Bene e male

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Does it have to be this hard?
We can stop the fighting
If you let down your guard.
(Birdy, Standing in the Way of the Light)

Quando entrò nel covo di Gellert Grindelwald, la sua prima impressione fu uno spiacevole senso di soffocamento. Era abituato ai vasti corridoi di Hogwarts, e ritrovarsi di colpo in quella ragnatela di cunicoli gli fece immediatamente mancare il respiro. Non riuscì a fare a meno di pensare che non era affatto da lui rintanarsi come un verme, non gliel'aveva mai visto fare. Forse si sarebbe aspettato più qualcosa di simile a un grande palazzo riccamente decorato e coperto di simboli in ogni angolo, ma nulla di simile a quello che aveva davanti. Lo conosceva troppo bene per non capire al volo che quella precisa posizione non era stata scelta a caso. E nemmeno il suo invito era stato casuale, credeva anzi di aver già capito cosa volesse da lui. Continuava a ripetersi che era andato lì solo per mantenere il relativo clima di pace, ma la verità era ben diversa. In cuor suo sapeva che voleva sentirselo dire da lui, e che forse aveva anche quella timida speranza di riuscire a fargli cambiare idea senza ricorrere allo scontro. Non era certo di essere pronto a ucciderlo. Seguendo le indicazioni che gli erano state date, si ritrovò in una stanza avvolta nella penombra, fredda e inospitale, occupata solo da una lunga scrivania. In fondo alla sala, Grindelwald era in piedi, in attesa. Come se avesse percepito un'altra presenza nella stanza, si voltò lentamente, puntando il suo occhio chiarissimo su di lui.
— Albus...— disse spalancando le braccia. — Non nascondo che non mi aspettavo di vederti arrivare!
— Risparmia i convenevoli, Gellert, e facciamolo in fretta. Ho lezione tra due ore.
— Sempre di corsa... proprio come ai vecchi tempi. Vieni, siediti, lascia che ti offra una tazza di tè —.
Albus non se lo fece ripetere. Spostò una sedia addossata al lato opposto della scrivania e si sedette, cercando di respirare regolarmente. La sua schiena rigida, però, tradiva tutta la sua tensione. Guardò Gellert negli occhi, senza timore, e quello sguardo lo riportò a tanto tempo prima, quando erano solo loro, due ragazzini pieni di speranze e di ambizioni più grandi di loro. Ambizioni che, ricordò a se stesso, avevano solo finito per distruggere la sua famiglia e tutto quello che aveva di più caro. Gellert sembrò per un istante, solo per un istante vacillare sotto lo sguardo deluso e allo stesso tempo deciso di Albus, ma non lasciò trasparire alcuna emozione. Batté la mano sul tavolo, una, due, tre volte, e un uomo dall'aspetto impaurito entrò nella stanza, tremando visibilmente e facendo tintinnare i cucchiaini nelle tazze che aveva tra le mani. Quel suono acuto squarciò l'atmosfera quasi irreale che si era creata, e sulle labbra di Gellert apparve un sorriso perverso.
— Ti ringrazio, Torquil. Servi pure il nostro ospite! — disse con voce melliflua, mentre l'uomo spaventato appoggiava una delle due tazze davanti ad Albus e l'altra davanti a lui.
— Che cos'è? — chiese immediatamente Silente, sicuro che non si trattasse di semplice tè.
— Ma come, non lo riconosci? Eppure eri tu quello colto... stai perdendo colpi, Al?
— Nulla nuoce maggiormente alla sapienza quanto l'eccesso di intelligenza
— Adesso ti metti a citare anche i Babbani? Sei caduto in basso!
— Non ho mai appoggiato il tuo odio per i Babbani, e lo sai
— Io non odio i Babbani —.
Dopo quell'affermazione, Gellert rimase in silenzio, un silenzio che non era dettato dall'incertezza, quanto da un preciso calcolo volto a far vacillare la sicurezza di Albus. Lui era sempre stato così: sapeva dosare ogni parola, e persino ogni silenzio a suo vantaggio, e a quel punto avrebbe potuto dire qualunque cosa, e nessuno l'avrebbe mai considerata completamente sbagliata. Albus sentì che stava scivolando di nuovo in quella trappola, così si affrettò ad abbassare lo sguardo sulla sua tazza. Il liquido che la riempiva fino all'orlo era di un colore a metà tra il giallo e il marrone, identico al tè che beveva abitualmente anche nell'odore.
— Devo morire, non è così? — dedusse, accarezzando con un dito il manico della tazza. — Prima di vedere la mia foto sulle figurine delle Cioccorane —.
— Lascerò che sia tu a deciderlo
— Non hai nemmeno il coraggio di uccidermi con le tue mani
— Qui non si tratta di coraggio, Albus. Io ti sto dando una scelta. Qualunque essa sia, avrà delle conseguenze. Puoi scegliere di bere e farla finita così, oppure rifiutare. Ma temo che in quel caso non ci sarà nulla da fare per evitare la morte di altri Babbani. Visto che tieni tanto a loro, adesso hai l'occasione di proteggerli —.
Anche Albus tacque. Unì le mani sotto il tavolo, tamburellando le dita con una calma disarmante.
— Perché dovremmo combattere? Possiamo tornare insieme, come ai vecchi tempi, come se tutto questo non fosse mai accaduto
L'espressione beffarda di Gellert gli fece capire tutto, e fu allora che realizzò quello che aveva sempre sospettato, ma che non aveva mai voluto accettare:
—Per te non ero altro che un mezzo per raggiungere i tuoi scopi, non è così?
Gellert non rispose. Sapeva, nel profondo del suo cuore avvizzito, che non era stato così. Ma ormai non riusciva più a ricordare come provare emozioni.
— Gellert, non devi farlo per forza. — continuò Albus, stringendo i denti per non lasciarsi sopraffare dal dolore. — Non è mai troppo tardi per tornare sui propri passi.
— E perché mai dovrei tornare sui miei passi?
— Perché quello che stai facendo è sbagliato
— Sbagliato, dici? È interessante questa parola che usi. Chi decide cosa è sbagliato? Come fai ad essere tanto convinto che la tua idea di giustizia sia quella corretta? Albus, forse un giorno capirai che non esistono idee sbagliate. — abbassò la voce a un sussurro tagliente quanto la lama di un coltello. — Esistono solo parole poco persuasive
— Togliere la vita a degli innocenti è sbagliato in ogni caso — affermò Albus con convinzione.
— Non venire a fare la predica a me, non è per questo che ti ho chiamato — rispose Gellert con un'implicita minaccia nella voce.
— Ti chiedo ancora di riflettere attentamente sui tuoi crimini. Questa guerra non porterà a niente
— Parli come se tu fossi innocente. Come se non avessi nulla a che vedere con questa storia
— È così
— Quante volte ti sei dovuto ripetere queste parole prima di convincertene? Albus, questo non è il mio progetto, è il nostro progetto. La speranza di un mondo migliore, in cui i maghi abbiano il posto che spetta loro di diritto. Non è per odio che combattiamo, ma per il Bene Superiore
— Vedo che utilizzi ancora quest'espressione, che tra l'altro è stata coniata da me
— È il nostro sogno, non ricordi?
— No, non più. Non tornerò indietro
— Non sei stanco dei Babbani che ti trattano come se fossi un essere riprovevole per il semplice fatto che non vogliono riconoscere la tua superiorità?
— È qui che ti sbagli. I Babbani non sono inferiori.
— Ti credi tanto migliore di me, vero? Ma noi siamo simili. Anche tu sei un assassino. Ti sei macchiato del più grave dei crimini quando hai ucciso tua sorella
Albus indugiò. — No, non è vero — sussurrò, ma la sua voce tremava. Per tutta la vita aveva trovato la forza nella speranza che quel colpo non fosse partito dalla sua bacchetta. Non si era mai perdonato per non averla amata come avrebbe dovuto, ma la consapevolezza di essere colpevole della sua morte gli provocò un dolore lacerante. Gli parve quasi di vedere il suo volto pallido mentre esalava l'ultimo respiro della sua breve vita, e sentì il battito del suo cuore accelerare. L'uomo che aveva davanti, era lui la causa di tutto.
Gellert comprese dalla sua espressione sconvolta di averlo colto di sorpresa. Finalmente lo aveva in pugno. Avrebbe dovuto puntare prima su quella che sapeva essere la sua più grande debolezza, e non sapeva cosa l'avesse trattenuto dal farlo. Prese la sua tazza tra le dita con un unico gesto elegante e la avvicinò alle labbra.
— Qual è la tua risposta?
Diversamente da come si aspettava, Albus non bevve. Nonostante il senso di colpa lo stesse divorando, c'era ancora qualcosa in lui che non era crollato, e che gli dava la forza di continuare a combattere. Era la voglia di non arrendersi e di vendicare Ariana dall'Albus che era anni addietro. Si alzò senza dire niente e si voltò. Fece per uscire dalla stanza, ma si fermò all'ultimo istante.
— So della traditrice — disse. — Non fidarti di lei, non porterà a nulla di buono —.

Unitevi a me... o moriteWhere stories live. Discover now