Se il cielo potesse guarire

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Giuseppe era seduto sul letto, le mani sul viso, la camicia stropiacciata e il cuore dilaniato.
Sentiva di nuovo quella tremenda sensazione di distruggere tutto ciò che toccava, di ferire ogni persona che provava ad amare.

Sentì la porta aprirsi e trovò Irene sulla soglia, non era pronto ad un'altra discussione perché non avrebbe semplicemente saputo come affrontarla, cosa dirle. Non voleva sentire niente, non aveva le forze per replicare e probabilmente nemmeno quelli di ascoltare.

Irene si sedette vicino a lui e gli poggiò la testa sulle spalle, prese una delle sue mani e gliela accarezzò con dolcezza
"Non è vero..." sussurrò Irene
"Cosa?"
"Che mi spezzi il cuore, non è vero. Mi dispiace averlo detto"
Giuseppe sorrise e la strinse forte a sé, ritrovando un attimo di respiro in quell'abbraccio, come se il calore della pelle di Irene potesse proteggerlo da tutto ciò che accadeva, dalle calunnie, dalle situazioni difficili.
Stava bene tra le sue braccia, col viso appoggiato sui suoi seni, le sue mani delicate che gli accarezzavano i capelli.

Si stesero nel letto, sotto alle morbide coperte, stretti in un lungo e dolce abbraccio, il cuore di Giuseppe che pareva non trovar pace.
"Olivia non vuole che vada in clinica con lei" disse Giuseppe con la voce molto roca, era evidente quanto fosse amareggiato, quanto tutta quella situazione lo facesse sentire una persona orribile.
"Io... Credevo ci avrebbe pensato. Mi sento uno schifo, Ire" prese una piccola pausa e poi ricominciò mentre Irene gli accarezzava la pelle con cura "Io non avrei fatto come Gianluca, io sarei stato un buon padre, almeno spero. Non so più nemmeno se lo sono per Niccolò"
"Tu sei un ottimo padre" gli disse Irene baciandogli la fronte "La sua decisione è molto personale, molto difficile... Ma questo non significa che la colpa sia tua"

Rimasero stretti così tutta la notte, fuori la pioggia batteva prepotente sui tetti, il suo rumore insistente accompagnava i loro respiri. Giuseppe faticava ad addormentarsi, non riusciva a trovare pace anche se il corpo di Irene stretto intorno al suo sembrava donargliene un po', quanto bastava per non farlo crollare.

"Non so nemmeno come funziona un aborto" disse l'uomo, era molto tardi, non era nemmeno sicuro che Irene fosse sveglia, lei si mosse lievemente e riprese ad accarezzarlo, stesa sul suo petto "È di poche settimane presumo, le faranno ingerire due pillole" rispose Irene "Prima le faranno le analisi del sangue, poi le daranno un farmaco che blocca lo sviluppo dell'embrione" continuò cercando di alleggerire il peso delle sue parole con la dolcezza dei suoi gesti e della sua voce delicata "Dopo qualche ora gliene daranno un'altra per far contrarre l'utero e... Insomma, lo sai"
Giuseppe la strinse più forte.
"Mi dispiace" gli disse.

Ed era realmente dispiaciuta. Nonostante fosse il figlio concepito con un'altra donna sentiva tutto il dolore di quell'uomo scavarle l'anima. Non trovava parole adeguate, parole che non sembrassero di cortesia, parole vere.
E continuò a esplorare la sua pelle con dolcezza, la sola cosa che sembrava fosse in grado di farlo stare meglio.

Olivia non lo avrebbe mai detto che si sarebbe ritrovata in una clinica privata ad abortire, a quarant'anni.
Il figlio di una relazione finita, di un sesso nato per caso, di due anime troppo sole che cercavano di completarsi l'una nell'altra.
Che tristezza, pensò Olivia mentre attendeva l'arrivo del medico con le sue analisi, sapere di avere in grembo un figlio nato così.

Le parole del medico le sembravano tutte uguali, lo vedeva senza guardarlo, lo sentiva senza ascoltarlo. Sapeva perfettamente cosa sarebbe successo, conosceva bene la procedura, l'aveva ripetuta per tutta la settimana in attesa di quel momento.
Aveva anche imparato a memoria i principi attivi delle due pillole che le avrebbero somministrato.

Mifepristone, prostaglandine.

Sarebbe stato rapido, indolore, solo due pillole.
Avrebbe trascorso poco tempo in clinica, il minimo indispensabile.
Erano solo farmaci.
Due pillole e tutto sarebbe finito.

Gli fu portata la prima e la ingoiò senza pensarci troppo, dopo averla sentita scendere lungo la gola non riuscì a non pensare un debole "Mi dispiace".

Non sapeva a chi lo stava dicendo, se a sé stessa, a Giuseppe, a quell'esserino.
Forse era per tutto.
Per tutto ciò che era successo, per gli innumerevoli fallimenti personali a cui era andata incontro.

Se la gente vedeva una donna bella, di successo, intelligente, ammirata dagli uomini, invidiata dalle donne, lei vedeva solo una donna con un grande buco nel petto.
Si chiese, attendendo che le venisse portata la seconda pillola, come facevano certe perone a parlare di aborto con quella semplicità, senza rendersi conto quanto realmente sia difficile per le donne compiere un simile gesto.

Ingerì la seconda pillola e si stese nel letto fissando il cielo grigio fuori dalla finestra.
Roma quel giorno era più triste del solito, bella e malinconica come quella donna stesa sotto le coperte bianche di un'asettica clinica.

"Non c'è dolore in terra che il Cielo non possa guarire"

Magari il cielo potesse guarire tutte le ferite di questo mondo, pensò Olivia mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a bagnare il vetro della finestra.

Anche Giuseppe stava guardando il cielo, pensieroso come sempre, Rocco osservava le sue spalle irrigidite, strette nella giacca scura
"Hai bisogno di qualcosa, Giuseppe?"
Giuseppe distolse gli occhi dalla finestra e guardò il suo collaboratore, il suo amico, seduto davanti alla sua scrivania.
Aveva posato il fascicolo e lo fissava cercando di scrutare nella profondità dei suoi occhi il motivo di tutto quel dolore.
Un giorno glielo avrebbe detto, ma non quello.

"Avrei bisogno di un tasto reset"
Rocco annuì, quante volte anche lui avrebbe voluto avere sotto mano quel tasto, premerlo e riavviare il gioco, ricominciare da capo.

"Non so come si possa fare reset della propria vita, ma posso farti portare un the"
Giuseppe gli sorrise "Mi accontento"






Nota autrice: mi scuso per il ritardo ma sto preparando due esami piuttosto voluminosi per l'università e avevo bisogno di un po' di tempo da dedicare alla storia, per scrivere qualcosa che mi convincesse.
Ho trattato un tema molto spinoso ma ho volutamente scelto di parlarne perché credevo fosse giusto, immedesimarmi nelle emozioni provate da Olivia è stata una grande sfida, spero di esserci riuscita.
Con questo capitolo volevo dimostrare due cose, soprattutto a me stessa: la capacità, spero, di poter scrivere di argomenti più complessi e il fatto che non esistono personaggi solo buoni o solo cattivi.
Esistono personaggi umani.
Irene non è una santa, Olivia non è il demonio. Sono tutti umani, e spero di aver reso bene l'idea.

Spero che questo capitolo via sia piaciuto, ci vediamo presto❤️

Mr President in love || Giuseppe ConteDonde viven las historias. Descúbrelo ahora