Rosso Pompeiano

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Sono steso nell'erba nonostante il terreno sia ancora umido dalla notte, ma il bisogno di sentire sotto di me lo stesso terreno che ha accolto il mio corpo assieme a quello di Mario, è più forte della paura di prendermi un malanno.

Ho letto e riletto la risposta che mi è arrivata all'invito che ho mandato alla ragazza che mi ha velatamente suggerito mia mamma e leggere le sue parole mi ha fatto salire la bile in gola.

Guardo il cielo, osservando le nuvole che lentamente si muovono, fondendosi una con l'altra formando figure in transizione e nel frattempo mi chiedo se Mario sia ancora a letto o se sia già a scuola. Rispetto a me, lui è un'ora avanti, ma per quello che lo conosco so che se potesse rimanere a letto fino alle dieci tutti i giorni, lo farebbe.

Sospiro e subito dopo mi metto a sedere. Apro la nostra chat evitando di guardare quella che ho dovuto aprire con la ragazza e rimango a fissare quel suo ultimo messaggio. Le dita fremono sopra la tastiera e il piede ha iniziato a battere il ritmo del cuore, aumentando sempre di più la sua intensità.

Mi ero promesso che fino a quando non avessi avuto una buona notizia da dargli, non gli avrei scritto, ma sono così al limite dallo scoppiare che se non lo faccio ora, potrei rischiare di non vederlo più.

Ti penso gli scrivo e poi prima di cambiare idea, sfioro il tasto per inviargli il messaggio.

Chiudo gli occhi e li strizzo talmente forte da farmi male mentre stringo tra le mani il cellulare, in una tacita richiesta di aiuto.

Inizio a contare e non lo so nemmeno io cosa credo, ma farlo mi aiuta a rilassare i muscoli. Non voglio accedere per controllare se lo ha ricevuto, perché se così fosse e vedessi che esattamente come ho fatto io, visualizza senza rispondere, potrei morire.

Butto fuori un respiro e dopo essermi accertato che le mie gambe non siano più molli dalla paura, mi alzo in piedi. Ho il sedere umido a causa del terreno, ma non mi importa. Prendo la bici, monto in sella e inizio a pedalare diretto verso scuola. E non appena arrivo nel parcheggio, sento la vibrazione del telefono ronzare nella tasca dei jeans.

Non può essere lui, continuo a ripetermi nella testa, ma non appena recupero il telefono e leggo il suo nome sullo schermo, mi mordo le labbra, timoroso tutto d'un tratto a rispondere.

E nel pensare se accettare o rifiutare, lascio andare la chiamata, perdendo la mia occasione di sentire la sua voce. Impreco. Scendo dalla bici, la lego e proprio quando sto per sbloccare lo schermo, rileggo il suo nome che lampeggia nuovamente.

E questa volta non ci penso due volte a rispondere, mandando a fanculo tutti, decidendo di mettere al primo posto me per una volta.

"Hei" gli dico non appena appoggio l'orecchio al telefono.

"Ciao a te!" mi dice allegro e non appena sento la sua voce, nel mio petto uno stormo di volatili iniziano a sbattere le ali all'unisono, provocandomi un'agitazione inimmaginabile.

"Che fai?". Gli chiedo.

"Ho appena finito la prima ora, tu?".

"Entro ora".

Mi siedo sul muretto che delimita il parcheggio e dondolo i piedi avanti e indietro. Non abbiamo mai parlato al telefono, quando era qui ci scambiavamo solo messaggi ed è strano come nonostante siano passati molti giorni da quando ci siamo salutati, mi sia bastato sentire il suo ciao per cancellare tutto il tempo che ci ha diviso.

"E dimmi, hai i tuoi soliti pantaloni al ginocchio?" mi prende in giro.

"A dir la verità indosso un paio di jeans e una maglietta da centinaia di dollari!". E anche se non siamo uno di fronte all'altro, so che in questo preciso istante sta sorridendo.

"Immagino la facilità di acquistare una maglietta costosa in quel buco di paese in cui a mala pena arriva la posta!" e ride. E la sua risata mi entra sotto pelle, invadendo e accerchiando il mio cuore.

"Difatti non l'ho comprata! L'ho solo presa in prestito!".

"Wow! Hai amici molto gentili se ti lasciano indossare i loro vestiti!".

"A dir la verità non gli importava molto d'avermi lasciato questa maglietta, ricordo ancora che mi ha detto che ne avrebbe comprata una nuova uguale! Ma conto di restituirgliela un giorno". E in questo momento il mio cuore assomiglia a una lattina di coca cola che viene aperta dopo che è caduta a terra, facendo esplodere tutte le sue bollicine dappertutto.

"Sono quasi certo che quel tuo amico alla fine non l'abbia ancora comprata, magari perché spera di riavere indietro la sua!". Mi dice lui con un tono di voce più basso, più intimo. Che assomiglia molto a quello che usava prima di baciarmi con passione.

"Allora magari gliela riporterò!" gli dico e in sottofondo inizio a sentire delle voci confuse e poi una chiara, segno che si sta rivolgendo a lui, al mio Mario. Ed è in questo momento che mi accorgo che non so più niente di lui, della sua vita, di sua mamma, dei suoi amici. E quel vezzeggiativo, quel tesoro con cui ho sentito chiamarlo, mi fa pizzicare ogni nervo. Lo sento dire un arrivo, probabilmente allontanando il telefono dalle labbra per non urlarmelo nell'orecchio, per poi tornare da me.

"Amore devo andare!" mi dice.

E l'unica cosa che riesco a dirgli è uno stupido ok, prima di salutarlo.

Ma è solo quando chiudo la chiamata e rimetto il telefono in tasca che mi sento come se mi trovassi in mezzo a un bombardamento tra due fazioni diverse, dove una lancia cuori e l'altra lame pronte a tagliarli a metà.

Possibile che subito dopo essere stato chiamato tesoro da un ragazzo, si sia rivolto a me chiamandomi amore? E mentre il mio cervello continua a cercare motivi validi per quel tesoro, il mio cuore si aggrappa con tutta la sua forza all'altra parola, lasciandomi stordito e felice come non lo ero da molto tempo ormai.

Scendo dal muretto e solo quando mi accorgo che ormai il parcheggio è vuoto, corro verso l'entrata, sperando di non essere troppo in ritardo per la prima lezione.

E sebbene questa sera ci sarà quel dannato appuntamento, sapere che lui è lì che mi aspetta, mi da la forza necessaria per affrontare questa tortura.


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