indica col mento il pavimento alla mia destra.
- Posso sedermi, o sarei in pericolo di vita? - chiede.
Io rimango immobile.
Poi, però, annuisco.
Il ragazzo mi raggiunge e scivola a sedere accanto a me. Lo guardo con la coda dell'occhio, lui sta guardando di fronte a sé. 
Non diciamo nulla per un po'.
- Come stai? - chiede poi, voltandosi verso di me.
Deglutisco. 
- Bene. - rispondo incerta, in un mormorio.
Lui sospira.
- Sì, certo. - replica, guardando a terra. 
Di nuovo qualche secondo di silenzio.
- Come... come fai? - chiede a un tratto.
Mi volto lentamente verso di lui, aggrottando leggermente le sopracciglia.
Lui scuote leggermente la testa, come se cercasse di riordinare i pensieri.
- Qualunque cosa succeda, tu rispondi che stai bene. Anche quando stai di merda, risponderai sempre che stai bene. - continua. - Come caspio fai a essere sempre forte? - chiede di nuovo, alzando gli occhi verso di me.
Quei suoi grandi occhi marroni, che ora non esprimono rabbia, odio, non sono freddi.
Sembrano gli stessi di una volta.
Io guardo altrove.
- Non sono così forte come tu credi. - ribatto, piano.
Faccio una pausa, anch'io devo cercare le parole da dire.
- Quando... quando mi torturavano, alla C.A.T.T.I.V.O., non resistevo perché ero forte. - dico allora, la voce mi trema leggermente, ma mi impongo di farla tornare ferma - Resistevo perché pensavo al mio obiettivo. Un obiettivo forse... beh, irrealizzabile, stupido e assurdo in quel momento, ma l'unico che volevo raggiungere. - faccio scivolare di nuovo gli occhi su di lui.
Lui mi sta ascoltando attentamente, in attesa, per la prima volta da quando l'ho rivisto.
- E qual'era? - chiede piano.
Lo osservo per qualche istante, quasi curiosa. Vorrei solo poter capire cosa gli passa per la testa in questo momento.
 - Tu - rispondo sinceramente, schiettamente - L'unica cosa che mi permetteva di andare avanti, di sopportare altri test, altro dolore, era... si, era la speranza di rivederti. - concludo, con una lieve scrollata di spalle.
Non so come abbia fatto, ma sono riuscita a mettere su un discorso completo. Ma ogni singola parola che ho detto è vera.
Sento un groppo in gola sciogliersi, ora che ho detto tutto. Proprio tutto.
Lui mi guarda per qualche secondo, perplesso, poi scoppia in una bassa risata amara.
- Immagino la delusione, quando finalmente hai raggiunto l'obbiettivo. - dice.
Sospiro.
- No, non è stata una delusione. - rispondo, lui mi guarda stranito. Io alzo gli occhi al cielo. - Newt, eri vivo. Eri vivo e stavi bene. Era tutto quello che m'importava. - dico con convinzione.
Lui mi fissa ancora, sembra incredulo.
- Non fingerò che quello che mi hai detto non mi abbia fatto male. Un treno in corsa diritto contro la faccia sarebbe stato più piacevole. Ma ero, sono, disposta a sopportarlo, pur di saperti al sicuro. - aggiungo.
Lui non mi stacca gli occhi di dosso, come in trance. 
Poi scuote la testa, e distoglie lo sguardo.
- Sei incredibile, lo sai? - dice alla fine - Solo tu potresti darmi una caspio di risposta del genere. -
Aggrotto le sopracciglia.
- Ho detto qualcosa di sbagliato? - chiedo.
Lui ridacchia leggermente.
- No, no, figurati. È che... è che mi sento un mostro. - dice piano - È incredibile che dopo tutto quello che hai passato, e dopo il modo in cui ti ho trattata, riesci ancora a non sputarmi in faccia. - replica.
Mi sento ridacchiare leggermente.
Anche se è una risata tesa, era da tanto che non sentivo la voglia di ridere.
