Dottor Jackill e Mr Hide

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Iniziai a scuotere la ragazza lentamente, poi ci misi un po’ più di forza e…

- Ehi, Mich, non sono un frullato – sbiascicò. …E si svegliò.

- Cambiato umore? – domandai.

- Direi di no, ma la tua presenza mi impedisce di deprimermi.

- Mi racconti che è successo? Non ne posso più di vederti così e non poter fare niente. – canzonai.

- Attenzione signori! Michael Lowen si sta preoccupando di qualcuno! – disse stranamente acida.

- Ma cosa stai dicendo? Un attimo fa hai detto che sono il tuo “antidepressivo”, e ora mi prendi anche per il culo? – mi scaldai.

- Senti Michael – non mi aveva mai chiamato così se non per scherzare, mi si gelò il sangue… o il cuore? – Al momento voglio solo stare da sola.

- E allora sai che ti dico? Fai come ti pare, resta qui a deprimerti per non so neanche cosa perché non vuoi aprire quella tua stupida boccuccia, e fottiti. – le urlai dietro.

Lei neanche mi guardò in faccia, men che meno mi rispose. Mi diede ancora più fastidio.

Scansai le enormi foglie che facevano da accesso “segreto” al nascondiglio.

Ma come ci avevo anche minimamente pensato a condividere il mio, e dico mio, nascondiglio?

Era molto più bello essere stronzi, sentirsi vigliacchi. Non ti devi preoccupare di nessuno, sei solo ma ti conforti con il detto “meglio solo che male accompagnato”. Mi piaceva inquietare la gente, mentre ora non mi riconosco neanche più. Mi manca un fiore tra i capelli, e signori e signore datemi il premio Nobel per la pace. Arrivato alla macchina con i polmoni a fuoco, i sensi di colpa mi assalirono. La mia parte buona stava prevalendo sul lato mediocre di me.

Avevo lasciato una ragazza che piangeva da sola, in una palude, con una sola bandiera, e con un’enorme strapiombo davanti a lei.

La mia mente iniziò a farsi i peggiori scenari immaginabili, perciò attaccai a correre ripercorrendo la strada all’inverso.

Spostai tutti i rami che intralciavano il passaggio, mi graffiai con le spine di alcune piante selvatiche, scostai le solite foglie d’entrata, e finalmente la rividi.

Corsi da lei, che era ancora seduta, e me la presi in braccio. Il mio cuore iniziò a calmarsi sapendo che ora era salva tra le mie braccia, le mie braccia insanguinate. Lei mi abbracciò forte, e io chiusi forte gli occhi. Perché? Perché avevo bisogno di sentirla davvero.

La baciai in fronte, come un padre avrebbe fatto con sua figlia.

Per la terza volta in un solo giorno, rifeci di nuovo la strada per tornare da Berta e caricare il peso che avevo in braccio.

- Sei ferito. – guardò inorridita Lee.

- Zanzare – risposi spavaldo io.

- Si, certo. Le zanzare non ti provocano un intero braccio insanguinato.

- Ok, mi sono fatto male correndo da te, mi hanno ferito i rami e le spine.

- È stato carino da parte tua. – sussurrò.

- Non dirlo neanche per sogno, avevo solo paura. Punto. – guardai altrove.

- Come dici tu. – rise.

Ci guardammo e lei mi lasciò impresso sulle labbra un bacetto veloce. Noi eravamo questo. Due fratelli che dimostrano affetto in maniera diversa. Non era amore. Assolutamente no. Ci volevamo bene? Si, forse sì. Scese dalle mie braccia e salii in macchina.

- Dove mi porti cowboy? – domandò.

- A fare spesa – dissi guardando la strada uscendo dal parcheggio.

- A fare spesa? – ripeté ogni parola scandendole tra loro in maniera delusa.

- Ti piacerà, te l’assicuro.
Lee alzò le mani in segno di arresa.

Airplane. Le ali sono fatte per volareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora