"Lontano da te" {Capitolo 22}

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Quel pensiero continuava a persuadermi la mente, ma era una follia. Non aveva alcun senso.
Feci una doccia, mi cambiai velocemente, prendendo un paio di jeans, una camicetta corta, le mie solite Nike e lasciai i capelli sciolti ancora leggermente bagnati.
Presi le chiavi e la borsa attaccate ad uno dei gancetti affianco alla porta, e uscii, non completamente lucida di cosa volessi davvero fare.
Mi incamminai verso l'altra parte del paese, in una strada che portava al centro, piena di negozi e piccole casette colorate.
In quel momento mi arrivò un messaggio da parte di Gabri.
"È davvero tutto perfetto. Non vedo l'ora di raccontarti"
Sorrisi spontaneamente quando lo lessi, era davvero uno di quei messaggi che fanno bene al cuore e non c'è cosa più bella di vedere felice qualcuno a cui tieni. E lei se lo merita davvero.
"Goditi questi momenti"
Le risposi velocemente, mentre ero ferma su un piccolo marciapiede.
Subito dopo proseguii quella strada, che mi aveva spiegato Luca quando gli riportai la sua chitarra, non era molto complicata, era una delle strade principali di Positano, una di quelle strade che portano al centro e alle spiagge più belle.
Sulla destra c'è il lungomare, e sulla sinistra tanti piccoli negozi, che all'esterno vendono oggetti, souvenir e soprattutto tantissimi abiti particolari di qualunque colore. Erano quelli, che attiravano l'attenzione di moltissime persone.
Ero quasi arrivata, vedevo il portone della casa, alla fine della strada, sulla sinistra.
Continuavo a chiedermi il perché, continuavo a pensare che non era la cosa giusta, ma nonostante ciò ero arrivata.
Il grosso portone nero mi era davanti. E affianco c'era un piccolo citofono sul quale un piccolo foglietto bianco portava scritto il cognome: De Santis.
"Cosa stai facendo Federica?" continuavo a ripetermi.
"Quando te lo ritroverai davanti... cosa gli dirai?... Sai, non so perché sono qui, ma qualcosa mi diceva che dovessi venire" 
Bussai a quel citofono, e mi sentivo come in quei cartoni animati in cui tutti ti hanno raccomandato di non premere quel grande pulsante rosso. Si, io sono quello che puntualmente va li, e lo preme.
Quel citofono era quel maledetto pulsante rosso.
"Si?"
Cosa dico? Cosa rispondo?
"Marco?"
"Marco non c'è, sono la mamma, vuoi che gli dico che sei passata?" Disse una voce abbastanza rauca, ma allo stesso tempo sembrava essere davvero dolce e disponibile.
"No, mi scusi, signora, ho sbagliato" dissi non sapendo né cosa dire né cosa fare.
"Ma no, sali su" continuò;
Come faceva a saperlo?
"No, davvero, tolgo il disturbo, non si preoccupi" dissi insistendo, sapendo che sarebbe stato davvero imbarazzante.
"Dai, sali su, un po' di compagnia non fa male a nessuno"
A quel punto non sentii più nulla, ma il cancello si aprì di scatto.
Entrai in un piccolo ambiente e salii le scale che erano sulla destra, mi ritrovai davanti una porta scura, sulla quale c'era di nuovo scritto quel cognome ma su una piccola targhetta, tutta rovinata e quasi spaccata, come se non si volesse far leggere cosa ci stesse scritto.
Mentre ero di spalle, con la testa all'insù per guardare quanti altri piani ci fossero, la porta si aprì.
"Prego!"
Mi si presentò davanti una signora sulla cinquantina, con capelli neri e ricci e un dolce sorriso ma con un viso molto stanco incorniciato da occhiaie violacee al di sotto degli occhi.
"Piacere, Federica" dissi allungando la mano.
"Alessandra, piacere mio" rispose stringendomela forte.
Mi fece entrare, facendosi da parte e lasciando un piccolo spazio così che potessi entrare.
La casa era davvero piccola ed è per questo che la prima cosa che notai era il gran disordine, bottiglie di alcool dappertutto, scatole di pizza, la cucina era sottosopra.
C'era un divano ed una piccola poltrona rossa al centro della stanza, una televisione di un vecchio modello con affianco una credenza piena di piatti e stoviglie.
"Mio figlio è davvero un ragazzo disordinato, gli dico sempre di mettere in ordine, ma niente..."
"Posso immaginare..." continuai sorridendo.
Le pareti bianche erano piene di graffi, macchie nere e punti in cui la pittura quasi non c'era. Nonostante ciò, erano tappezzate di foto, c'era il primo giorno di scuola di Marco, il primo bagnetto, la sua nascita, in un'altra ancora era in bici con un grosso bernoccolo.
"Era carino, vero?" si rivolse a me la mamma, prendendo una foto in cui era davvero molto piccolo.
"Si" risposi prendendo la foto che mi aveva appena passato.
Notai che in nessuna foto sorrideva, aveva sempre un viso triste, anche in quelle situazioni in cui di solito un bambino dovrebbe essere felice.
"Vuoi qualcosa da mangiare o da bere... non ho molto da offrire in realtà, Marco non vuole che riceva visite"
"No, non si preoccupi, già le sto dando troppo fastidio" dissi, stranita da quell'affermazione.
Perché mai non avrebbe dovuto ricevere visite?
Voltandosi un attimo verso la finestra mi fece notare una grande cicatrice sotto il collo, che partiva da sotto l'orecchio.
"Sono felice che finalmente Marco abbia trovato una brava ragazza. Già che ne abbia trovata e scelta una è un grande passo avanti..." cominciò a ridere sedendosi al tavolo.
"No - sorrisi, dispiaciuta di dover rovinare quel momento -io e lui non stiamo insieme, siamo... amici, più o meno"
"Oh, allora mi dispiace, si vede che sei davvero una ragazza... - continuava a fissarmi cercando di trovare un aggettivo che più mi si addicesse - ...pura." disse infine.
"Grazie, ma non penso di essere proprio il tipo di Marco..." provai a spiegargli.
"Ma certo...capisco" disse facendo cenno di sedermi.
Seduta a quel tavolo, notai un'altra cornice appoggiata sul piano cucina.
Non riuscivo a capire chi fosse stato fotografato, c'erano tre persone, quello al centro era sicuramente Marco, il vetro era completamente spaccato, e la foto rovinata, come se fosse stata strappata e poi riattaccata con dello scotch.
"Quanti anni hai, Federica?" Chiese appoggiando la testa su una mano, sotto la quale erano presenti tanti piccoli tagli, che proseguivano sul polso e sul braccio.
Provai a non guardarli per non metterla a disagio e così risposi alla sua domanda:"Il 12 luglio ne compirò diciotto"
"Ci sei quasi allora"
"Si" continuai.
"Non so davvero dove sia Marco, mi dispiace che tu debba aspettare così tanto" disse guardando la porta, sperando che il figlio entrasse.
"Ma no, non si preoccupi, non era così importante... nel frattempo potrei esserle utile...potrei aiutarla a sistemare qualcosa qui in casa..."
"Ma no ... non dovresti ... non potrei mai chiederti una cosa del genere" mi disse chiaramente imbarazzata.
"Lo farei volentieri"
"Se proprio insisti, d'accordo" rispose alzandosi e rimboccandosi le maniche.
Iniziamo a raccogliere tutte le bottiglie, le scatole di cibo, bicchieri di plastica, piatti sporchi in giro per la casa.
Io pulivo la cucina mentre lei provava a spolverare alcuni dei mobili nel salotto.
Dopo circa un'oretta, la casa sembrava completamente diversa, più luminosa, profumava di pulito e la mamma di Marco sembrava così soddisfatta, così felice per così poco.
Io non riuscivo a non pensare al motivo per cui fossi lì.
Perché ero lì? E perché stavo aiutando la mamma di uno pseudo sconosciuto a riordinare casa?
"Grazie Federica, non so come ringraziarti, non dovevi davvero"
"Mi fa piacere, è una casa così carina"
Mentre continuava a ringraziarmi, sentii un rumore provenire dalla corridoio che portava alla porta d'ingresso.
"Sono tornato...perché la porta non era chiusa a chiave?"
Era Marco. Merda.
Prima che potessi prendere la borsa per andarmene, mi ritrovai Marco davanti agli occhi.
Appena mi vide, sgranò gli occhi, guardò la madre come se volesse accertarsi che stesse bene e cominciò a urlare.
"Cosa cazzo ci fai qua?"
Aveva una felpa nera, un jeans e degli anfibi e aveva l'alito di chi aveva sicuramente fumato e bevuto nonostante fossero appena le 22:00.
"Me ne stavo andando" dissi tenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi, che erano gli stessi di tutte quelle foto. Gli stessi occhi tristi.
Mi afferrò un polso stringendomelo, e strattonandomi fuori, mi sbatté sul muro che era appena fuori dalla porta.
"Lasciami, mi fai male"
Lui guardò il mio polso che era diventato completamente rosso, e tolse di scatto la sua mano che aveva lasciato i segni delle sue dita sulla mia pelle.
Liberata dalla presa, mi toccai il polso con l'altra mano, provando a massaggiarlo così che potesse alleviare il rossore.
"Che ci fai qua?" mi domandò guardandomi il polso.
"Volevo parlarti"
Dopo una piccola risata si voltò nuovamente verso di me e mi disse:" Va via, vedi che ho fatto e ti ho vista per dieci minuti"
"Marco, accompagnala a casa, non ha nessuna colpa, l'ho convinta io a salire" intervenne la madre uscendo dalla porta d'ingresso.
"Va bene l'accompagno, tu entra e chiudi la porta, noi andiamo"
Cominciai a scendere le scale di quel piccolo palazzo e pensai che era davvero stato un errore venire.
"Perché sono un disastro? Perché faccio in modo che le cose vadano puntualmente peggio di come già sono?"
Arrivati fuori dal portone, era ormai notte e la moto di Marco era poco più avanti.
"Tieni" disse passandomi il casco.
Salii dietro di lui e in quel momento pensai che non ero mai salita su una moto.
"Tieniti a me" disse prendendomi le braccia e appoggiandole sulla sua pancia.
Come riesce ad essere così diverso nel giro di dieci minuti?
Partì e subito acquistammo velocità, il paesaggio sembrava essere così diverso visto da così, visto di notte sembrava essere tutto più misterioso nonostante lo conoscessi benissimo.
"Puoi lasciarmi anche qui" dissi urlando per paura che non mi sentisse per via del vento.
"Non volevi parlarmi?"
Non risposi capendo che stava andando in qualche posto in cui potessimo parlare, ora dovevo solo capire cosa dovessi dirgli davvero.
Nel giro di una mezz'ora arrivammo in un piazzale, che si affacciava su tutta Positano, sul mare e su tutte quelle piccole casette colorate che mi colpirono la prima volta che arrivai.
Scesi dalla moto, mi tolsi il casco e glielo passai.
"È bellissimo qui" esclamai avvicinandomi alla ringhiera.
"Si, lo so, ci vengo per pensare" rispose appoggiandosi anche lui alla ringhiera poco distante da me.
"In effetti, anche io ho un posto per pensare"
"Che volevi dirmi? ... Hai tutto il tempo per pensare" disse indicando con le mani il paesaggio.
Sorrisi e risposi:" Io non ricordo nulla di ciò che è successo quella notte, so che ... tu e Nick avete fatto a botte..."
"Si, lui mi si è fiondato addosso, ha iniziato a colpirmi, io ho perso il controllo...sopratutto quando per far del male a me ha spinto te"
"Non lo ricordo..."
"Tu non c'entri nulla" continuò non alzando minimamente lo sguardo.
"Invece si, quella notte dovevo andarmene e tutto questo non sarebbe accaduto"
"Non hai voluto"
"Non è vero... è solo che non potevo, non potevo andare in strada in quelle condizioni"
"Certo...peccato che il tuo Nicolas non ha voluto ascoltare nessuno"
"Non ha voluto perché probabilmente l'ho deluso"
Lo pensavo davvero, l'avevo deluso.
"Deluso... esagerata, penso tu sia stata fin troppo corretta, non mi hai baciato, specificando anche il motivo" aggiunse, puntualizzando cosa pensasse davvero. Non lo aveva mai fatto.
"E comunque ... abbiamo chiuso" dissi girandomi verso di lui.
