Passarono i giorni, le settimane e poi anche i mesi.
Tutto quello che inizialmente era confuso, iniziò a prendere forma e le linee del contorno che delimitavano la mia vita, iniziarono a diventare più marcate mettendo davanti ai miei occhi una strada che poco a poco era diventata sempre più facile da percorrere.
Non che la situazione fosse facile, ma col tempo avevo imparato ad accettare che quello che ero e quello che provavo, erano parte di me e che se mia madre non riusciva ad andare oltre alle sue credenze per accettare suo figlio per intero, non avrei dovuto per forza attribuirmi la colpa delle sue scelte. Lei poteva cambiare idea, ma io non potevo cambiare chi ero.
Ogni volta che ci incontravamo in paese evitava i miei sguardi e se inizialmente il dolore che provavo mi prendeva forte al petto, col tempo iniziò a sfumare, diventando solo una lieve increspatura che quando provi a grattarla via senza riuscirci ti crea solo un po' di nervoso, ma che passato l'attimo te ne dimentichi per poi proseguire con quella che è la tua vita.
Tutto quello che improvvisamente mi era piovuto addosso e che aveva iniziato a stringermi forte tra le sue pareti togliendomi il respiro, alla fine era passato e fievolmente l'avevo superata. Le voci si erano fermate, le occhiate erano venute meno e i pregiudizi erano caduti uno a uno. E quasi ogni mia paura era sparita.
Cercavo di trascorrere le mie giornate ogni giorno nello stesso modo, compiendo gli stessi gesti e cercando di arrivare a sera il più in fretta possibile. Come se questo potesse far correre il tempo più velocemente.
"Hai deciso?" mi chiede sua nonna raggiungendomi in cucina.
Sono seduto al tavolo da pranzo, davanti a me il portatile con la chiavetta che mi ha comprato mio padre per poter continuare a navigare in internet in quella casa che non aveva nessun dispositivo elettronico, gli appunti presi su fogli volanti cancellati e poi riscritti, cercando di volta in volta ogni più piccola imperfezione.
"Non ancora" le rispondo amareggiato.
"Devi farlo!".
Lo so. E so anche di essere oltre il limite di tempo per la domanda, ma ogni volta che cerco una soluzione, salta fuori un imprevisto che mi lascia senza via d'uscita.
"Ci sto provando" le dico alla fine, ricontrollando per l'ennesima volta la retta universitaria.
La sento sbuffare mentre si siede accanto a me, prendendo il foglio che sto leggendo pieno di cifre.
"Lasciati aiutare" mi dice lei leggendo quello che avevo scritto.
"No. Ne abbiamo già parlato".
Non voglio sentirmi in debito con nessuno e per nessun motivo accetterò i suoi soldi. Per quanto apprezzi il gesto, non posso prendere quello che vuole darmi solo per vedermi coronare un sogno che nessuno dei due saprà se diventerà realtà o se si trasformerà solo in fumo nero.
"Allora è inutile che continui a temporeggiare. Non ci sono altre soluzioni e se questo è ciò che desideri, ciò che vuoi veramente, devi andartelo a prendere con le unghie e con i denti. Hai già affrontato una tempesta, ora vai a salpare quel mare che ti aspetta!".
Sorrido e alzo gli occhi per incrociare i suoi.
Non so come faccia, ma sa sempre cosa dire e quando dirlo. Come se mi osservasse da lontano per poi venire a darmi quella spinta che io da solo non saprei darmi.
Apro la pagina dell'università di New York e poi cerco il modulo per le iscrizioni. Tisch School of the Arts.
Non sapevo che indirizzo avrei scelto, non sapevo cosa si nascondesse dentro di me perché troppo impegnato a mascherarmi al mondo, ma in questi mesi, velo dopo velo, ho tolto ogni lembo di tessuto che nascondeva la mia vera essenza, riportando in superficie la mia anima più pura. E dall'oscurità era riemersa anche la mia passione per la scrittura drammatica.
Da lì in poi scoprire che la stessa università che aveva scelto Mario, offriva anche quello che sarebbe piaciuto fare a me, era stata una strada in discesa, almeno fino a quando non avevo visto quanto mi sarebbe costata la mia ambizione. Non avrei mai potuto pagare quello che mi chiedevano ed entrare con una borsa di studio era ormai impossibile e quando l'unica opzione rimasta era quella di lavorare per pagarmi gli studi, inizio a chiedermi per quante ore avrei dovuto sudare per poter accedere a quelle aule che in molti desideravano.
Era una follia bella e buona, ma per la prima volta sapevo quello che volevo e perdere tutto solo perché non ero abbastanza coraggioso da premere quell'invio, avrebbe tagliato le gambe a ogni mia fantasia.
Per fortuna al mio fianco avevo chi credeva in me e anche se le mani avevano iniziato a tremarmi, compilai il modulo in ogni suo campo, richiedendo anche la possibilità di trovare lavoro attraverso la facoltà, così da potermi agevolare una volta arrivato in città.
Sarebbe stata la sfida più grande della mia vita, ma ormai non avevo più niente che avrebbe potuto fermarmi. Avevo fatto delle scelte, sbagliate agli occhi di alcuni, ma sicuramente giuste ai miei e niente mi avrebbe impedito di raggiungere quella felicità che già immaginavo di poter stringere tra le mie braccia.
Lascio andare un sospiro di liberazione e quando torno a incrociare gli occhi di sua nonna, la vedo sorridermi.
"Glielo dirai?" mi sento chiedere.
Mi fermo un secondo a raccogliere i pensieri, lasciando scorrere lo sguardo attorno a me, attorno a questi mobili che più di una volta ci hanno sostenuto nei nostri abbracci. Non avrei mai pensato che sarei finito qui, in questa casa che mi ha accolto con tutto l'affetto che solo chi ti ama sa regalare.
"No".
"Perché? Lo sai che lui è lì che ti aspetta!".
Certo che lo so. Me lo ricorda spesso, come se potessi dimenticarmi che sulla costa est c'è qualcuno che non aspetta altro che il mio arrivo. Ma lui non sa niente, non sa che sono stato cacciato di casa, non sa che mia mamma è venuta a saperlo per colpa dei miei fratelli, non sa quello che ho passato e quanto ho sofferto. Non sa che non ho fatto nemmeno in tempo a capire che lui era tornato nuovamente a casa prima di affrontare tutto quello che mi è caduto addosso. Non ho avuto il coraggio di dirglielo, non volevo che mi pensasse in mezzo ad una crisi, non volevo far cambiare il corso della nostra storia. Perché se mi fossi confidato, quanto dei suoi gesti, dei suoi messaggi, delle sue parole, sarebbero state diverse? La felicità che traspariva dalla sua voce sarebbe magari stata frenata per via della mia situazione di merda e io non volevo che l'unica cosa bella che avevo perdesse la sua luminosità, perché lui è stato l'unico motivo che mi ha spinto fino a qui, fino a oggi.
"Spero di fargli una sorpresa".
E ci spero sul serio, perché sul serio spero che le sue parole siano vere.
Mi prende una mano tra la sua e poi mi stringe forte. "Lo sarà".
Appoggio la mano libera sulla sua e incrociando il suo sguardo, ripeto le sue stesse parole, cercando di infondere dentro di me quella sicurezza e quella certezza che alle volte mi vengono meno. "Lo sarà!".
Chiudo il portatile, raccolgo tutti i fogli che avevo sparso sul tavolo e poi torno a darle una mano in cucina.
"Cosa prepariamo per cena?" le chiedo aprendo il frigo e prendendo la caraffa con la sua limonata, la stessa che più volte ho bevuto con Mario al mio fianco.
La ascolto mentre inizia a elencarmi le cose da fare, ma quando gli occhi si fermano sulla radiolina sopra una mensola, mi affretto per andarla ad accenderla, volendo portare quel tocco di serenità che solo la musica mi sa dare. E non appena la musica inizia a diffondersi nella stanza, mi tornano in mente tutte le volte che Mario l'ha presa tra le sue braccia e l'ha fatta volteggiare. Non ci penso due volte e quando mi volto verso di lei allungo le mani nella sua direzione. E la gioia che vedo accendersi nei suoi occhi è un'emozione che custodirò per sempre nel mio cuore.
STAI LEGGENDO
IMPREVISTI D'ESTATE
FanfictionMario credeva che la sua vita fosse perfetta, ma quello che ancora non sapeva è che tutto quello che conosceva non era altro che una bella facciata ideale per nascondere la realtà. E quando tutto è venuto allo scoperto, quando tutto ha improvvisamen...