Chapter 2

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Nove mesi dopo. Dicembre.




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Il pavimento bagnato luccica mentre l'aereo atterra sull'asfalto. Le luci dell'aeroporto si riflettono nell'oscurità circostante mentre quelle dell'aereo illuminano la pista di atterraggio. Le ruote colpiscono la strada con un tonfo che scuote tutti i passeggeri a bordo. Harry si toglie le cuffie e le lascia ricadere intorno al collo, Bruce Springsteen che continua a cantare, appena udibile al di sopra dei rumori prodotti dalle altre persone
"Benvenuti a Eugene, Oregon." La voce dell'assistente di volo risuona negli altoparlanti, mentre i passeggeri iniziano a togliersi le cinture di sicurezza nonostante nessuno abbia detto di farlo. "Sia che tu stia tornando a casa o semplicemente in vacanza, speriamo che il tuo soggiorno in questa città possa essere piacevole. Buona giornata e buone feste."
Harry mette in pausa la musica sul cellulare e disattiva la modalità aereo. Il suo telefono inizia subito a vibrare per l'arrivo di un paio di messaggi; non ha nessuna voglia di vedere chi gli ha scritto. Una fila di persone si forma nel corridoio dell'aereo per uscire all'esterno, tutti imbacuccati nelle loro giacche pesanti mentre iniziano a recuperare i loro bagagli. Le piccole finestre dell'aereo si bagnano immediatamente a causa della pioggia, le gocce che scivolano l'una sull'altra verso il basso.
C'è una giovane mamma con un bambino in fila di fronte ad Harry. La piccola dorme sulla spalla della donna e sembra contenta e in pace. Hanno volato dall'Illinois fino in Oregon ed Harry non si è nemmeno reso conto che a bordo dell'aereo ci fosse una bambina. Non può dire la stessa cosa del ragazzo seduto due file dietro di lui, che è riuscito a trovare ogni mezz'ora un nuovo argomento di cui lamentarsi. Anche adesso, l'uomo si sta lamentando della fila per scendere dall'aereo.
"Lascia che porti le tue valigie," dice Harry alla donna con la bambina, sollevando la borsa prima che lei possa replicare. "È questa?" Chiede, afferrando una valigia viola e spostandola nel corridoio. La donna annuisce, sorridendo dolcemente. Harry fa un passo indietro e lascia passare la madre con la bambina che dorme ancora profondamente.
"Buon Natale," risponde la donna, sussurrando per non disturbare la figlia.
Harry annuisce, "Buon Natale," ripete. Non sente per niente lo spirito natalizio quell'anno visto come ha passato gli ultimi mesi, ma non può negare un sorriso cordiale alla donna. Lancia un'occhiata alle sue spalle verso il ragazzo che sta continuando a lamentarsi, poi si dirige lungo il corridoio per uscire velocemente dall'aereo, il borsone sulle spalle.
Per qualche motivo, ha pensato che tornare ad Eugene sarebbe stato come prendere una boccata d'aria fresca, ma viene immediatamente assalito da ricordi dolorosi mentre percorre l'aeroporto della città che una volta ha considerato casa sua. Supera i controlli di sicurezza e ricorda improvvisamente tutti gli addii e i baci del suo passato, le frasi sussurrate prima di una partenza. Mi manchi già. Dall'altro lato dell'aeroporto c'è il ritiro bagagli. Qua i suoi ricordi sono molto più felici – cercare e finalmente incontrare quegli occhi attraverso il nastro trasportatore dei bagagli, corrersi incontro e sorridere contenti. Non c'è nessuno ad aspettarlo questa volta, non ci sono occhi familiari nascosti tra gli estranei. Harry fa un respiro profondo mentre cominciano ad arrivare i bagagli del suo volo.