"Non lo sapevo -rispose guardandomi negli occhi- ma tutto questo te lo avrà sicuramente raccontato Gabriella, non è questo che dovevi dirmi... vero?"
"Ma cosa dici?"
"Dico che sei venuta per vedermi" disse sorridendo.
"Perché sei così egocentrico? Perché sei sempre così convinto che dovrei cadere ai tuoi piedi?"
Non rispose, continuava a sorridere con la testa bassa.
"Sono venuta da te perché non era giusto che rimanessi a casa, con tutto questo fuori" dissi indicando il panorama.
"E quindi volevi stare con me"
"Ma no, non volevo rimanere in casa da sola, quando altri sono a divertirsi, facendo finta di niente"
"Quindi sei qui per ripicca?"
"No, certo che no"
O forse sì. Ma non potevo ammetterlo.
"E invece si -Si voltò definitamente verso di me, e si avvicinò per mettermi in difficoltà- per questo sei salita da mia madre, entrando in casa mia? Lasciando la porta aperta...tu non sai..."
"Stai esagerando, dai" dissi sorridendo.
"Che cazzo ne sai tu della mia vita? Parli come se mi conoscessi! Lo capisci che non sei nessuno?"
"Tua madre ha voluto che io salissi, sembrava davvero triste, dice che è sempre da sola, l'ho aiutata a pulire la casa che tu hai lasciato come..."
"Cosa hai fatto?"
"L'ho aiutata a riordinare e pulire..." continuai avendo timore che anche questo avrebbe potuto dargli fastidio.
"Lei ha pulito... e riordinato?"
"Si, con il mio aiuto... cos'è? Le è vietato anche questo?" continuai sorridendo ed essendo sempre più stranita da quelle domande.
Il suo sguardo si schiarì, i muscoli del volto che erano tesi sembravano ammorbidirsi quando risposi affermativamente alla sua domanda.
"Non lo faceva da tempo, se non ero io ad aiutarla"
"Sono contenta l'abbia fatto, sembrava davvero felice ....prima che tu entrassi e mi strattonassi fuori dalla porta"
"Fammi vedere il polso"
"Sto bene"
"Non volevo farti male, è per questo che ..."
"Che?"
"Niente, lascia perdere"
Avevo imparato davvero a lasciare perdere con lui.
Seguirono alcuni minuti di silenzio fin quando tornarono alla mente alcuni dettagli che mi colpirono.
"Deve aver sofferto molto tua madre, ha dei tagli davvero brutti... come se li è procurati?"
"Smettila..." disse a voce bassa come se stesse tenendo a bada il suo autocontrollo.
"Dovresti starle vicino Marco, sembra soffrire molto"
"Federica sta zitta! ... stanne fuori!"
"Se solo mi spiegassi...potrei aiutarti" provai a mettergli una mano sulla spalla per incitarlo a girarsi verso di me.
"No, non puoi! Sei solo una persona che vuole sapere troppo delle vite degli altri, una persona che vuole intromettersi, una persona che non sa cosa vuole davvero della sua di vita e cerca di cambiare quella degli altri..." fece liberandosi dalla mia mano.
"Ecco cosa ci si guadagna a prestare il proprio aiuto. Brava Federica. Prossima volta i cazzi tuoi." Dissi voltandomi dall'altra parte innervosita da quelle parole.
Io sarei quel qualcuno che non sa cosa vuole dalla vita.
"Neanche tu mi conosci, neanche tu sai un cazzo della mia vita, ma ancora una volta ho sbagliato, non dovevo essere qui"
Ecco cosa succede quando si sta con lui. Lo scontro è inevitabile, lui è così, sa solo urlare e strattonare le persone che provano ad aiutarlo.
Il polso cominciava a farmi male davvero, sarà stato anche il nervosismo, mi capitava spesso.
Mi avviai a piedi per quella strada che doveva portarmi a quella principale.
Perché volevo aiutarlo? Perché volevo aiutare una persona che ha solo contribuito ad alimentare ciò che è successo?
"Dove vai?" disse voltandosi verso di me e staccandosi dalla ringhiera.
"Lontano da te"
*chiamata mamma Teo*
"Arianna, dimmi"
"Fede è successa una cosa"
...

un solo respiro.Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin