CAPITOLO 60

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Yoongi

«No, Jimin, questo non è F maggiore: è F minore», lo corresse, spostandogli il dito da un tasto all'altro.

Jimin annuì e riprovò la sequenza di note, e stavolta ne uscì vittorioso.

Yoongi gli sorrise e applaudì. «Stai migliorando tantissimo, sembra assurdo per uno che all'inizio suonava con una sola mano», lo prese in giro, ricevendo la linguaccia in risposta.

L'allievo muoveva meccanicamente le piccole dita sui tasti e aveva lo sguardo concentrato sul pianoforte, impaurito dallo sbagliare le note, ma più sicuro di qualche mese prima.

Sembrava così piccolo, così adorabile... Yoongi era completamente perso.

Era da un po' che Jimin aveva smesso di fingere di stare bene, da un po' che si concedeva dei momenti per piangere e per appoggiarsi alla sua spalla, e lui gliela avrebbe concessa sempre, gli avrebbe risucchiato via il dolore incorporandolo dentro di sé se avesse potuto. Lui ne aveva già in abbondanza da sopportare, ma per Jimin avrebbe fatto un'eccezione.

Yoongi non aveva mai pensato di arrivare a comportarsi così, simulando una forza di volontà e un coraggio che non gli erano mai appartenuti, fingendosi quello sobrio della situazione, quello spensierato e con abbastanza forza da poter sorreggere un corpo così pieno di emozioni come quello di Jimin, straripante di angoscia e allo stesso tempo di speranza.

Ma Jimin lo sapeva che non era così, Jimin lo conosceva e aveva sempre cercato di aiutarlo nel suo piccolo, ricevendo in risposta così tanti muri, ma mai abbastanza saldi da non poter essere scalfiti dalle sue mani minute e così piene di forza.

Yoongi, dentro di sé, aveva sempre sperato che lui riuscisse a farlo, pur non volendo ammetterlo a se stesso: si convinceva che Jimin volesse semplicemente spezzare la sua quiete, intrufolarsi nella sua solitudine e forzarlo ad uscire dal suo malessere. Yoongi si convinceva di non volerlo, come un masochista che a navigare nel dolore ci godeva.

E invece, inconsciamente, lo voleva eccome, e così Jimin: era un circolo vizioso in cui si erano ormai addentrati senza nemmeno rendersene conto.

«Yoon?», lo richiamò il ragazzo, riportandolo al mondo reale.

L'interpellato batté ripetutamente le palpebre ed emise un lieve mormorio.

«A che stai pensando?», chiese Jimin.

Yoongi scosse la testa. «A-a nulla».

«Impossibile, altrimenti non avresti lo sguardo perso nel vuoto».

Ed eccolo lì, il Jimin in grado di leggergli nella mente, quello sempre disposto ad ascoltarlo, quello che amava ascoltarlo: malgrado le forze lo avessero abbandonato da tempo, continuava a preoccuparsi per lui e a chiedergli come stesse.

Ma Yoongi non riusciva a fermarlo, non riusciva a non essere egoista. Non più, almeno.

«Stavo pensando a te», ammise infine.

Jimin, invece di esserne stupito, ridacchiò e disse: «Come sei dolce, hyung, ma io sono davanti a te e magari potresti condividerli con me questi pensieri, non credi?».

Poteva davvero? Eppure non era mai successo... o almeno non pensieri riguardanti la sfera emotiva.

«Pensavo a quanto sei rompicoglioni».

«Molto divertente, ma questo lo sapevo già».

Forza, Yoongi, puoi farcela.

Prese un profondo respiro e confessò: «Stavo pensando a noi due, in realtà. Pensavo a quanto io sia cambiato da quando sei entrato nella mia vita».

Moon's Serendipity ~ YoonminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora