46. Hero

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L'hostess sta dando le solite indicazioni su come allacciare le cinture e tutte quelle cose inutili che serviranno una mezza volta su settanta miliardi.
Fortunatamente abbiamo i sedili laterali della premium select di Delta, odio i sedili centrali.
Ho fatto sedere Jo dalla parte del finestrino, così quando domani mattina quando sorvoleremo Londra potrà osservarla.
«Come ti senti?» le chiedo intrecciando le mie dita con le sue.
«Ho una certa ansia, ma in senso buono» ride nervosamente.
«Hai fatto un lunghissimo viaggio da Perth ad Atlanta e hai ansia per sole 11 ore di volo?» ridacchio.
«Non è per il volo.»
Per cosa allora?
«È per tua madre, i tuoi parenti, i tuoi amici...» si spiega.
«Oh, sta' tranquilla, so già che ti adoreranno» la rassicuro e le bacio il dorso della mano.
Mi sorride e improvvisamente il sorriso le si spegne in faccia.
«Tutto okay?» inarco le sopracciglia.
«Si... ma non vedrò quella... Chantal, vero?» chiede con un tono impercettibilmente triste.
«Cazzo, no. Certo che no, assolutamente. Non ci parliamo più e non le parlerò mai più, posso assicurartelo.»
Quella stronza, la odio.
È quasi riuscita a rovinare tutto, ma l'amore era abbastanza forte, per fortuna.
Non voglio vederla mai più neanche io, anche i miei amici hanno tagliato i rapporti con lei dopo che hanno saputo cosa fosse successo. Si domandano ancora perché io avessi a che fare con lei, e me lo domando anch'io. Poverino, ero uno stupido.
Jo sospira e guarda fuori dal finestrino.
Dopo una buona mezz'ora, una volta che tutti i passeggeri sono a bordo, l'aereo è pronto al decollo.
Abbiamo già spento i cellulari quando inizia a sentirsi il solito rumore odioso del rullaggio.
Il marchingegno che fa risparmiare tantissimo tempo per attraversare metà pianeta inizia a muoversi e do un bacio alla mia ragazza. È la nostra prima vacanza insieme, anche se per me Londra è casa, ma lei non ci è mai stata.
L'aereo è decollato e Jo guarda verso il basso.
«Ti piace viaggiare, vero?» le chiedo ad un tratto.
Lei, senza distaccare lo sguardo da ciò che sta osservando lì fuori, risponde: «Si, tantissimo. A te?»
«Anche.»
«Perfetto, prossima tappa allora?» si gira e le onde bionde dei suoi capelli morbidi oscillano.
«Mhm...» mi tocco il mento con le dita, «che ne pensi di New York?»
«Ci sono stata quando avevo sei o sette anni, mi piacerebbe tornarci un giorno.»
«Aggiudicato» e le porgo la mano per confermare il nostro affare.
Lei la stringe ed il patto è fatto.
New York è davvero bella, soprattutto d'inverno secondo me. In California non nevica mai, nemmeno se tutto il mondo pregasse Dio, persino Ariana Grande lo ha supplicato in una delle sue canzoni natalizie del 2013, ma niente.
L'estate è bella si, ci sono le feste, gli amici... ma dopo un po' diventa stressante. Stessa cosa l'inverno, è rilassante, il calduccio accogliente in casa, i dolci, il Christmas Pudding... ma anche questo dopo un po' diventa noioso, stressante non di sicuro. Non saprei scegliere tra le due stagioni sinceramente.
Jo si è addormentata con la testa sulla mia spalla, ha i capelli legati in uno chignon alto tutto scompigliato. Mi piace un sacco quando ha i capelli così.
Mancano ancora mooolte ore e quindi decido di fare un sonnellino anche io.

«Hero? Hero? Hero!»
Sto sognando?
Qualcuno mi scuote dalla spalla.
«Svegliati!»
Mi strofino gli occhi. «Che cazzo...?»
«Hanno servito da mangiare, ho preso qualcosa anche per te. Non so cosa sia ma assaggiamo lo stesso» Jo mi dice, ma non sono sicuro di aver capito bene, mi ha svegliato troppo di botto.
«Hanno servito da mangiare?» chiedo confuso.
«Si, è quello che ti ho appena detto» ridacchia. «Apri il tavolino.»
Lo faccio e ci poggia su una vaschetta calda di non so quale schifezza e un bicchiere di birra... la birra nel bicchiere di plastica no, che schifo. Sull'aereo sinceramente non credo possano usare vetro, ma fa schifo lo stesso.
Jo ha la stessa vaschetta mia ma ha preso la Coca-Cola.
Quando tolgo l'involucro, simile a quello degli yogurt, del vapore esce fuori di lì.
Ma cos'è?
«Sembra... purè di patate?» fa Jo, insicura. «E quello accanto è pollo, credo.»
Scruto quella pappina gialla. «Non lo so, assaggiamo?»
Annuisce e infilza la forchetta nella carne. «Mhm,» inizia con la bocca piena, «è pollo.»
Io prendo un po' di quel coso che sembra pure e lo metto in bocca. «E questo è purè, si.»
Non è così male, ma non sa quasi di niente, né il purè né il pollo.
Dopo che finiamo di mangiare — si fa per dire — , lo steward passa a raccogliere gli scarti, quindi anche i nostri.
Decidiamo di guardare i Pirati dei Caraibi ma ci addormentiamo l'uno con la testa sulla spalla dell'altra, è divertente il modo in cui siamo messi.
Non manca molto, circa due orette.

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