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La tela era ben piazzata sul cavalletto al centro del retro della chiesetta, luogo che aveva visitato qualche giorno prima e da cui era rimasto affascinato.
Le vetrate variopinte filtravano la luce, creando dei giochi di forme geometriche e di colori che non aveva mai visto prima.

Jimin, sotto quella luce, seduto per terra, era indescrivibile.
Le dita sottili di Taehyung si muovevano spinte da una indicibile frenesia, per raggiungere pennelli, colori e spatole varie.
Sulla superficie ruvida della tela, il viola, l'amaranto e il blu scuro si mescolavano, dando vita allo sfondo del suo dipinto. Il tempo scorreva velocissimo, eppure gli sembrava di essere in un fermo immagine.
Il biondo, dall'altra parte invece, non sapeva cosa Taehyung stesse facendo, non sapeva come stesse esercitando il suo estro; eppure si fidava, si fidava di lui e non avrebbe per nulla azzardato a dubitare delle sue capacità, visti i dipinti che aveva avuto modo di sbirciare qualche tempo prima.

Prese un respiro profondo, non muovendosi dalla posizione che Taehyung gli aveva suggerito di tenere: con le mani sul pavimento e il volto verso l'alto, così che fosse illuminato per metà dai riflessi delle vetrate.
Aveva chiuso gli occhi, tanto era rilassato, pensando a quanto quello fosse uno dei pochissimi momenti di tranquillità che aveva da un anno a quella parte.

Con l'investitura del sacerdozio, era sempre indaffarato, fra preghiere, benedizioni e unzioni degli infermi. Non aveva un attimo libero per pensare a sé stesso, al suo percorso. In realtà, non ci aveva mai pensato veramente.
Era cresciuto con quella idea in mente, sin da bambino sapeva di essere predestinato a quella carriera, ma non se ne era mai lamentato. Gli andava bene.

Non aveva mai pensato ad una alternativa - poiché i suoi genitori gli dicevano che non ce ne fosse realmente una. Si ritrovò a fantasticare su un altro possibile lavoro, mentre le sottili pennellate di Taehyung gli solleticavano appena l'orecchio.
Cosa avrebbe fatto? Forse avrebbe continuato a studiare e magari sarebbe diventato medico. Gli piaceva aiutare le altre persone, provava una certa soddisfazione nel curare le loro ferite, nel capire cosa li affliggesse. Oppure avrebbe intrapreso la carriera di professore in qualche università.
Magari sarebbe andato in città.

Già... La città... Una utopia per tutti i ragazzi di quel paesino: tutti i suoi compagni di elementari erano riusciti a trasferirsi da un'altra parte in un modo o nell'altro, c'era chi persino si era imbarcato per l'America, che cosa spaventosa.
Tutti tranne lui e Jungkook, che erano rimasti lì: Jimin per adempiere al suo dovere e l'altro per sposare una donna, quindi per accogliere la richiesta dei suoi genitori e mandare avanti la fattoria.

Jimin deglutí, parlando solo dopo averci pensato due volte.
«Com'è la città?» rompendo il silenzio.
Taehyung si fermò, a quella domanda, lasciando che il suo pennello si fermasse a mezz'aria. Si prese il suo tempo per rispondere, notando la genuina curiosità nell'altro.
«Caotica. Davvero confusionaria. C'è gente da tutte le zone limitrofe, si sentono tanti dialetti diversi, ci sono persino alcuni stranieri.» Jimin annuì, attendendo che l'altro continuasse.
«È molto bella perché ci sono molti palazzi, ci sono strutture pubbliche che si possono usare per fare sport, ci sono bus e tram per spostarsi velocemente. È funzionale.»

L'artista si leccò le labbra, cominciando a tracciare il contorno scuro del suo modello.
«Però è spaventosa. In città tutti si aspettano qualcosa da te, persino un bambino delle scuole elementari. Ci si aspetta che un ragazzo come me abbia una moglie, un lavoro rispettabile. Che uno come me non faccia l'artista perché è una cosa che non porterà mai a nessuna fortuna nella vita. Stronzate.» sputò poi acido il moro.

«L-Le parole Taehyung... » lo riprese timido il biondino, sentendo le sue guance scottare per quella confessione.
«Già, scusami Jimin.» scosse la testa Taehyung, ricordandosi che stava pur sempre parlando ad un ecclesiastico e quindi avrebbe dovuto moderare i toni. «La gente si aspetta troppo e questo porta molte persone al suicidio o a diventare degli inetti sociali. Ci sono tante persone che rimangono chiuse in casa al buio ed escono solo per fare la spesa. Persone che sopravvivono.» sospirò continuando a macchiare di colore la sua tela.

«E poi ci sono quelli sommersi dai debiti che sono perseguitati dalla mafia, quelli che hanno giocato d'azzardo e non hanno più nulla, neanche una casa... Si vedono molti senzatetto in stazione. Ci sono quartieri poveri dove la gente vive sotto un ponte con nulla o poco da mangiare.»
A sentire quello, Jimin si intristí moltissimo: rimase a guardare dritto nel vuoto, perso nei suoi pensieri.
A Goyang, nonostante fosse molto piccola, a nessuno mancava mai il sorriso: tutti avevano una casa, di che mangiare e bere, un letto caldo dove dormire. Non c'era povertà, non c'era sofferenza, e Jimin si accorse che lui nella sua vita, non l'aveva mai vista o fatta la carità che la Bibbia decantava.
Si chiese perché Dio fosse così ingiusto, dopo il racconto di Taehyung, a non dare a tutti i suoi figli le stesse possibilità; come potesse essere così cieco a non vedere come soffrissero, come morissero di fame.

«E poi ci sono quelli come me. I discriminati. In città si è più aperti con la mente, è vero. Ma non tutti sanno accettare la diversità: nonostante ci sia non significa che sia ben vista. I drogati, gli alcolizzati, gli omosessuali e gli stranieri sono dimenticati da tutti.»
«...persino da Dio...» aggiunse il biondo, con grande sorpresa di Taehyung, che riuscí a sentire quel sussurro.

«A me piacciono i maschi, e nella mia vita sono sempre stato discriminato. A scuola, nella mia famiglia, per le strade... E vedi tu sono anche un artista fallito. Il colmo eh?» aggiunse il moro con una risatina sarcastica.
Jimin avvertí il groppone che aveva tenuto dentro troppo tempo salirgli su per la gola e andare a pizzicargli gli occhi.
Era come una bomba ad orologeria. Le parole di Taehyung gli rimbombavano nella testa, sentendo di poter scoppiare da un momento all'altro.

Si accartocciò su sé stesso, sotto gli occhi scuri del suo pittore, per liberare il suo pianto e i suoi timori tenuti dentro da fin troppo.

Che succede a Jiminie? :cc

Pray for my soul | VminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora