Hai una bella scrittura

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LEILA

«odio doverlo dire, ma non ti sopporto» confessa Tom mentre io gli stringo un braccio talmente forte da lasciargli il segno.

«che ho fatto ora?» domando triste, lo sguardo si incatena al suo.

«da quando hai avuto quella 'conversazione' con il duro sei sempre nervosa» dice sbuffando e muovendo le mani in aria.

«scusa» abbasso lo sguardo sospirando «oggi devo andare a chiedergli il numero o magari rivolgergli la parola per metterci d'accordo su dove studiare» lui sbuffa.

«quindi non passerai del tempo insieme a me» io accarezzo la sua guancia sorridendogli, poi mi alzo e prendo il mio zaino.

«io vado, ti chiamo dopo» gli bacio la guancia e mi allontano uscendo dalla classe, mentre cammino per i corridoi in cerca del suo cappuccio blu notte ho paura che possa insultarmi di nuovo, che stavolta io possa scoppiare a piangere.

Ormai avevo superato tutto questo, parlare di mio padre e della clinica era ormai normale, ma quando lui mi ha detto quelle cose ci sono rimasta molto male.

Nessuno mi aveva detto di avere problemi, e non so nemmeno per quale motivo proprio le sue parole mi hanno ferito, fosse stato Tom non avrei reagito in questo modo.

Riesco ad adocchiare i suoi capelli neri che sfuggono al cappuccio blu scuro, mi avvicino con l'ansia che mi divora completamente lo stomaco.

Quando sono dinanzi a lui mi schiarisco la voce, lui rimane immobile con lo sguardo nel cellulare e le dita che punzecchiano velocemente lo schermo che si illumina.

«scusami» picchietto il dito sulla sua spalla, alzando lo sguardo incrocia i miei occhi.

Mi prendo un momento per osservare le iridi profonde e nere, quasi da far paura.

«Jace, giusto?» domando, anche se mi ricordo perfettamente quello che ha detto il preside, ogni singola parola è fissa nella mia mente.

«che vuoi?» domanda lui scazzato mentre tiene ancora il telefono accesso nella mano destra, il display illumina il suo volto.

«hai sentito cosa ha detto il preside?» domando «devo darti ripetizioni» accenno un sorriso, lui mi squadra da capo a piedi e torna a dedicare la sua attenzione all'aggeggio che ha di fronte a lui.

«Jace, mi hai sentita?» domando mettendo una mano sul telefono per coprire il display.

«non me ne frega un cazzo di te e delle tue stupide ripetizioni» fa una smorfia.

«acido» mormoro.

«cos'hai detto?» domanda, io alzo le mani.

«possiamo fare in caffetteria, alle 16:00?» domando mentre lui mi ignora, io sbuffo.

«ci vediamo dopo» mi incammino mentre lui borbotta.

«non verrò» io mi piazzo dinanzi al suo corpo appoggiato svogliatamente all'armadietto «oh, invece verrai, non posso perdere il mio tempo con te» lui sogghigna.

«ho altre cose da fare, e non posso di certo mandare tutto a rotoli per un ragazzo scansafatiche che non vuole costruirsi un futuro» mi osserva in silenzio, poi lentamente mette il telefono in tasca e si alza in tutta la sua maestosità.

Mi supera di molto, è perfino più alto di Tom, il che è spaventoso perché io sono 1.64 e Tom 1.78.

«verrò» sorrido soddisfatta «ad una condizione» sorride malvagio, noto un accenno di una fossetta sulla guancia destra.

«sentiamo» incrocio le braccia.

«farai tutto tu» ghigna, io aggrotto le sopracciglia confusa «in che senso tutto io?» domando mentre lui rotea gli occhi.

I'm not your enemyWhere stories live. Discover now