Una volta aver presa la sua valigia, esce dall'aeroporto alla ricerca di un taxi. Ovunque intorno a lui le persone raggiungono i loro famigliari o amici, baciandoli sulle guance o abbracciandoli, sorridendo felici mentre salgono in auto per andare a casa. Il Natale sta arrivando ma Harry non riesce ad esserne felice. Si siede sul sedile posteriore di un taxi giallo e da l'indirizzo di Niall all'autista. Mentre la macchina si allontana, realizza di non essersi mai sentito così solo in quella città. Eugene non è grandissima – è minuscola rispetto a Chicago – ma dopo nove anni passati in quella piccola cittadina, è l'unica che ha sempre considerato come casa.
Harry è cresciuto in una città diversa ogni anno, cambiando ripetutamente scuola. Il lavoro di suo padre li ha sempre portati a dover viaggiare spesso, e sua madre lo ha sempre seguito senza protestare; lui e sua sorella sono stati semplicemente dei passeggeri, costretti ad adeguarsi alle scelte dei genitori. Harry non ha mai saputo com'è avere degli amici per più di un anno scolastico, o avere il suo nome scolpito su un albero del cortile. Il primo posto in cui ha sentito di appartenere sul serio è stato Eugene, nel quale si è trasferito all'età di diciotto anni. Non ha mai avuto una famiglia di sangue in quella città, ma ha sempre sentito di appartenere a quel posto, una connessione con gli abitanti e i luoghi che non è mai riuscito a spiegarsi.
Nel suo appartamento a Chicago non si sente ancora totalmente a casa, anche se ci abita da marzo. Non ha nessuna bella foto da pubblicare su Instagram di casa sua; è un buco angusto e noioso e la maggior parte delle sue cose sono ancora chiuse negli scatoloni. La verità è che essere un infermiere pediatrico in uno dei più grandi ospedali di Chicago non gli lascia il tempo per disfare gli scatoloni o di soffermarsi troppo sulle scelte che lo hanno spinto a cambiare vita. Lavora così tanto che non appena arriva a casa si sdraia subito a letto per dormire, fino a quando i soliti incubi notturni non lo svegliano. Non ha tempo per pensare a se stesso quando, per la maggior parte del tempo, deve pensare ai problemi dei suoi piccoli pazienti, cercando di non lasciarsi sopraffare delle emozioni. Ormai ha imparato che non può salvare il mondo da solo.
Questo viaggio a Eugene l'ha programmato pochi giorni prima. Non sapeva dove andare e quindi Harry, una notte, aveva chiamato Niall, e l'amico aveva risposto immediatamente accettando la sua proposta di andare a trovarlo per qualche settimana. "Devo soltanto capire alcune cose," mormorò Harry fissando lo skyline di Chicago con l'alba all'orizzonte. Anche quella notte non era riuscito a dormire.
"Certo," rispose Niall senza alcuna esitazione. "Va tutto bene?"
Harry non era riuscito a rispondere, aveva semplicemente annuito e sussurrato. "Si, certo," mentre chiudeva gli occhi e lasciava cadere la testa all'indietro. Sa che avrebbe potuto chiamare sua madre per raggiungerla in Australia, o in Messico, o dovunque si trovasse in quel momento. Tuttavia aveva sentito il bisogno di tornare a casa. "Solo per un paio di settimane," disse a Niall. Parlando con l'amico, Harry aveva sentito il suo cuore tremare al ricordo del suo ultimo turno di lavoro in ospedale; un altro genitore devastato dalla realtà dei fatti, da ciò che la medicina non è ancora in grado di fare.
"Certo," ripeté Niall, senza fare ulteriori domande. "Vado a casa per le vacanze ma tu puoi stare da me."
Il taxi percorre la collina dove abita Niall ed Harry sente lo stomaco stringersi per l'agitazione. Niall ha sempre abitato nella stessa casa da quando si sono conosciuti all'Università dell'Oregon - una grossa casa appartenuta al nonno dell'amico che ha lasciato al nipote poco prima che si laureassero. Ogni curva di quella stradina gli fa tornare alla mente tantissimi ricordi: estati trascorse al lago dietro la casa, e inverni passati ad esplorare le colline innevate. Le luci del taxi illuminano il sentiero, la pioggia che cade in grosse gocce lungo il parabrezza e i finestrini. La maggior parte delle persone odia questo tempo miserabile, ma Harry sta iniziando ad apprezzarlo.
