Persone

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 Erano le 9:37 del mattino, l'ascensore era caldo e stretto, ma per fortuna era da sola. Odiava quegli attimi di silenzio condivisi forzatamente, anche se le faceva ridere incontrare gli anziani della palazzina, che con l'odore tipico di nonno addosso cominciavano a parlare della giornata, di cosa dovessero fare, di quanto fosse difficile essere anziani in una città che poco si interessa dei loro bisogni, di quanto fosse stancante aspettare l'autobus o "autobusso". Si ricordò dei suoi familiari, del nonno paterno Ciccio che la andava prendere all'uscita delle scuole primarie e di nonna Giovanna che le faceva trovare la pasta "chi tenerumi" pronta, di come insieme le raccontavano storie di guerra e d'amore, di quando si erano conosciuti e si erano sposati dopo una settimana, una calda nostalgia la avvolse. Si fermò otto piani sotto, dove la portinaia e proprietaria dell'edificio, la signora Rosetta, era seduta al bancone d'entrata e aveva l'aria corrucciata come al solito, ma il martedì per qualche assurdo motivo la rendeva ancora più nervosa, e se le chiedevi:«Signora come sta oggi?» lei rispondeva: «Non c'è posta per lei oggi, mi lasci lavorare» e tornava ai suoi cruciverba, poggiando le gambe sopra al tavolo. Era una donna corpulenta dall'età avanzata, circondata da una serie di riviste di gossip e oroscopi vari, non stava neppure attenta a chi le chiedeva di entrare, ma appena si trattava di pagare le bollette dell'appartamento diventava un cane da guardia, pronta a bussare a tutte le porte urlando amaramente:«Non è lo Stato a bussare alla sua porta è a siggnora Rosetta, m' addari i picciuli si voli stari cca!» . Il quartiere in cui abitava era vicino alla stazione centrale, per cui era agevole per i trasporti pubblici, nonostante non le piacesse la gente che ci viveva. Circondata da fermate di autobus e da gente frenetica pronta a correre per prendere posto, sopratutto verso l'ora di pranzo in cui la fermata diventava un gregge di ragazzini affamati e urlanti, Luce scopriva il suo lato solitario e pieno di odio nei confronti del rumore e di chi lo provocava. Nella sua testa si sorprendeva di come potessero dei bambini creare tanta confusione ed essere tanto maleducati quando salissero nell'autobus, si arrampicavano ovunque, mettendo ad alto volume canzoni dal gusto discutibile e cantando parole a caso, mentre con tono languido lanciavano squallidi complimenti alle ragazzine della loro età, proprio come i loro genitori, gli stessi ambulanti che la mattina non potevano evitare di fare versi al passare di una ragazza, quasi come se dovessero chiamare un gatto o un cane. Una dimostrazione pratica avvenne cinque minuti più tardi, quando all'arrivo del mezzo, mentre si stavano per chiudere le porte, una signora anziana che non era riuscita a salire picchiettò con il bastone sul vetro della portiera, prima che il mezzo partisse, ma l'unica ad averla sentita o ad averle dato importanza fu Luce, che urlò al conducente:«Aspetti! Una signora deve salire». L'autobus si fermò e riaprì lo sportello, cosi lei allungò un braccio per aiutare la signora e la avvicinò al manico per reggersi. Si guardò intorno, nessuno si mosse, nessuno in quel mezzo volle offrire un posto alla signora anziana, tutti i passeggeri la guardavano: signori adulti, bambini, ragazzi di varia età e nessuno mosse un piede. Luce si sconvolse di quanta indifferenza circondasse la città, come poteva essere possibile che, in un mezzo pubblico con almeno venti persone all'interno, nessuno potesse avere un pensiero gentile per quella donna? Pensò che fosse facile essere indifferenti quando i problemi non riguardano sé stessi. Con sguardo accigliato si voltò verso la ragazzina dietro di lei, che in quel momento, per la sua età, sarebbe dovuta essere a scuola, la guardò e le chiese con sgarbatezza: «Se questa signora fosse tua nonna la faresti sedere?». Il suo tono arrivò alle orecchie di tutti, che si voltarono a guardarla senza dire una parola. La ragazzina, in evidente stato di imbarazzo misto a fastidio, alzò un sopracciglio e lasciò il posto, andando in fondo alla vettura con le braccia incrociate. Luce aiutò la signora a sedersi, che la ringraziò calorosamente, e tornò a reggersi nervosamente non credendo a quanto fosse appena accaduto. Sconvolta lei stessa del rimprovero che si ritrovò a fare, stava fremendo dal dover urlare al mondo il suo disgusto, ma si trattenne. Guardò il telefono e scrisse un messaggio a Luca "indecenza nella 109, sto arrivando aspettami." Dal finestrino dell'autobus vedeva la gente camminare, ognuno per la sua strada, ognuno indaffarato con i propri problemi, tante persone con la propria vita, la propria cerchia di persone, tutti legati dal medesimo destino ma tutti egualmente disinteressati a tale argomento; si sfiorano e neppure si vedono, non si rendono conto di essere nello stesso luogo. La foto di un ragazzo morto appesa a un albero, chissà per colpa di chi, chissà per quale sbaglio commesso, pensò a quanto fossero fragili gli attimi che ci circondano, a quanta responsabilità ci sia dietro la vita di una persona, che sia un'anziana o un bambino, dalla guida prudente di un auto alla gestione della qualità degli ingredienti di un locale, alla vendita di frutta con i giusti pesticidi. Il tempo è breve e prezioso, viene sottovalutato. Qualunque nostro gesto può, in ogni momento, condizionare la vita di qualcun altro; qualunque parola può sorprendere e cambiare la vita delle persone che sono attorno a noi e tutti tendono a ignorare l'importanza della parola. Per un attimo pensò ai suoi genitori. fu investita da un profondo senso di colpa per aver deciso di cambiare strada e andare sola prima del previsto. Accese il telefono, andando su whatsapp, vide le varie conversazioni e poi il nome del gruppo condiviso coni suoi genitori, era figlia unica e quel gruppo doveva servire ad informare di eventuali richieste ed aiuti, ma l'ultimo messaggio risaliva a una settimana fa, con un "buon lavoro " scritto da suo padre. Si erano sentiti al telefono il giorno prima, ma era stato un caso, chiedevano della sua presenza al matrimonio della cugina Rita, cugina con cui l'unica cosa che condivise in vent'anni fu un bicchiere d'acqua alla vecchia rimpatriata natalizia di famiglia. Presa da una profonda nostalgia, scrisse:

