11. Riunione di famiglia

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Aveva finalmente iniziato a nevicare in quella caotica e fredda notte di Natale, regalando un po' di gioia ai bambini che raccoglievano cumuli di neve per fare pupazzi in giardino.
Maka e Soul, eleganti e impeccabili, aspettavano in silenzio sui sedili posteriori di una limousine. Non avevano parlato da quando erano partiti di casa: quella sera, invece di rimanere a cena con i loro amici a casa di Tsubaki, i genitori dell'albino li avevano obbligati a partecipare alla festa annuale di beneficenza della famiglia Evans, che si sarebbe tenuta proprio nella dimora dei due coniugi.

Maka, con i capelli tirati e raccolti in una crocchia alta, fissava inespressiva i finestrini appannati. Soul, invece, teneva lo sguardo basso sulle mani intrecciate. Entrambi pensavano probabilmente a come rompere il silenzio. 

«Ci siamo quasi, signori. Mi fermo davanti all'ingresso così evitate un po' di neve» annunciò l'autista, buttando l'occhio sullo specchietto retrovisore: la bionda fece un sorriso meccanico e Soul ringraziò.

«Ti tengo l'ombrello, se vuoi» disse a bassa voce l'albino, rivolgendosi alla fidanzata.

«Faccio una corsa sulle scale, non preoccuparti» rispose lei.

Soul annuì e strofinò le mani sulle cosce.
Era teso. Avrebbe rivisto sia Wes che i suoi genitori. E non si sentivano più da quattro anni.

Certo, nemmeno loro si erano preoccupati di chiamare...

Maka, notando la sua espressione preoccupata, si avvicinò e gli prese il colletto fra le dita per sistemarlo. Diede un'aggiustata anche alla cravatta rossa e afferrò i lembi della giacca del completo nero, lisciando il tessuto.

«Ora va meglio» sorrise.

«Grazie...».

Il ragazzo soffiò, iniziando a muovere irrequieto le ginocchia. La neve batteva forte sul parabrezza della macchina, ripulito ininterrottamente dai tergicristalli.

«Tu sei nervoso?» chiese scettica Maka, tornando a guardare fuori dal finestrino. «Io come dovrei sentirmi? Le nostre famiglie si odiano».

Soul corrugò la fronte. «Che si fottano».

«Questo dovevi dirlo al telefono con tuo padre».

L'albino si lasciò sprofondare sullo schienale.

«Vuoi tornare indietro? Dico all'autista di fare dietrofront e ce ne andiamo da Tsubaki».

«Troppo tardi». Maka guardò oltre il parabrezza. «Siamo già arrivati».

L'albino allungò il collo e scorse la grande villa di suo padre, una grossa fonte di luce artificiale su una collina appena fuori Death City. 
Da piccolo aveva sempre odiato quella casa. Parlava più con la servitù che con i suoi genitori. E forse Wes era l'unico che si salvava, anche se molto spesso ci litigava pesantemente. O per colpa di un brano musicale, o per una ragazza che piaceva a entrambi.

«So che non ami spendere, mi dispiace per il vestito» si scusò, guardando la bionda.

Maka si passò la lingua sui denti.

«Non potevo presentarmi in jeans» rispose semplicemente.

L'albino ghignò. «Ti sta bene».

Maka sorrise e tirò su le bretelle sottili per ridurre la scollatura dell'abito dorato, che luccicava come i diamanti incastonati nei suoi orecchini pendenti, un regalo di Wes.
Era stato un gesto davvero inaspettato. Non era nemmeno certa che Wes sapesse della sua esistenza. 
Forse era per via dell'alleanza Albarn-Evans. Probabilmente non immaginava neanche che lei e Soul stessero insieme. O magari pensava a un tutt'altro tipo di relazione...

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