Mi porti a casa?

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Capitolo 22

«papà dove stiamo andando con le valigie?»

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«papà dove stiamo andando con le valigie?»

«se te lo dicessi tu lo diresti a tua madre, quindi vedrai dopo monella»

Niccolò e Angelica erano appena scesi da casa, appunto, con due valigie grandi appena inserite nel cofano della macchina.
Era passata una settimana e mezza da quella piccola emergenza, Niccolò stava in pratica notte e giorno sull'ospedale, tornava a casa per accompagnare Angelica a danza o per dormire, per il resto lasciava la bambina dai suoi nonni.
Era una routine molto scomoda, ormai fan e giornalisti l'avevano visto molto in giro nelle zone dell'ospedale, alcuni erano anche riusciti a scattargli qualche foto con Sara, le quali erano state piazzate ovunque sulla piattaforma digitale.
Ormai la notizia del bambino era saltata fuori e non potevano fare nulla, ora che la pancia era visibile anche attraverso qualsiasi tipo di maglia o felpa.
Solo che non avevano ancora confermato con nulla, quando ebbero la notizia di aspettare Angelica fu Niccolò stesso a dirlo schietto in un post, mentre invece adesso aveva solo un enorme testa di problemi per tutti i gossip che c'erano in giro.
Lasciando perdere quei pochi particolari però, quel giorno era il primo febbraio, il giorno prima del compleanno di Sara e ancora quello prima de compleanno di Angelica.
La notte precedente, verso le due, sua figlia si era svegliata per via di un incubo ed era rimasta a vedere i cartoni per un bel po', lui rimase semplicemente sveglio e abbracciato a lei per tranquillizzarla dall'incubo.
Non essendo particolarmente interessato ad una serie di principesse e mondi magici, gli venne la brillante idea di prenotare all'ultimo un piccolo week-end a Napoli, l'ultima volta che misero piede insieme in quella città era piena estate, ancor prima che nascesse Angelica.
Poi avevano l'abitudine di festeggiare entrambe le feste alla mezzanotte tra il due e il tre febbraio, dato che in quei due giorni erano venute alla luce le due persone che più amava al mondo.

«ciao zio adri!» disse la bambina lasciandogli un bacio sulla guancia.

Adriano avrebbe accompagnato i tre alla stazione per prendere il treno, con i biglietti che aveva preso Niccolò all'ultimo sarebbero stati sicuramente più comodi.

«ciao bellissima, ancora sonno?» disse il ragazzo vedendo che lei stava strofinando l'occhio col pugno della mano, mentre nell'altra teneva il suo coniglietto di peluche.

«si è svegliata un quarto d'ora fa» rispose Niccolò lasciandole un bacio sui capelli e facendole poggiare la testa sul suo petto.

Il resto del tragitto lo passarono a parlare, finché finalmente arrivarono all'ospedale dove Sara aveva passato gli ultimi giorni.
Non era ancora a conoscenza della sorpresa per il suo compleanno, ma sapeva che quel giorno sarebbe finalmente tornato a casa.
Stava semi-sdraiata sul letto, con una grande felpa, un leggins e i capelli legati in una coda disordinata.
Quella mattina non si era svegliata poi così tanto male, i calcetti del bimbo non le facevano male e non aveva nulla che non andava.
Attendeva solo il momento in cui sarebbe uscita da quella porta a si sarebbe ritrovata davanti le due persone che più le mancava avere con se ventiquattro ore su ventiquattro.

«Sara, Niccolò ti sta aspettando fuori»

Scese di fretta dal letto non appena sentì quelle parole, quasi non ci sperava più.
Per diversi minuti stette a sentire le raccomandazioni della dottoressa riguardo al bambino e alla sua salute, poi aprì piano la porta della sala d'attesa.
Ad aspettarla però non c'era Niccolò, bensì un mucchio di gente accavalcata.
Quando però realizzò chi erano, portò una mano sulla bocca e cercò di chiudere in fretta la porta, ma le bloccarono entrambe le braccia per fermarla.

«può darci più informazioni sulla situazione? Perché non avete detto nulla riguardo a questo bambino?»

«forse non è figlio di ultimo, per questo non avranno detto nulla!»

«vi siete lasciati?»

«ultimo non aveva detto in una diretta che non potevate avere figli?»

«quanti mesi ha il bambino!?»

I flash della fotocamera quasi le accecavano gli occhi, si avvicinarono sempre di più fino a far aderire la sua schiena contro la porta, quasi le mancava l'aria e non sapeva come reagire.
Niccolò invece, il quale stava aspettando impaziente nella sala d'attesa opposta, iniziò a stufarsi di dover attendere tutto quel tempo, quanto ci voleva per scendere da un letto e aprire una porta?
Si affacciò dalla piccola vetrata per vedere e appena gli si parò davanti quella scena, quasi non si soffocò con la sua stessa aria.
Aveva già fatto tre passi avanti per aprire quella porta e tirarla fuori di lì, ma da solo avrebbe solo peggiorato la situazione.

«dottore, mi sa dire dov'è la sicurezza di questo piano?» chiese correndo verso la stanza più vicina.

«dovrebbero esserci quattro poliziotti alla fine del corridoio, vicino al nido dei bambini»

Ringraziò con un cenno del capo e corse verso i quattro uomini in divisa e, come sperava, lo seguirono di fretta verso la stanza per aiutare la ragazza.

«che sta succedendo qua!?» disse ad alta voce uno dei poliziotti aprendo la porta e sbattendola contro il muro.

Appena i presenti videro quei quattro uomini con un distintivo sul petto e la divisa, indietreggiarono pian piano calando la voce.
Niccolò si avvicinò velocemente a Sara, stava accovacciata sul pavimento con le mani sopra la testa, per poco non avrebbe perso i sensi per quella folla contro di lei.

«Nicco?» chiese col fiato e e la voce acuta.

Niccolò si morse il labbro appena vide i suoi occhi pieni di lacrime e la paura di rimanere lì ancora per molto, quella mattina era andato tutto male, non come si aspettava.
Mentre i quattro agenti sgombravano la sala d'attesa da tutta quella gente, lui la prese delicatamente tra le braccia e la portò nuovamente nella sua stanza, che per fortuna era vuota.

«mi dispiace... non sapevo fossero qui» si scusò lui stringendola forte tra le braccia.

Sara non sapeva cosa dire, rimase in silenzio e con la testa poggiata alla sua spalla, aveva solo bisogno di qualche minuto per riprendersi.

«state bene?» chiese il moro poggiando piano una mano sulla sua pancia.

Lei si divise di poco e guardò attentamente i piccoli calcetti che erano sempre presenti appena quella piccola creatura sentiva il calore del suo papà, come se sapesse che quelle sue persone lo amavano già più di qualsiasi altra cosa al mondo.

«mi porti a casa?» chiese lei con un fil di voce mentre lo fissava nei suoi occhi scuri.

Lui accennò un sorriso e scosse la testa, sicuramente l'avrebbe portata via da quell'ospedale, ma non sarebbero andati a casa.

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