Mich fatti coraggio!

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- Abbiamo fatto un ottimo lavoro. – ero soddisfatto.

- Mich guarda! – si chinò per raccogliere il telo di lino bianco che ormai era diventato blu. – La rosa ha lasciato il segno sul telo, come se avessimo usato gli stencil!

- Carino – ribadii.

- Carino? Non capisci? Questa è la nostra bandiera! In nome della nostra amicizia io, Lee Chen, ti nomino vessillo della nostra piccola famiglia – si inchinò in segno di rispetto verso quella “recita”.

- Famiglia? – domandai.

- Ma certo – mi prese le mani – Noi siamo una famiglia, piccola ma pur sempre famiglia. Ci aiutiamo a vicenda e ci siamo sempre, infondo non vuole dire

questo?

Ho sempre amato la parola famiglia, immaginandomi quella perfetta, di famiglia, quella delle pubblicità: perfetta, in sintonia e sempre felice.

Però, in quel momento non sapevo se la parola “famiglia” mi andasse a genio o mi fosse scomoda. Volevo una sorella, un’amica o una ragazza? Sarebbe stato possibile averle tutte e tre?

- È un modo per dirmi che mi vuoi bene? – chiesi.

- Non ti gasare, però sì. – mi abbracciò.

Era quello il bello di Lee, riusciva sempre a vedere ciò che c’era dietro e non si soffermava sulle apparenze, riusciva a trasformare un momento di ansia e tristezza in una recita divertente a sfondo serio.

- Ora dobbiamo dare alle rose un aspetto presentabile. – enunciai.

- Ci penso io. Non è che in garage hai qualche tessuto?

- Mia madre dovrebbe aver messo in una scatola tutti gli stralci che non utilizza più.

Cercai per dieci minuti tra le mille scatole che avevamo in garage, e quando stavo per perdere la speranza vidi uno scatolone con una scritta sbiadita: “tessuti”. L’aprii e vidi mille fantasie diverse: righe, Scacchetti, quadri, fiori ecc. Ribaltai la scatola facendo cadere tutto quello che c’era dentro.

- Scegli. – posai la scatola e stetti a guardare.
Lee si chinò ed iniziò a dividere in due gruppi i tessuti.

- Quelli a destra non mi serviranno, mentre quelli a sinistra li userò tutti. Rimisi tutti i tessuti scartati dentro la scatola e mi ricordo di aver pensato che probabilmente ci si sente così quando si viene scelto per ultimo a palla avvelenata: inutile.

Stetti a guardare Lee lavorare duramente intrecciando fili e facendo fiocchetti con tutto il materiale che si era presa. Le sue piccole e delicate mani operavano velocemente e con precisione. Dopo circa una decina di minuti Lee aveva finito.

- Ecco fatto! – esclamò mostrandomi il lavoro finito.
Era uno splendido mazzo di rose blu con un involucro velato e con alcuni fiocchetti ricavati da un tessuto a quadretti bianchi e rossi che tenevano uniti gli steli dei fiori.

- Non sapevo fossi così creativa, mi nascondi sempre qualcosa. – affermai.

- Non sai nulla di me. – rispose scherzando, o forse no.

- Sei riuscita persino a nascondere la finta rosa blu. Qual è?

- Non lo ricordo neanche io. – sorrise.

- Ora che si fa?

- Bè dovresti andare da tua madre no? – mi restituì il mazzo di rose.

- Sai, io ho fatto tutto questo per farmi perdonare da mia madre, e so di aver sbagliato ma chiedere scusa a qualcuno è una cosa difficile per me. Capisci? Sono nel torto e lo riconosco, ma ammetterlo e andare a chiedere il perdono è come un’umiliazione.

- Il brutto degli orgogliosi è che non si piegano a nessuno. – spiegò.
Abbassai gli occhi in senso di sconforto.

- Devo venire con te? – continuò.

- No, è una cosa tra me e mia madre, chiederò scusa indirettamente, non di persona intendo. Glie li lascerò sopra il tavolo con un biglietto di scuse cosicché non dovrò guardarla negli occhi.

- L’orgoglio ti fa arrivare a dire certe cose?

- Io sono fatto così- mi giustificai.

- Non usare questa scusa mediocre, il carattere si forma Mich. Ora tu andrai da tua madre faccia a faccia e le chiederei scusa mettendo da parte la tua stupida superbia.

Strinsi il mazzo di rose e mi avviai verso casa.

Airplane. Le ali sono fatte per volareHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin