Paraocchi

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"Secondo te, ho sbagliato anche io qualcosa, oggettivamente?"

"Oggettivamente? Credo di sì."

"Sarebbe?"

Celeste finì di spalmarsi la maschera nera sul viso, guardandomi attraverso lo specchio della sua stanza. "Hai mai provato a metterti nei suoi panni?"

"Sono importanti i panni, se una persona ti mente? Io sono dellʼidea che se qualcuno ti racconta una cazzata una volta, significa che può farlo sempre. Quanti punti di vista differenti esistono, per questo?"

Era nuvoloso.
Cʼerano giorni in cui mi pesava vedere il cielo coperto, e mi sentivo come se le nuvole tappando il sole tappassero un poʼ anche il mio buon umore.
Altre volte, invece, quella luce grigiastra mi rilassava da morire.
Quella era una di quelle volte.
Celeste aveva una finestra gigante in camera sua, ed io ero sdraiata sul suo letto, guardavo fuori e speravo che i miei pensieri si calmassero, si riordinasssero.

"Non mi riferisco solo a quello. Prendi i graffiti, per esempio. Hai mai provato a capire perché li fa?"

Dio.
Detestavo avere torto.
In realtà, seppur trovandola sbagliata, ero sempre stata affascinata dalla sua arte, e, dopo averlo conosciuto, avrei tanto voluto fargli altre domande riguardo alla sua passione per il disegno, ma dato che era così riservato, avevo cercato di aspettare di trovare il momento perfetto per farlo, con calma.
Solo che non era mai arrivato, e poi era successo quel che era successo.

"Mi sarebbe piaciuto, ma non volevo andare troppo a fondo, per paura che poi si chiudesse a riccio. Fa fatica ad aprirsi sui suoi fatti privati, avevo paura di risultare invadente."

"No, invece." Proseguì, lei. "Solitamente, le persone, riservate o meno, sono sempre felici di parlare di qualcosa che le appassiona. Forse a lui non è più venuto spontaneo perché lʼunica volta che lʼha fatto, ti sei messa a sparare a zero dicendogli che secondo te fosse una cazzata realizzare graffiti su delle pareti pubbliche."

Emisi un piccolo urlo di frustrazione, rigirandomi sul suo piumone.
Era vero, ero stata così categorica, riguardo a quella storia.
Uno dei miei più grandi difetti era la testardaggine, se ero convinta di una cosa, quella era e quella doveva rimanere, non cʼera verso di farmela vedere diversamente.

Ma, mi ritrovai costretta ad ammettere, che a volte, forse, sbagliavo.

"Perciò cosa dovrei fare?"

"Ti ha scritto?"

Non risposi, perché sapevo che avrebbe solamente continuato a sgridarmi, ma la vidi adocchiare il mio cellulare, attaccato alla presa a terra accanto ai suoi piedi.

"Les, non ti azzardare! Dai, cazzo!" Imprecai, mentre lei lo afferrava e faceva illuminare lo schermo.

"Da Tancredi: il cazzone ti ringrazia per ieri sera, ma potrebbe aver continuato a leccarsi la ferita perché il sangue resta buono. Te lʼha scritto quattro ore fa. Sei una deficiente."

Ovviamente lʼavevo già letto, me questo non mi impedì di ripetermi nuovamente quanto fosse stupido, ed io che avevo pure sprecato tempo a disinfettarlo.

"Ti rendi conto di star sorridendo come una bambina a Natale, sì? Se non rispondi a questo cazzo di messaggio ti faccio ingoiare il cellulare."

Una bambina a-cosa?
Non ero messa così male, e come avrebbe detto Milo, non era da me.
Sottona io? Figuriamoci.

"Scrivigli tu, hai il cellulare in mano. Chiedigli se gli si è riaperto il taglio, altrimenti non ha alcun senso che senta ancora il sapore del sangue, a questʼora dovrebbe essere a posto."

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