Primo Appuntamento

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Harry

Rimettere piede dentro casa mi fece uno strano effetto. Rivedere quelle vecchie foto appese sulle pareti del corridoio, i vasi sui mobili, il dolce profumo di torta alle mele nell'aria. Era decisamente casa mia, la casa che avevo diviso per troppo tempo con mia madre e sì, anche con Liam. Sorrisi ripensandoci, davanti ai miei occhi ricomparvero piccoli fotogrammi di due ragazzi seduti sul divano del soggiorno, una birra in mano e una canna fra le labbra. Era tutto così normale, tutto poco equivoco. Sospirai affranto, in meno di qualche mese era cambiato tutto. E se dovevo essere completamente sincero, ero a pezzi. Avevo il cuore a pezzi, quelle schegge avevano danneggiato gli organi e perforato l'anima. Ero cambiato. Me ne resi conto nel momento esatto quando, in una delle poche serate passate con mia sorella, Nick m'invitò in casa sua per andare oltre a delle semplici chiacchiere. Mi ero rifiutato. Per me, per Liam ma soprattutto per Louis. Sapevo di dovergli qualcosa di più che delle banali scuse. Louis mi piaceva, era una bella persona e il suo corpo mi accendeva una scintilla di passione inestinguibile. Mia madre continuò a riempirmi di domande per il mio ritorno improvviso, ma nella mia testa pensai solamente alla nuova vita che avrei potuto avere. Mi gettai pesantemente sul divano, giocherellando nervosamente col cellulare, la voce di mia madre a rimbombarmi fra le pareti della testa. Mi guardai attorno quasi sorpreso, era bello da star male poter tornare con più tranquillità nel cuore, con meno angoscia, con un carattere meno terribile. Avrei chiesto perdono a tutti quanti. A partire da Louis. Mi sarei fatto perdonare nei migliori dei modi e fu per quell'esatto motivo che avviai la chiamata attendendo con ansia di sentire la sua voce acuta e delicata. “Harry”, rispose semplicemente con morbidezza. E mi stupì sentirlo così rabbonito, il pensiero che bastasse la mia sola voce a cambiare il suo umore mi fece stringere un po' il cuore. “Louis”, sorrisi contro il telefono, divertito da quella situazione. C'eravamo separati solamente da poche ore e sembravamo già mancarci da troppo. Era così strano, eppure eravamo abituati alle continue telefonate lunghe e tranquille. “Ciao”, riprese e mi parve di vedere il suo sorriso focalizzarsi davanti gli occhi. Era così terribilmente prevedibile da farmi sorridere spontaneamente. “Che stavi facendo?”, mi ricordò delle infinite telefonate fatte. Quei giorni passati sul mio letto con le mani dietro la nuca, il cellulare in viva voce e gli occhi socchiusi in attesa di sentirlo parlare e parlare e parlare... Era una bella sensazione. La sua voce mi rilassava così tanto da addormentarmi, lasciandolo al telefono a sospirare e ridere divertito. “In realtà...”, quasi soffiò, “mi chiedevo quando mi avresti chiamato”. Scoppiai a ridere guadagnandomi dei borbottii e delle parole poco carine da parte sua. Ripensai ai pensieri di poco prima e dannazione, sembravamo una di quelle sdolcinate coppie innamorate. “Non arrabbiarti”, mi morsi le labbra, immaginai il broncio accentuato dal carnoso labbro inferiore, gli occhi azzurri troppo profondi e forti d'affrontare, le mani piccole ma da uomo a stringersi nervosamente fra loro. “Non sono arrabbiato”, borbottò, facendomi sorridere. Quelle immagini continuarono a ripetersi dentro alla mia testa, facendomelo desiderare più del previsto. Avrei tanto voluto poterlo baciare. Era da troppo tempo che non lo facevo, che non sfioravo le sue labbra morbide e delicate. “Immagino tu abbia il broncio in questo momento e che ti stia mangiucchiando le pellicine nervosamente”, lo derisi quasi. Dall'altro lato del telefono non udii nemmeno una parola a lungo, tanto da farmi credere che la linea fosse stata messa giù, ma non appena udii un sospiro mi morsi le labbra in attesa. “Mi spii? Stalker”, potei notare il suo tono palesemente divertito, ma non mi diede nemmeno il tempo di formulare altro che parlò ancora, con voce calma e terribilmente bella. “Mi conosci così bene...”, mi tremarono i polsi a quella affermazione, era strano sentirlo dire. Eppure era vero, mi aveva dato molte occasioni di farsi conoscere, mi aveva lasciato uno spiraglio aperto per poterci capire qualcosa. Mentre lui di me, non sapeva davvero molto. Si era fidato, si era confidato e si era lasciato andare ai suoi ricordi, donandomi un pezzo di sé, un pezzo della propria vita. “Vorrei farmi conoscere”, esalai in un sospiro. Era vero, se lo meritava. Meritava davvero tanto di sapere qualcosa su di me, sul mio passato, meritava di conoscere altri miei lati nascosti e... magari se ne sarebbe innamorato. O lo era già? Non ci pensai, cancellai quella domanda dalla mia testa non appena sentii la sua voce. “Mi piacerebbe davvero tanto, Harry”, sorrisi accondiscendente. Magari eravamo ancora in tempo, niente era stato perduto. Magari quei quattro mesi lontani ci avevano solo rafforzato, ci avevano spinti nella giusta direzione. La solitudine forzata, i ragionamenti continui di mia sorella, la telefonata improvvisa a Liam mi avevano decisamente cambiato del tutto. “Quindi...”, ricominciai. Avevo bisogno di fare le cose per bene, come promesso poche ore prima. Perciò presi un grosso respiro e gli porsi la domanda. “... hai da fare stasera?”, quasi non riconobbi la mia voce. Mi tremarono persino le labbra, perché non era decisamente da me invitare qualcuno per un appuntamento. Ero sempre stato troppo pretenzioso, non avevo bisogno di chiedere, prendevo e basta. “Eh?”, la voce stridula. “Sì, Louis”, risi divertito della sua reazione, alleggerendomi decisamente il petto. “Vuoi uscire con me, stasera?”, tirai un lungo respiro, come se avessi appena faticato troppo dopo una corsa. Le parole mi caddero dalle labbra veloci e serrate, quasi come se temessi di dirle interamente. “Harry”, la voce strana, stravolta da qualcosa che non riuscii a capire. “stai... oddio, stai dicendo sul serio?”, mugolò. E potei giurare di aver percepito una gioia spropositata nella voce. Mi venne da ridere per quella reazione così bambinesca, così da ragazzina in piena fase ormonale, ma mi trattenni. Era bello, essere la causa di tanta gioia. Ed erano piccole cose come quelle a riempirmi il cuore, piccole cose come quelle a farmi rendere conto di quanto vuoto e insensibile fossi stato in passato. “Certo che sì, Louis”, risposi schiacciando le labbra per quella reazione così... tenera. Maledizione! “Allora?”, chiesi, quasi in ansia. Sapevo che mi avrebbe detto di sì, che non avrebbe esitato -dannazione non aspettava altro- ma la sensazione della sua risposta così sincera e felice sarebbe stata una sorpresa. Louis lo era sempre stato, aveva questa strana capacità di sorprendermi in ogni occasione, ogni secondo di tutti i giorni. “Che me lo chiedi a fare?”, la sua risata cristallina mi risuonò nelle orecchie, tanto da costringermi ad allontanare il cellulare per pochi secondi, stringendo gli occhi con un sorriso. “Ti avevo detto che avrei provato a fare la cosa giusta, non farmi sentire imbecille...”, mormorai apatico. Lo sentii sghignazzare piano, quasi come se provasse a non farmelo sentire, ma mi morsi le labbra tentando di non lasciarmi coinvolgere del tutto da quelle strane sensazioni poco familiari. “Ma tu sei imbecille”, mi rimbeccò. Feci una smorfia corrugando la fronte, comunque divertito. “E comunque sì, esco volentieri con te, stasera”, la voce leggermente più seria e commossa. Annuii a me stesso, sicuro di aver agito nel modo giusto. “Bene, a che ora vuoi che ti venga a prendere?”, chiesi di getto. Non avevo ancora idea di cosa fare o dove lo avrei portato ma ci avrei pensato sotto la doccia, ripensando al carattere di Louis e a cosa potrebbe piacergli di più. “Alle sette?”, propose. “Va bene”, conclusi semplicemente. Rendendomi conto d'aver usato un tono troppo roco, troppo duro, lasciando cadere il discorso. Mi morsi le mani mentalmente, pensando a che altro fare per potergli far capire che, tutto quello che stavo facendo, non era forzato. “Louis?”, lo richiamai. Mi sentii quasi stupido, “scusa”, e mi stupii di me stesso. Probabilmente avrei continuato a farlo per tutto il tempo. Avevo iniziato mesi fa e avrei continuato fino a sentirmi meno in colpa, fino a lasciar scivolare via dal mio corpo tutte quelle insicurezze. “Harry, non scusarti, agisci e basta, ok?”, e quel suo repentino cambio d'umore mi destabilizzò. Quelle sue parole così vere, perché dannazione avrei solo dovuto dimostrarglielo. Era l'unica cosa da fare. E lo avrei fatto, gli avrei dimostrato di essere una persona migliore, ci avrei provato a cambiare per lui, a migliorare. Avrei persino provato ad uscirci e farmi conoscere per vedere cosa sarebbe successo, cosa ne sarà di noi. “Hai ragione, ci vediamo stasera”, conclusi semplicemente. La sua voce si colorò quando mi salutò lasciandomi a riflettere su cosa avrei dovuto fare per stupirlo almeno un po'. Storsi le labbra decidendo alla fine di correre verso camera mia. Mi guardai attorno sistemando dei vestiti poco eleganti sul letto e dirigermi verso il bagno. Che avrei potuto fare? Di che aveva bisogno Louis? Alla fine mi spogliai osservandomi allo specchio, contando quei pochi tatuaggi sulla pelle, fino a gettarmi sotto il getto d'acqua e sentire tutti i muscoli suonare a festa. La mente si perse in pensieri poco carini su un Louis in doccia con me, inginocchiato a dedicarmi tutte le attenzioni di cui ero troppo bisognoso. Alla fine non notai nemmeno la mia mano scorrere giù sul petto, fino ad afferrarmi il cazzo e strofinarlo all'inverosimile. Due occhi azzurri accompagnarono i miei pensieri sporchi, immaginandoli fissi nei miei, pieni d'eccitazione, pieni di lussuria. Immaginai le sue labbra ad avvolgermi la punta, la sua mano a toccarmi piano, lo sguardo provocatore. E venni, accasciandomi contro le mattonelle, le mani ancora sull'erezione dura e pulsante, il respiro corto, gli occhi chiusi. Vi rimasi per minuti interminabili col pensiero di Louis a toccarmi e leccarmi ovunque. Mi ritrovai a maledire la mia stupida proposta di non toccarci, di non saltarci addosso. Sarebbe stato terribilmente frustrante, così doloroso e masochistico. Scossi la testa cercando di rialzarmi e pensando a qualcosa di diverso dalle sue natiche oscenamente aperte per me. Cercai di focalizzare un possibile posticino carino per lui, rendendomi conto che non ne avevo assolutamente idea. Sbuffai rumorosamente decidendo alla fine di andare poco lontano da casa mia, in un posto che conoscevo molto bene.

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