Luce

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Undici Maggio, sei del mattino, una mattinata piuttosto fredda per essere fine primavera. La sveglia di Luce sarebbe suonata di li a poco, il cielo era uggioso, le nuvole gonfie e piene circondavano gli edifici con il loro grigiore, aspettando il momento giusto per sfogare un po' d'acqua su tutta la città. Dalla finestra della camera di Luce si vedevano solo altri edifici, risiedeva all'ottavo piano, in un palazzo di dodici, un quartiere piuttosto tranquillo per la città di Palermo, luogo in cui la sera è preferibile non uscire da soli, specialmente se si è una ragazza. Eppure, in un giornata del genere, nessuno avrebbe fermato Luce ad alzarsi e andare a lavorare. Aveva appena venti' anni, da poco uscita dalla maturità con il massimo dei voti, ma la prospettiva di diventare avvocato, medico, ingegnere, non era mai stata di suo interesse. Però nessuno se ne rese conto, nonostante avesse dei genitori sin troppo attenti e rigorosi, le cui frasi di infanzia erano una raccolta di '' è solo per il tuo bene'' e '' mi hai delusa''. Le avevano affidato questo nome perché era la ''Luce dei loro occhi'' e come tale sarebbe stata al centro totale della loro vita fino... fino alla futura promozione del padre e al diploma di lei.

Tutto era cambiato non perché le volessero meno bene, semplicemente sapevano di averla già cresciuta e sapevano come, si fidavano di lei per cui ormai non avevano altro da fare. Fu da questo cambio di attenzioni, prima troppo forti e pressanti, dopo troppo inesistenti, che i genitori di Luce non si resero neppure conto che, dopo cinque mesi dal diploma, la loro unica figlia non viveva più sotto il loro tetto.

Sei e mezza. Suonò pesantemente la sveglia, la canzone dei Red Hot Chili Peppers "Under the Bridge" era partita dal telefono di Luce al massimo del volume, facendo tuonare le parole ... ''Sometimes I feel

Like I don't have a partner

Sometimes I feel

Like my only friend

Is the city I live in...''

Improvvisamente si alzò, quasi come se si fosse svegliata con un secchio d'acqua gelida in viso. A destra, sopra il comodino, una cornice verde con una foto scattata dodici anni prima a Venezia: in mezzo alle colombe a cavalcioni sulle spalle del padre ridevano della madre, la quale accanto reggeva le gambe della bambina con il viso impaurito, un'allegria percepibile a distanza, fra tutte le foto di quel viaggio, raccolte in un album di famiglia, quella era la sua preferita e l'aveva selezionata di proposito quando, dopo il diploma, aveva preso quella folle decisione di andar vivere da sola. I suoi genitori la sostenevano e avrebbero pagato ogni mese tutte le spese necessarie per la sua indipendenza, anche se di lì a poco tempo Luce avrebbe fatto domanda per lavorare in un Fast Food, tutto pur di sentirsi totalmente libera e indipendente. Il sole quel giorno non riuscì a trovare i vetri della sua camera, si sentiva il rumore del vento, un lamento piuttosto che un rumore frusciava pesantemente sotto le persiane chiuse, rimbalzando all'interno della stanza dai vetri lasciati aperti, dando la sensazione di totale desolazione. Ma Luce odiava il silenzio, così quando si alzò, si avvicinò alla finestra osservando l'immobilità della città al mattino e delle nuvole grige da cui traspariva un sottilissimo strato di aurora, che divenivano insieme un perfetto ritratto mattutino, fra i mille altri ritratti che ogni mattina fotografava dalla sua camera. Aveva la parete tappezzata dai raggi del sole, tante pellicole stampate di paesaggi, tramonti, mari e strade, il cui unico soggetto era il sole, amava ogni sfaccettatura della luce, ogni cambiamento che provocava, fra le foglie degli alberi, fra i fiori dei prati, fra le iridi delle persone che incontrava nei parchi. Riteneva che la luce rivelasse l'anima più intrinseca delle cose, la bellezza necessaria delle persone e tutto ciò che al buio può esser nascosto, la luce avrebbe rivelato con maestosità, ed è per questo motivo che non esistevano tende nella sua camera, amava il calore del sole riscaldarle il volto al mattino, che fosse inverno o estate, la luce era la benvenuta. E nelle giornate come quelle di oggi, in cui il sole non si riusciva a vedere, la sua motivazione diventava puro meccanismo, abitudine. Camminò a passo lento verso la seconda stanza della camera, il bagno, si guardò lungamente allo specchio, immobile, quasi a scrutare la realtà di ciò che vedeva: viso ovale, scavato sotto gli zigomi, un naso piccolo e tondo, cosa che odiava, pelle pallida, con lievi lentiggini sugli zigomi per via del sole isolano, taglio di capelli alla francese, o come diceva Luca ''alla Raffaella Carrà'', capelli lisci castani, increspati dalla notte, dovevano passare ogni mattina sotto le grinfie della sua piastra, prima di uscire fuori dall'appartamento. Ma qualcosa non la accontentava oggi a quella vista quotidiana, si avvicinò sempre di più allo specchio tondo, poggiando le mani sul lavandino pur di vedere meglio cosa la assillasse a quella vista: umidi, profondi e seducenti occhi castani la stavano fissando in quel momento. Sorridevano insieme a lei, ma non le appartenevano nella sua mente, erano '' fin troppo'', eppure erano solo occhi castani, chi sarebbe rimasto attratto da quella vista? Nessuno la avrebbe mai notata, era una ragazza normale.

