35. 1001 cose tutte americane

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Non volevo passare il tempo a piangermi addosso. Ricordavo ancora l'ultima rottura, e sinceramente ne avevo abbastanza di tristezza.

Ma dimenticare Gregor non solo risultava più difficile, ma perfino più doloroso. 

Così quando Paul mi mandò un messaggio, presi la palla al balzo. Gli avevo promesso di fargli visitare la città e pensai che forse sarebbe stata l'opportunità di passare una giornata in tranquillità.

Tanto più che Paul era, di fatto, l'unica persona che conoscevo a non sapere nulla di Gregor, perciò sicuramente non avremmo finito per parlare di lui. 

«Dove mi hai portato?», chiese mentre parcheggiavano davanti al Navy Pier.

«Al molo più famoso di tutto l'Illinois», annunciai, quasi felice come una bambina.

Vidi prima l'espressione scettica di Paul, mentre affermava: «Sembra un luna park».

«Ti sorprenderà sapere che gli americani amano tanto le giostre».

Quando avevo pensato a dove portarlo, ero stata indecisa su molti posti, e mentre scendevo dalla macchina, avevo ancora dei dubbi. 

All'inizio avevo fatto una lista, cercando di escludere tutti i posti in cui ero stata con Gregor e con Emma, ma alla fine non era rimasto nulla di veramente significativo. E così avevo stracciato il foglio e avevo seguito il cuore. 

«Questo è stato uno dei primi posti che ho visitato, quando sono arrivata a Chicago», ammisi, sorridendo all'uomo che passeggiava al mio fianco. 

Avevo dei bei ricordi di quel luogo, e non volevo rinunciarci per nessuna ragione al mondo. Così lo portai a fare un giro sulla ruota panoramica, dalla quale si poteva vedere tutta la città.

Prendemmo il traghetto che faceva il giro della costa, pieno di turisti che fotografano ogni cosa, e con il vento che ci scompigliava i capelli. 

E lo convinsi a fare ogni giostra, perfino quella con i cavalli. Lo vidi che mi guardò un po' imbarazzato, forse perché a parte i genitori dei più piccoli, eravamo gli unici adulti a fare la fila, ma non si oppose mai. 

Anzi, sembrava divertirsi forse anche più di me. Oppure era semplicemente gentile ed educato. 

«Hai già mangiato un hot dog qui a Chicago?», gli chiesi indicando con la testa un piccolo chiosco dall'aria invitante. 

«C'è differenza con quelli delle nostre parti?», dovette intuire da come lo fissai che non avrebbe dovuto farmi quella domanda, ma comunque risi mentre annunciavo: «Lo vedrai».

Mi avvicinai al chiosco quasi di corsa, euforica, approfittando che non ci fosse ancora nessuno a fare la fila, e Paul mi seguì. 

Il negozietto, su ruote, era proprio come quelli che si vedono spesso in televisione, colorati e allegri, e l'uomo dall'altra parte, un signore pelato con indosso una magna con un hot dog, ci sorrise allegro. 

«Ve ne preparo due?», chiese ad entrambi e, mentre io annuivo, Paul domandò: «Ha per caso il ketchup?».

Non mi ero aspettata una richiesta del genere e non feci in tempo a fermarlo. Si beccò uno sguardo stranito da parte dell'uomo dell'hot dog che rimase immobile per qualche istante. 

Prima fissando Paul, e poi voltandosi a guardare me, come a volermi chiedere cosa fare. 

A me veniva da ridere, soprattutto perché sapevo che il povero Paul non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo, tanto che si voltò a guardarmi dubbioso. 

«Uno con il ketchup e uno "dragged it through the garden", per favore».

L'uomo parve più felice non appena fece l'ordinazione, anche se lo vidi esitare un po' mentre riempiva il panino di Paul con la salsa rosso. 

Provaci ancora AliceWhere stories live. Discover now