- Insomma, io lo farei. Sono stato un vero stronzo. Ti ho trattata come se fossi un pezzo di sploff. - dice - Che razza di persona sono diventato? Sono letteralmente schifato da me stesso a sapere di averti fatto del male. - ora la sua voce è più bassa. - Non lo meritavi, cacchio. -
Io lo guardo per alcuni secondi, senza dire niente.
- Ho saputo tutto, me lo ha detto Tommy - io trattengo il fiato per qualche secondo. Gli ha detto tutto... tutto cosa? Mi sale un po' l'ansia - Mi ha detto cosa gli hai raccontato. E cacchio, tutto ha iniziato ad avere un senso, tutto. Mi hai salvato la vita, due volte... - dice.
- Anche tu lo hai fatto, quando stavamo scappando. - lo interrompo. 
- Forse, ma non è questo il punto, caspio - replica in fretta, zittendomi.
Poi sospira, io non dico nulla.
- Giuli, sto tentando di dire che mi dispiace. - dice.
Io ora devo sembrare stupita.
Sembra tutto solo un sogno.
- Hai fatto così tanto per me, e io non sono riuscito a vederlo. Ti ho odiato, quando non meritavi l'odio di nessuno. Il mio in particolare. - dice, fissando un punto di fronte a sé - Mi dispiace tanto. Tantissimo. -
Io non dico nulla, completamente sbalordita. 
Si, dev'essere un sogno. Un sogno che si avvera, forse.
- E... e so che non basta per farmi perdonare, so che è impossibile che torni tutto come prima... - inizia.
- Perché? - ribatto.
Lui si interrompe, voltandosi a guardarmi, confuso.
- Ma quello che ho fatto... - inizia.
- Quello che hai fatto non mi interessa - lo interrompo di nuovo - Non mi interessa quello che hai detto, non mi interessa quello che è successo, non mi interessa un caspio di niente. Voglio dimenticare tutto. - dico, guardandolo dritto negli occhi, trovando il coraggio chissà dove.
Lui mi fissa, completamente sbalordito.
- Sono stanca di tutto questo. Sono stufa marcia di questa assurda tensione che c'è tra di noi. Sono stanca di soffrire - dico - Tutto quello che mi interessa, è ciò che succederà a partire da ora. - 
Faccio una piccola pausa, incerta su cos'altro dire.
- E a te? - chiedo.
Lui mi guarda per qualche secondo, ancora lievemente sotto shock. Ma si riscuote presto, e sembra essere sollevato.
Ora i suoi occhi, dopo tanto tempo, sono caldi, meravigliosi, come una volta.
Solleva lentamente una mano, e me la appoggia su una guancia, accarezzandola delicatamente.
Sento il lieve sfiorare delle sue dita callose sulla mia pelle, tanto familiare anche dopo tutto questo tempo. 
Sento lacrime di gioia bruciarmi agli angoli degli occhi.
Poi si allunga verso di me, e appoggia le sue labbra sulle mie.
È come una scarica elettrica.
Sento ogni fibra del mio corpo risvegliarsi, reagendo alla sua vicinanza. Una felicità mai provata prima mi invade.
È passato così tanto tempo dall'ultima volta che ho sentito il lieve e dolce tocco delle sue labbra... eppure sono sempre le stesse, morbide e accoglienti, familiari.
Non mi stancherò mai di dirlo: mi sembra quasi di essere tornata nella Radura, dove ci siamo conosciuti, dove è iniziato tutto.
Sento il battito del mio cuore accelerare, anche quando si stacca di qualche millimetro continuo ad avere il fiato corto.
- Anche a me - sussurra sulle mie labbra - Cacchio, mi interessa solo questo -
Prendo qualche respiro profondo, senza aprire gli occhi.
- Mi sei mancato così tanto - mormoro. 
Sento la mia voce tremare.
Mi lascia un lieve bacio all'angolo della bocca.
- Anche tu, Giuli. Non sai quanto. - sussurra, prima che io prema di nuovo le labbra sulle sue.
Io mi avvicino di più, mentre le sue braccia mi circondano la vita.
Gli appoggio le mani ai lati del viso, e faccio passare le dita tra i suoi capelli biondi. Saranno anche più lunghi, ma hanno la stessa morbidezza di prima. 