Niall non ha vicini, quindi la prima casa che incontrano sulla stradina è quella dell'amico. Harry paga il tassista e gli dice di trascorrere delle buone vacanze di Natale, prima di recuperare le valigie e correre sul vialetto per ripararsi sotto la tettoia all'ingresso. C'è uno gnomo in piedi alla destra della porta e lo solleva per afferrare la chiave di riserva. Il pavimento è sgombro, nessuna chiave in vista. Harry lo capovolge per guardare all'interno dello gnomo, poi osserva attentamente intorno a sé per capire se l'amico ha nascosto le chiavi da qualche altra parte. Ripone lo gnomo e cerca nello zaino la chiave che Niall gli ha inviato per posta. Harry, fin da subito, ha pensato che fosse strano il fatto che l'amico gli avesse inviato una chiave di riserva quando ce n'è sempre stata una sotto lo gnomo, ma le cose cambiano, Harry dovrebbe saperlo.
Anche se vorrebbe che Niall fosse lì con lui, non può fare a meno di osservare egoisticamente il silenzio di quell'enorme casa vuota. Si è preso cura di altre persone senza sosta da quando è atterrato a Chicago la scorsa primavera. Durante tutte quei mesi ha smesso di prendersi cura di se stesso, ora ha bisogno di recuperare. Infila la chiave nella serratura e apre lentamente la porta. La luce all'ingresso è accesa, una cattiva abitudine di Niall. Si sfila le scarpe bagnate e chiude di nuovo la porta d'ingresso. Lascia scivolare le borse per terra, appoggia le cuffie sul tavolino insieme al cellulare.
La casa è enorme, ed è più di quanto ci si aspetterebbe per un insegnante single di ventotto anni.  Il piano terra presenta un pavimento in rovere ed è arredato con mobili antichi, infine c'è un vecchio lampadario che illumina l'ingresso, un tempo hanno pensato che fosse uscito direttamente dal film Titanic. La grande scalinata che porta al piano superiore è sempre la stessa, sembra essere uscita da una fiaba. Harry ha tantissimi ricordi all'interno di quella casa; quando era corso su per quelle stesse scale durante una nottata piovosa, scivolando e cadendo sugli scalini, labbra calde contro le sue, troppo disperate e bisognose per aspettare, Niall che li rimproverava dall'ingresso dicendo loro di aspettare e che poteva sentirli. Il ricordo fa sorridere Harry. Ogni tanto ricordare qualcosa del passato non fa poi così male.
Il suo sorriso svanisce all'improvviso quando sente qualcosa cadere in cucina, un tintinnio di metallo contro il legno che lo fa sussultare sul posto. Harry recupera il telefono prima di fare qualche passo verso la cucina. C'è un piccolo corridoio prima di raggiungere la stanza in questione, la grossa porta in legno è chiusa. Mentre svolta nel corridoio, Harry nota da sotto la porta che la luce è accesa.
Forse è Niall, pensa Harry per calmare il suo cuore in subbuglio. Forse non è ancora partito per le vacanze, forse Harry ha confuso le date. Lentamente, trattiene il respiro e apre la porta della cucina. La prima cosa che vede lo fa saltare sul posto, un grosso cucchiaio di legno è teso contro di lui come se fosse una spada. Una volta che il suo cervello elabora ciò che ha di fronte, non è più il cucchiaio a preoccuparlo, ma chi lo sta puntando contro di lui.
"Harry," lo spadaccino parla prima che Harry possa anche solo fiatare, la voce bassa e ferma sebbene l'espressione del ragazzo sia confusa quanto la sua.
Il respiro di Harry si blocca. Ogni corda attorno al suo cuore, tutte le protezioni che ha costruito in quei nove lunghi mesi, si strappano all'improvviso mentre sussurra "Ciao Louis."




Bitter Tangerine (Italian Translation)Where stories live. Discover now