La danza della morte

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I. Death is the road to follow.

I suoi occhi osservarono il suo pollice ossuto, la maniera in cui si sfregava sull'indice, assiduamente. L'attrito generava un brivido leggiadro nelle sue membra. La pelle era rischiarata dalla luce mattiniera, regalandogli una sensazione di ingannevole pace. Il suo corpo era placidamente ricurvo, rivelando le ossa vertebrali marcate, della sua schiena nuda. La delicata epidermide aurea veniva impreziosita dal quel bagliore. L'aria satura di ozio e di angoscia; Louis aveva distolto lo sguardo dal suo pollice per dare un'occhiata alla sua camera. Il pulviscolo danzava nell'aria. Si mise a contare mentalmente ed «ecco» bofonchiò rassegnato, sollevandosi dal suo giaciglio. Era vellutato e celere il suo passo che valicava la porta della sua stanza da letto e si dirigeva verso quella del bagno, già ben spalancata. Le sue ginocchia nude colpirono le piastrelle fredde, rilasciando un docile fastidio, la pelle si dipinse di un rossastro. Ghermì con entrambe le mani la tavoletta del gabinetto e allungò il collo, attendendo. Il suo stomaco stava gorgogliando malamente, calciando le sue stesse pareti. Mille mani immaginarie e inferocite titillavano l'interno del suo intestino, per poi dargli colpi cruenti. Divaricò le labbra, sforzandosi e, alla fine, vomitò. La bile soffocava il suo respiro, si sentiva mozzato mentre dalle sue labbra scivolava via anche quell'ultimo briciolo d'anima che gli era rimasto. Il tremolio del suo corpo lo disgregava, era come un frammento di carta così vecchia che si dissipava in polvere. Le sue palpebre minacciarono di cedere. Bruciava la sua gola, infiammata e raschiata dal tormento, da quel cruccio perseverante che abbrustoliva e triturava il suo sé, sbriciolandolo. Lui era fatto di carta. Permise che anche l'ultimo brandello di vitalità gli venisse tolta e rimase immobile. Contò i secondi. Allungò il braccio verso lo sciacquone e spinse la leva verso il basso, faticosamente. Un vortice si portò via una parte ripugnante di sé, una parte celata senza zelo. E cadde a terra con il sedere, poggiando i palmi sul pavimento per sorreggersi. Lento, sollevò la testa, guardò il soffitto nerastro agli angoli a causa della muffa. Il suo pomo d'Adamo era infiammato visibilmente, per merito delle sue unghie mangiucchiate che si ritrovavano a raschiare l'epidermide più volte. E mentre ponderava l'idea di dover imbiancare il suo soffitto, un frastuono lo interruppe. Ruotò gli occhi al cielo e si sollevò da terra, scrollandosi dai palmi la polvere. Attraversò il corridoio e scese le scale rapidamente, emettevano uno scricchiolio straziante, parve che quei gradini godessero di vita propria e provassero dolore a ogni passo scalzo di Louis. Fermo per un attimo, un po' tardo, ondeggiò il capo e, con una mano, raggiunse la testina del giradischi e la allontanò malamente dal vinile. La sinfonia si strozzò, incontrando la quiete. Vomitare con una sinfonia di Beethoven non era una novità per Louis Tomlinson. Rendeva quell'ammasso di squallore un po' meno squallido ma, probabilmente, era solo una sua impressione. Si era ripetuto ciò fino a convincersene e farne una verità assoluta. Mantenere quel suono lo avrebbe fatto ricadere nella reminiscenza, percorrendo continuamente quel sozzo atto. Perciò era meglio albergare nel silenzio, dopo quel momento. Abbrancò una maglietta, agganciata scomodamente tra le custodie dei dischi. Puzzava di anticaglia e di sudore. La indossò, stropicciata com'era. La maglietta scura non gli apparteneva e i suoi pantaloncini della tuta calzavano larghi sui suoi fianchi, avrebbero lasciato intravedere l'elastico delle mutande se la maglia non fosse stata enorme. Infilò una mano all'interno del tessuto così da potersi grattare momentaneamente lo stomaco. Era molto pigro e lento nei movimenti, soprattutto la mattina. Dimenticava ciò che doveva fare un attimo dopo averlo pensato. Con uno sbadiglio vistoso, segnò il suo cammino sul pavimento in legno e riscontrò un lieve mal di testa. «Ehi, obbrobrio, puoi salire» urlò non appena ebbe aperto la porta dello scantinato. La scalinata buia gli metteva i brividi e non balenò neppure per un secondo la possibilità di scendere in quell'antro macabro. Richiuse la porta prima che la sua mente potesse produrre immagini raccapriccianti e il suo cuore potesse balzargli alla gola. Si diresse con la sua solita angosciante andatura verso la cucina. Dal frigorifero si procurò del latte fresco e dalla dispensa dei cereali al mais. Prese una ciotola e il manico di un cucchiaio tra le labbra e versò latte e cereali in contempo, come al solito. Dovevano essere perfettamente versati nello stesso istante, altrimenti Louis si ritrovava a gettare tutto nella spazzatura e a ricominciare daccapo. Ruotò il cucchiaio all'interno della ciotola e si ficcò tra le labbra un boccone appagante. Il latte non gli era mai piaciuto, ma accompagnato dai cereali era gradito.

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