If I had a heart

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Louis si guardò lo stomaco. L'albore filtrava dalla finestra della sua stanza, irrompeva con prepotenza e reclamava l'attenzione verso la sua bellezza. In quel momento, si sarebbe potuto sentire assoluto tanto quanto vuoto. Accarezzò con i polpastrelli la sua pelle, toccando l'incisione infernale. Colava sangue e sofferenza, sporcando la sua limpidezza, uccidendo la vitalità che un tempo era guizzata in lui, facendo respirare i suoi occhi. Brillava, un tempo, gettato in una pioggia d'oro fuso. E adesso, cos'era, se non un'accozzaglia di nulla? Un mucchietto d'ossa con la vergogna a pungolare la sua gola. Per un attimo, si era sentito completo, a quella distanza ravvicinata dal suo demone, aveva percepito di appartenere al suo cuore bigio e alla sua mente immensa. Si era schiantato su di lui a una velocità tale da prendere fuoco, la sua carne a odorare di fumo. Era così vivo, lo era stato. Cosa aveva ricevuto, in cambio, di questo desiderio? Di questa vitalità? La repulsione.

Louis guardava ancora l'incisione sul suo ventre, quando la pelle cominciò a lacerarsi brutalmente, senza che nessuno la infastidisse. Seminò sangue e cominciarono a crescere dei rovi secchi, dei rami spogli di un albero. Una natura moribonda, privata da ogni vigore, ogni foglia o pianta che potesse sfoggiare la sua energia. Spalancò le labbra e, allora, sulla sua lingua cominciarono ad intrecciarsi delle radici di una quercia. Bucarono dall'interno i suoi occhi e fronde aride strapparono la sua vista veementemente. Percepiva le spine degli steli a torturare le pareti del suo corpo, gli organi malaticci e tra la sua mente, solo la punta di un ramo era riuscita a sfiorare il desiderio di sentirsi libero, legato indissolubilmente alla sua seconda anima, in un intreccio illuminato. Uno specchio d'acqua antisublime che potesse riflettere le loro immagini, lerce di petrolio, così com'erano nella realtà.

Louis urlò, cercando di strappare quei rami invadenti dal suo corpo, ma essi lo avvilupparono in delle strette fameliche e crudeli, strinsero il suo corpo fino a strozzarne ogni movimento e ne mangiarono il respiro. Mentre un ramo sottile strangolava la sua gola, si ritrovò a sperare in un'alba, non potendola vedere, a causa della natura a perforare la sua vista, il suo udito e ogni altra cosa. Obliava la sua mente con le dolorose spine. Uscì dalla sua gola un urlo mozzato e spalancò gli occhi, la vista ben vigile. La sua camera era al buio e l'accenno del sole oscillava sull'orizzonte. Si prese la testa fra le mani, il suo viso era madido di sudore e di devastazione, lacrime secche incrostavano gli occhi, affrescati da un rossore e da un acrilico violaceo. La sclera era percorsa da venature ben evidenti, divorata dalle bisce. Era solo un sogno. Non sarebbe diventato un albero secco, non avrebbe fatto parte della natura. Ma una cosa era certa, sarebbe stato inghiottito dalle fauci del suo demone, fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto. C'era rabbia annidata nella sua gola, non sarebbe uscita, al contrario dell'effimero odio che lo titillava: non avrebbe mai potuto odiare il suo compagno in eterno. Osservò le sue corte dita, prima di conficcarle nella bocca e accarezzarsi la lingua, premere con una modica forza. Poi si fermò, le sue orecchie carpirono un suono che non gli piacque, simile a un fruscio di foglie. Aveva atteso l'alba, con parsimonia. Emise un conato, nulla di più, sicché si tolse le dita dalla bocca, pulendole contro gli indumenti sporchi.

Vermi sbranavano la sua carne, ogni emozione positiva che potesse essersi mostrata in passato, ma fuggivano terrificati dal suo cuore metà nero, persosi nella cenere. Quegli stessi vermi aveva divorato ogni parte buona di lui, tutto ciò che potesse essere salvato. Avevano lasciato il tanfo di stantio, emanato dal marciume in lui. Provò a sollevarsi da letto e fece uscire un verso sconvolto, non appena si accorse che qualcosa glielo impediva. Si guardò il ventre e, questa volta, dei rami ornati da spine si conficcarono fino a farlo sanguinare. Debole a quella vista e a quella morsa di tensione, strillò con forza. Fu come se una corda di violino si fosse staccata, all'interno della sua gola, fustigandolo. Volevano portarlo con sé, non avrebbero mai potuto. Il terriccio copriva il suo volto, poiché il materasso, man mano, si era mutato in esso e lo trascinava giù, con una lentezza tale da fargli respirare il dolore. Visse il momento con la realtà della mente. Le palpebre si spalancarono.

Nero CherubinoWhere stories live. Discover now