39- Terreno sconnesso - Joshua

824 63 18
                                    

Abbiamo trascorso la giornata chiusi in casa, con l'aria primaverile che entrava dalla finestra aperta e che usciva cercando di portarsi via ogni pensiero negativo che le nostre menti provavano anche solo a formulare. L'ho accarezzato e sfiorato per tutto il tempo, trattandolo come se fosse un'animale di specie rara bisognoso di cure e attenzioni. Gli ho riversato addosso un secchio pieno d'amore, inondandolo con tutto il mio ottimismo. E sebbene sapessi che niente sarebbe stato in grado di attenuare il suo dolore, non mi sono mai arreso.

Alyssa ha provato più volte a entrare in camera, ma l'ho sempre cacciata via perché trovarmi davanti a lei non avrebbe fatto altro che riaccendere quella miccia che avrebbe fatto esplodere la mia rabbia. Così ho preferito ereggere una barriera che avrebbe protetto entrambi prima di pronunciare parole delle quali col tempo probabilmente mi sarei pentito, credendo che un po' di sofferenza sarebbe stata più sopportabile per entrambi. Non so quando riuscirò a perdonarla, non so quando riuscirò a guardarla negli occhi dimenticando di tutto quello che mi ha fatto, magari non accadrà nemmeno e semplicemente accetterò la cazzata che ha fatto per quello che è. Ma se in questo momento ci trovassimo sulla torre dell'abbraccio, probabilmente la spingerei giù.

Mia mamma invece ha trovato ogni occasione per entrare nella stanza. La colazione, il pranzo, un abbraccio, una carezza, una parola. Il tutto per assicurarsi che Lele stesse sul serio bene e che non fosse in procinto di scappare di casa. Non ho avuto il coraggio di chiederle di non entrare, soprattutto quando ho notato che quei piccoli gesti a lui facevano piacere. Anche se ne ero geloso perché sembrava che il suo affetto funzionasse più del mio amore.

"Credi che ci sia anche solo una possibilità che mi lascino in pace?". L'ho guardato a lungo prima di rispondergli, valutando e soppesando ogni risposta che avrei potuto dargli, ma la verità, sebbene fosse dura, era l'unica che doveva sentire.

"Eri il ragazzo di Ginevra. Quello che flirtava con ogni ragazza avesse il coraggio di avvicinarsi a te. Quello che cambiava preda ogni volta che era annoiato. È come se ti fossi trasformato in un bersaglio e ogni nostro compagno ora avesse a disposizione delle freccette da lanciarti addosso. Ci sarà chi non le lancerà, ma ci sarà chi lo farà". E vedere i suoi occhi farsi di nuovo cupi mi aveva reso nuovamente triste.

Sapevo a cosa andava incontro per esperienza, solo non conoscevo realmente la portata del polverone che si era alzato né tantomeno come lo avrebbe affrontato.



Parcheggio lo scooter davanti casa sua e poi rimango seduto ad aspettarlo. Quando sento il cancello aprirsi sto per chiedergli, con un sorriso enorme sulle labbra, se è pronto ad affrontare la tempesta, ma le parole si perdono nella testa assieme allo sbigottimento. Non so cosa sia successo questa notte che abbiamo passato separati, non so cosa abbia fatto, ma mai lo avevo visto così bello. I capelli color del grano pettinati e sistemati con del gel per farli stare tutti all'indietro, lasciando così scoperte quelle due gemme ambrate che sembrano caramelle al mou. Le labbra rosse e piene, segno che è rimasto a morderle forse per il nervosismo fino a pochi attimi fa. Una maglietta grigia infilata solo davanti dentro a un paio di jeans neri strappati che gli fasciano le gambe da calciatore. Il braccialetto che gli ho regalato a Natale in bella mostra e il piercing al sopracciglio che non è più il suo solito cerchietto, ma è diventato una barra come il mio.

"Dove sei stato finora?". Gli chiedo ammirando la sua bellezza infinita.

"A farmi un bagno di bellezza!". Scherza lui, capendo al volo quello che mi passava per la testa.

Sospiro alzando gli occhi al cielo.

"Cos'hai ora?". Mi sento chiedere vedendo spuntare il sorriso sulle sue labbra.

"Ho appena realizzato che ora dovrò fare a botte anche con i maschi e non più solo con le donne per impedirgli di portarti via da me".

Scoppia a ridere buttando la testa indietro colorando di rosa le sue gote e lasciando che il sole gli baci il viso negli stessi punti in cui si sono posate le mie labbra la sera prima.

"Non c'è niente da ridere. Ora sali prima che decida di chiuderti in casa con me per poi buttare la chiave!".

Le sue mani si posano sui miei fianchi, provocandomi piccoli brividi che corrono lungo tutta la mia schiena fino a raggiungere il mio cuore, stringendolo in un forte abbraccio a ricordarmi che lui ora sta con me.

L'aria tiepida ci accompagna lungo la strada, sfiorando i nostri corpi con delicatezza, come se volesse lenire quel dolore che arriverà a breve. Ricordandoci che lei sarà li ad accoglierci anche al nostro ritorno.

Quando giro la chiave per spengere il motore nel parcheggio della scuola so che tutto ciò per cui abbiamo riso e scherzato finora verrà sostituito da parole più dure e cattive e mi ritrovo a pensare se non sia meglio tenere la testa dentro il casco così da non dover sentire tutta la malvagità e l'ignoranza che tra poco ci riverseranno addosso e che in lui sicuramente striscerà sotto pelle fino a insinuarsi nella sua testa, mettendo in discussione le sue convinzioni. Ma la pacca sulla spalla che mi arriva, mi ricorda che non sono io a dover decidere e dopo averlo visto scendere, slaccio il casco e lo tolgo.

"Sei ancora in tempo per cambiare idea". Gli dico, lanciandogli l'ultimo salvagente che possiedo.

"Ogni giorno fino a domani". Mi ricorda.

Fanculo. "Facciamolo allora!". Dico convinto.

Raddrizzo le spalle, camminiamo sulla ghiaia che questa mattina sembra annunciare il nostro arrivo e subito dopo aver varcato il cancello d'entrata, come se avessimo avuto un faro puntato addosso nella notte degli oscar, tutti gli sguardi, uno dopo l'altro, si posano su di noi iniziando un piccolo chiacchiericcio che accompagna ogni nostro passo.

"Ricordati che ti amo". Gli dico sfiorandogli una mano.

"Credi che l'amore mi salverà da tutto questo?". Sento la sua voce che prima era sicura, farsi più titubante.

"Assolutamente no. Ma può diventare la fune a cui aggrapparti quando ti sembrerà di cadere".

Lo vedo fermarsi in mezzo al piazzale, gli occhi di tutti ancora fissi su di noi. Mi fermo anche io e mi volto a guardarlo, confuso.

"Tu a che fune ti sei aggrappato?". Mi chiede dal nulla, riportandomi indietro di quattro anni.

"Alla tua". Gli dico, gli occhi pieni d'amore. "Sei sempre stato solo tu".

E proprio quando credo non stia per dire niente, decide di fare quel passo che ci divide rimettendosi al mio fianco. Gli sorrido, cercando di trasmettergli un po' di sicurezza perché so che tutta la sua spavalderia si è frantumata non appena ha varcato il cancello. E quando lo vedo inarcare un po' le labbra all'insù, sebbene sia un sorriso piuttosto tirato, gli faccio cenno di proseguire, lanciandoci una volta per tutte nella fossa dei leoni.






Ehi na na naDove le storie prendono vita. Scoprilo ora