- I feel 6/10

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Premessa:
Io spero che nessuno fraintenda il contenuto di questa cosa che ho scritto senza pensarci troppo. Questo piccolo monologo non vuole trattare di disturbi alimentari: non voglio che identifichiate il non appetito come una malattia al pari di disturbi ben più gravi, quando, in questo caso, il non appetito è sintomo di una malattia da me inventata. Se sentite di avere delle opinioni in merito, vi chiedo di esprimervi sena problemi. Conosco la distruzione dei disturbi alimentari, non voglio assolutamente sminuirli o togliere loro di credibilità. Il mio ultimo desiderio è quello di mettere a disagio qualcuno.

– Benvenuto caro. Per favore, presentati. –

– Uhm, beh... ciao a tutti. Il mio nome è Jimin. Ho ventiquattro anni, sono di qui, di Seoul. Mi piace, o piaceva, suonare, cantare, ballare e poi tutte quelle cose che piacciono ai ragazzi della mia età. Mi piace il mare e la musica al massimo, cacciarmi nei guai quando riesco e bere il soju. Ma ammettiamolo, a chi non piace il soju? Okay, sto divagando, scusate. Bene, mi sembra abbastanza stupido dovermi presentare, sono praticamente certo che tutti voi mi conosciate, o di nome o di viso, almeno. Comunque andrò avanti lo stesso, farò finta di non essere nessuno: una volta ero qualcuno. Oppure lo sono ancora, non lo so ancora. Ballavo e cantavo su grandi palchi in grandi stadi, un po' ovunque nel mondo. Ero un idol, esatto. Facevo parte di un gruppo di sette persone, la mia piccola grande famiglia. Non dico così tanto per usare delle belle parole, ma perché loro sostituirono la mia famiglio biologica quando decisi di inseguire il mio sogno. Avevo diciotto anni. Così con loro condivisi un po' tutto. Fu uno di loro a farmi capire che, come dire... Non stavo bene. Mi venne vicino e mi disse “Perché non balli?”, e io d'impulso risposi che non avevo voglia, quando forse le cose così non stavano. “Stai cambiando, te ne rendi conto?” mi chiese ancora, tempo dopo. Questo perché, per quanto possibile, smisi di ballare, praticamente del tutto. Io ero abituato – per amore della danza, intendo – a ballare quando potevo, perché mi aiutava a stare meglio se stavo male ed in generale a liberare la testa. Iniziò poi a capitarmi quello che credo ci accomuni tutti qui: il gesto di portarmi una mano alle spalle. Mi premo i muscoli ogni volta che desiderano muoversi ancora a ritmo di musica. Il motivo non arrivò subito. Ci pensai e ripensai, infine compresi che le cose stavano così perché ero triste. Perennemente triste. Mi mandarono dallo psicologo, molto presto, e neppure lui trovò una spiegazione, né tanto meno una cura. Non aveva mai incontrato qualcuno come me, che si puniva per un sentimento umano come la tristezza. Doveva essere così: avevo iniziato a rifiutare quel sentimento, che mi rovinava tutto, che si nascondeva sotto ogni parola o gesto. Neppure gli abbracci, che io amo tanto, potevano darmi sollievo.
Mi dicevano che guardare il cielo venti minuti al giorno aiutava. Lo dicevano anche del colore giallo, del buon cibo e dei tulipani, del profumo estivo dei papaveri. Niente, niente funzionava.
Ero unico nel mio genere, mi dicevano. E pensare che ci sono persone che vivono una vita intera sperando che gli vengano rivolte queste parole. Io, invece, da egoista o stolto, non desiderai mai così tanto come in quel momento essere uguale agli altri, soffrire di un dolore già conosciuto. L'unica cosa che mi fu dato sapere era che, lentamente, questa uccide. Si nutre di me, spegnendo ogni cosa bella con un soffio di vento.

– Piano e gradualmente smisi anche di mangiare. Non che prima fossi in carne, non che prima i miei pasti fossero granché sostanziosi. Però riuscivo a reggere un palco, riuscivo a ridere a lungo senza che mi mancasse il fiato o mi girasse la testa. Correvo i chilometri ad occhi chiusi. Un passo alla volta non riuscii più a fare nessuna di queste cose. Era qualcosa che non sapevo spiegarmi. Provarono a dare alla mia magrezza un nome, un malattia, eppure non era neanche quello. Io non volevo dimagrire, io volevo solo una ragione oltre quel grigio, oltre quel dolore impiegato nel petto. C'erano delle volte invece in cui, se di umore accettabile, mangiavo come nulla fosse. I miei amici mi guardavano sorridenti, mi battevano amichevoli sulle spalle: “Il nostro Jimin-ie” mi dicevano. Non sempre, purtroppo, le cose andavano in quel modo. Ben presto toccai il fondo: una volta stetti male durante un'intervista... Ero in America, così lontano da casa. Ricordo che mi obbligarono a letto per un giorno intero. Ricordo anche gli sguardi dei miei amici, così preoccupati. Uno di loro piangeva, e per tempo volli solo smettere di ricordare. Ma ho capito che non serve desiderarlo, anzi devo sforzarmi di tenermi bene presenti queste esperienze. Ricordare mi serve per fissare dentro me dove non voglio andare, il buco dal quale voglio uscire. Sono state quelle lacrime che mi hanno risvegliato la coscienza e mi hanno rimesso in piedi. Stavo punendo non solo me, ma anche le persone alle quali volevo bene. Era una lotta mia e solo mia, ma le ferite toccavano un po' tutti intorno a me. Era una consapevolezza troppo grande perché rimanessi zitto ed immobile nel mio piccolo timore. Avevo paura di quello che avrei dovuto affrontare, ma allo stesso tempo bramavo la luce del sole. Volevo allontanare da me quella tristezza per semore, come se null'altro avesse valore a quel punto. Così, dopo mesi, provai di juovo a ballare. Riuscii solo per quarantotto secondi. Poi caddi a terra, scoppiai in lacrime. Sentivo che neppure quello aveva senso... Però c'ero riuscito. Sì, potevo farcela, un passo alla volta.

– Ora sono pronto a dire che sono stufo di questo grigio. Le mie spalle vogliono essere libere, vogliono tornare a ballare per più di quarantotto miseri secondi, e voglio che le mie labbra tornino a distendersi in un sorriso senza poi doversi biasimare perché credono la felicità sia solo un momento. Qui lo dico e lo prometto: io non mi arrenderò, io questa battaglia la vincerò. E nessuno mai dovrà più versare una lacrima per me. Mai più. –

Grace in their eyes - BTS || RICHIESTE APERTEWhere stories live. Discover now