Suonava la fine della campanella della terza ora, la professoressa d'Inglese usciva insoddisfatta dagli alunni, ma non per Luce, lei era la migliore in quella classe di incapaci. Nonostante si trattasse di ragazzi dai quindici ai sedici anni era d'obbligo, al suonare della ricreazione, circondare la ragazza più intelligente della classe per ridere di lei, del suo nome e delle sue forme. Si sigillava sul suo banco aspettando che gli insulti terminassero, non consumando alcuna colazione fino all'ultimo suono della campanella, quando scappava in bagno per mangiare qualcosa e asciugarsi quelle lacrime salate che le incidevano il volto. E quei genitori, fin troppo presenti, non si rendevano conto di nulla, perché era una ragazzina sorridente a casa, ed era forte, sapeva che tutto questo sarebbe passato presto, interiorizzava ogni cosa. Quelle maledette forme che, se avesse potuto, avrebbe preferito cancellare e rifare, per essere magra e bella come Camilla, la sua compagna, anche se sapeva che quelle di Camilla non erano un dono, ma una scelta purtroppo, personale. Lo aveva scoperto un venerdì mattina, dopo la ricreazione, quando tutti erano appena rientrati e nessuno si crogiolava più fra i corridoi, era andata in bagno sola come suo solito ma, aprendo la porta, sentì dei colpi di tosse seguiti dal rumore dello sciacquone e, poco dopo, Camilla usciva per pulirsi le mani nel lavandino. I loro occhi si incrociarono, ma nessuna parola venne fuori, forse per comprensione o forse semplicemente perché entrambe erano invisibili in quel momento, invisibili al problema, che entrambe silenziosamente condividevano: lo specchio come nemico.

Si tolse le infradito, abbassò le braccia per poi risollevarle e sfilare lentamente la maglia XL di uno dei suoi amici, non portava nulla sotto, non c'era bisogno dato che Roberto, il vicino di casa, lo aveva cacciato prima di andare a dormire. Le sue forme, quelle tormentate forme, erano pura goduria per Roberto, Federico, Leonardo, Alessio, ma lei non lo sapeva, non se ne rendeva conto. L'unica cosa che le interessava era darsi piacere nel modo più egoistico che conoscesse, approfittando di qualunque ragazzo fosse interessato prima alla sua testa e poi al suo fisico, ma a quanto diceva lei non era interessata a ''provarci sul serio''. Uscendo dalla doccia si mise la divisa da lavoro, si diresse verso la strada, prese le cuffie e mise un brano degli U2, prese a camminare non notando i viscidi complimenti che gli uomini adulti accanto al carretto della frutta, poi del pane, poi del mercato e infine quelli sopra il Lapino, le facevano al suo passaggio. Era piacevole per chiunque amasse stare al centro dell'attenzione e fosse inconsapevole delle insidie che possono celarsi dietro una tale differenza d'età. Ma a Luce tutto ciò le sembrava completamente viscido e schifoso, non avrebbe mai considerato complimento un fischio o un verso. Erano le 7:38.

Acqua SalataWhere stories live. Discover now