''Oggi il sole splende, buona giornata e buon lavoro a tutti e due.'' Con un emoticon che sorrideva e un sole.

Scese dall'autobus e si diresse all'entrata dell'università: era un viale ampio e vasto in cui si trovavano in totale 19 edifici la cui struttura rispecchiava gli studi che vi si svolgevano, dagli edifici di biologia poveri fuori ma ricchi dentro, all'edificio di agraria pieno di alberi e coltivazioni. Cominciò a camminare verso il bar, dove la stava aspettando Luca, emozionato della sua presenza. In due anni, da quando era iniziato il suo percorso universitario, non era mai venuta a trovarlo, sia per colpa del lavoro che per la sua intenzione di evitare qualunque situazione comportasse il fare nuove amicizie. Mentre camminava notò delle zone verdi, una serie di giardini quasi vuoti con tre o quattro alberi di falso cotone in mezzo. Si fermò di colpo a un metro di distanza da uno di essi, cominciò a guardarlo osservando soprattutto la corteccia piena di spine, rigonfio verso la base come se avesse la pancia piena. Era molto alto, aveva i rami sottili e pieni di bozzoli verdi e grossi alle estremità. Fra qualche settimana sarebbe stato l'equinozio di primavera e quei bozzoli avrebbero cominciato ad esplodere lanugine bianca che avrebbe ricoperto il viale dell'università di fiocchi bianchi e polverosi. Ma quello che la sorprese, che la fece sentire vicina a quell'albero, furono le sue spine; conosceva la specie perché era solito vederlo per le strade di Palermo, ma non aveva mai riflettuto sulla sua capacità di difendersi dalle minacce. Tante spine su tutto il corpo, pensò, ecco perché era così alto, era sicuro di sé e della sua forza, era un esempio di naturale sopravvivenza. Provò a toccare le spine con un indice ma senza accorgersene applicò una leggera pressione che le fece bucare il dito e provare un leggero fastidio che fu subito seguito da un colare rosso e caldo di denso sangue. Si staccò e portò il dito vicino agli occhi: una piccola, gonfia e rossa goccia stava immobile sopra la pelle, aspettando di essere ripulita.Vibròil telefono, un messaggio di Luca '' a che puntosei?'',si infilò il dito in bocca e rispose velocemente con l'altra mano '' son qui''.

Acqua SalataWhere stories live. Discover now