Anche il suo odore è rimasto lo stesso: un misto di sudore ed erba bagnata. Qualcuno potrebbe trovarlo poco piacevole, ma io lo associo solo a lui, alle sue braccia che mi stringono facendomi sentire sempre a casa.
Newt mi attira a sé sempre di più, mentre i nostri baci si fanno quasi disperati.
Dio, quanto ho aspettato che tutto questo avvenisse.
Quanto abbiamo aspettato.
Lui si allontana solo di pochi millimetri, lasciando le sue labbra a sfiorare le mie delicatamente.
Con le dita, inizia a sciogliere la treccia che mi ero fatta stamattina.
Avevo provato tutti i modi possibili per non vedere i miei capelli bianchi, e ora avevo trovato il modo per nasconderli dietro alla schiena.
Mi portavano alla mente troppi brutti ricordi.
Quando ha finito, si sposta ancora un po', e passa le dita tra i miei capelli sciolti.
Con uno scatto improvviso, gli afferro il polso.
Lui aggrotta le sopracciglia.
- Che c'è? - sussurra, lievemente preoccupato.
Lancio delle occhiate terrorizzate a quelle specie di fili bianchi che mi circondano il viso.
- Sono... sono orribile. - balbetto - Un... un caspio di mostro bianco... -
Improvvisamente, ho perso ogni sicurezza. Non so nemmeno perché.
Lui mi sposta una ciocca dietro l'orecchio, delicatamente.
- Hey - sussurra - Che cacchio di caspiate dici? -
Io abbasso lo sguardo.
"Ghiacciolino" mi chiamava Elizabeth.
È strano, ma non ho mai più pensato agli scienziati della C.A.T.T.I.V.O. da quando l'ho lasciata.
In fondo, non era un nome tanto sbagliato.
- Giuli, non preoccuparti. - sussurra dolce - Rimarrai sempre bellissima ai miei occhi. -
Alzo lo sguardo verso di lui, incredula.
Sta sorridendo lievemente.
Sbatto le palpebre, arrossendo, stupita che possa essere stato capace di dire una cosa così dolce.
Si allunga un po' a darmi un altro veloce bacio, io gli lascio andare il polso, e appoggio la mano insieme all'altra sulle sue spalle.
Poi anch'io sorrido.
È impossibile non farlo.
Non quando la tua vita inizia ad andare finalmente come volevi tu.
- Sai, anche io ti ricordavo diverso - dico.
Lui aggrotta le sopracciglia.
- In che senso? - chiede.
Sorrido con fare sornione.
- Non avevi i capelli lunghi come una donna - ribatto.
Lui sbuffa, facendo roteare gli occhi.
Io rido, rido di gusto, è troppo divertente vedere la sua faccia tipica scocciata.
Anche questo mi era mancato di lui.
Anche il nostro semplice e futile battibeccare.
- Ti faccio un complimento, e te mi rispondi così. Sei una caspio di rompipalle. - dice.
Io gli dò un bacio sulla guancia. 
- Ne dubitavi? - chiedo ridacchiando.
Lui alza gli occhi al cielo, scuotendo leggermente la testa, ma sta sorridendo.
Poi si abbassa, a baciarmi di nuovo.
Io ricambio ben volentieri, ormai nessuno ci ferma più. 
Ci stacchiamo giusto un minuto, per riprendere fiato.
Poi premo le mie labbra sulle sue, ancora, voglio continuare finché non ci mancherà l'aria. 
Finché non avremo recuperato tutto il tempo perduto.

Angolo autrice

Eh già, proprio così, siamo arrivati alla fine della storia 😊
Non sono ancora sicura, ma potrei decidere di pubblicare anche alcuni capitolo extra che non ho ancora messo a posto ma vedremo... 😏
In ogni caso, l'ho detto spesso e sarò ripetitiva a dirlo di nuovo... grazie mille. A quelli che hanno commentato ogni capitolo, a quelli che hanno votato e a quelli che hanno solamente letto. Grazie❤

L'ErroreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora