Ottavo Appuntamento - Harry&Louis

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Harry

Era il secondo giorno che mi svegliavo in quel modo. Leggermente costretto tra il materasso e il calore di pelle nuda, sudata e appiccicosa. Sbattei le palpebre giusto qualche secondo per realizzare che sì, ero ancora da lui e no, non stavo sognando. Era incredibile. Adesso che avevo preso consapevolezza dei miei sentimenti, sentivo l'immane bisogno fisico di tenerlo stretto sempre. E mi persi ad osservarlo, con una gamba fra le mie, le labbra dischiuse, il petto a sovrastare il mio. Era nudo, completamente, nessun lenzuolo a coprirlo. Mi sporsi leggermente in avanti, notando le curve morbide del suo corpo. Il culo tondo, le cosce toniche e le spalle più ampie di quello che ricordavo. Inutile dire ciò che sentii quando appena due giorni prima aveva abbassato le difese e mi aveva amato per tutta la notte. Inutile dire quanto piacere provai nel sentirlo così stretto, così a fondo, così in me. E in quei due giorni non avevo fatto altro che rassicurare mia madre affinché mi lasciasse andare, perché avevo voglia di passare il più tempo possibile con lui. Come se temessi di lasciarmelo sfuggire. Ma non era questo, no. Era decisamente altro. Ero ancora spaventato dai sentimenti che sentii fluttuare dentro allo stomaco persino in quel momento. Paura di lasciarli venire fuori del tutto, paura di non essere abbastanza nonostante tutto. Avevo paura e basta. Forse Louis lo aveva capito, forse era per questo che mi aveva lasciato campo libero, che si era fatto amare da me nel modo più grezzo che conoscessi. Ma scacciai via ogni tipo di pensiero quando notai Louis agitarsi, scalciando poco dopo, facendomi mugolare. “Scusa” sibilò ancora ad occhi chiusi, stringendosi e stiracchiandosi come un gattino sul mio corpo. Mi venne istintivo stringermi di più a lui. “Ciao” sibilai con un sorriso rabbonito. Louis appena sveglio era davvero un bambino, dimostrava la metà dei suoi anni. Aveva i capelli arruffati e sparati in tutte le direzioni, gli occhi semi-chiusi e addormentati e la voce acuta leggermente roca. Un misto esplosivo per il mio alzabandiera mattutino. E non era un caso che, in due giorni, fossimo finiti in doccia e che -sempre casualmente- mi avesse soddisfatto con dei pompini degni di tale nome. “Ciao” sussurrò aprendo solamente un occhio, mostrandomi quell'azzurro infinito. Si appoggiò a me nuovamente, chiudendo gli occhi e sbuffando. Scossi solamente la testa ridendo, perché era incredibile. Mi limitai semplicemente a carezzarlo ancora un paio di minuti, sentendolo sospirare sempre più lentamente, fino a farlo riaddormentare nuovamente. Lo spostai piano, cercando di non svegliarlo, alzandomi dal letto. Mi fermai ancora, notandolo così piccolo al centro del letto sfatto, nudo. Quelle curve mi fecero mettere le mani ai capelli, con la sola voglia di tirarli, uno per uno. Era così esposto, senza rendersene nemmeno conto. E sorrisi, perché il corpo di Louis era espressione della grandezza del suo cuore. Non c'era nulla da paragonare, nulla da confrontare con altri. Era Louis. Era il suo corpo e mi piaceva, come mi piaceva la sua pelle e il suo profumo; come sistemava i capelli e gli abiti; come era in grado di gestire le situazioni. Era bello dentro, era stato quello a fregarmi. Un bel faccino avrebbe ammaliato chiunque, ma un gran cuore e un animo gentile avrebbero fatto innamorare solamente la persona giusta. Avevo capito che, non era disposto ad aprirsi a chiunque, che certi gesti e comportamenti li teneva per sé; lo aveva aperto a me, ogni parte più piccola di se stesso. Aspettava solamente che ci entrassi dentro scoprendo ogni cosa, ed ero così felice di averlo fatto sorridere e arrossire persino, come solo un idiota con I maiuscola avrebbe fatto. “Dove vai?” mi distrasse e solo allora mi accorsi delle sue braccia protese in avanti, quasi a sporgere dal letto, gli occhi assonnati ma brillanti, un sorriso sbarazzino e felice sul volto. “Stavo andando in bagno” risposi mordendomi le labbra. Vederlo in quella posizione decisamente provocante mi eccitava, mi distraeva. A pancia sotto, con i gomiti -adesso- a sprofondare sul materasso, le gambe incrociate in aria. Avrei potuto paragonarlo alla Sirenetta, gli mancava solo la coda e un paio di capelli rossi. Mi venne da ridere ad immaginarlo, ma tentai di non darlo a vedere. “Hai bisogno... di una mano?” domandò con sguardo languido, si morse persino le labbra. Fu allora che mi avvicinai al letto, fino a inginocchiarmi davanti al suo viso. Non si mosse, anzi, sorrise apertamente quando ci trovammo occhi negli occhi. “Ho fame” gli feci sapere, ed era vero. Tutta quell'attività fisica bruciava troppe calorie e tante energie, ed io avevo davvero un grosso bisogno di ingerire qualcosa di diverso dal suo cazzo. “Allora vado a preparare la colazione” si leccò le labbra, e senza capire bene mi avvinai fino ad avviluppare il suo labbro e tirarlo coi denti. Mugolò stringendo gli occhi, facendosi più avanti per avere di più. Mi baciò con dolcezza, prima che cercassi la sua lingua e a quel punto sentii le ginocchia protestare sul pavimento ruvido e le mie mani smaniose ovunque. “Buongiorno” mi sussurrò una volta staccatosi per prendere aria. Lo afferrai per il mento guardandolo negli occhi azzurri stracolmi di sentimenti diversi. “Buongiorno a te” lo baciai ancora, lasciandogli un morso prima di mollarlo e sollevarmi. Mi massaggiai le ginocchia doloranti facendo una smorfia. “Ah e per il tuo bene, Louis, vestiti” gli dissi, dandogli le spalle. Lo sentii solamente ridacchiare prima di entrare in bagno e occuparmi dei miei bisogni. Alla fine feci una doccia veloce, solo per togliermi di dosso i residui di una notte movimentata e il sudore in eccesso di quel clima asfissiante. Quando uscii andai in cucina trovandolo ai fornelli, così indaffarato da farmi ridere. “Che stai facendo?” gli chiesi avvinandomi al bancone. Alzò lo sguardo, squadrandomi a fondo fino a che non riportò lo sguardo alla sua cucina. “Bacon e uova, ci serve una colazione energetica” mi fece l'occhiolino e solo in quel momento mi accorsi del grembiule che aveva legato in vita. Sospirai aggirando il bancone, ritrovandomi alle sue spalle. Era in boxer e aveva addosso quel cazzo di grembiule. Sbattei le ciglia più volte perché era davvero una delle cose più eccitanti di sempre. Istintivamente gli circondai la vita e gli lasciai un bacio tra collo e spalla. “Mmh” mugolai approvando. Lo sentii ridere leggermente prima di, “ah, e per il tuo bene, metti qualcosa addosso” mi fece l'occhiolino districandosi dalla mia presa, lasciandomi un po' a bocca asciutta. Lo vidi solamente sistemare i piatti in tavola, mordendomi le labbra e scuotendo la testa quasi divertito. Avevo capito. Si stava semplicemente divertendo, voleva solo vendicarsi per il mio rifiuto di poco prima. “Ti sta per cadere” mi mugolò sulle labbra, alludendo all'asciugamano che avevo stretto in vita. Le sue mani corsero sul basso ventre, passandoci di proposito le nocche, facendomi rabbrividire. “Grazie” gli sorrisi sulle labbra, sfiorandogliele con le mie. Ricambiò il sorriso mollandomi di botto, senza nemmeno darmi un bacio. M'imbronciai come un bambino, osservandolo prendere posto al tavolo. “Non vieni?” mi stuzzicò. Se solo non fossi stato distratto dal suo sorriso luminoso e quegli occhi azzurri come non mai, avrei di sicuro fatto qualche stupida battutina sporca. Mossi dei passi, senza rendermene davvero conto, come se fossi sotto incantesimo, attirato da quel ragazzo. Sospirai mangiando la mia colazione, sentendo lo stomaco gioire. Di tanto in tanto mi sorrideva e mi addolciva i bocconi di cibo con quello sguardo innamorato che mi rivolgeva. E chissà, io avevo lo stesso sguardo? Vedeva lo stesso anche lui? E mi persi qualche minuto per analizzare quella situazione. Era davvero inequivocabile. Erano tre giorni che succedeva, tre giorni che mi ritrovavo a fare colazione nella sua cucina, due notti a dormire nello stesso letto stretti dopo aver fatto l'amore. Maledizione, l'amore. Ero fottuto. E guardandolo, guardandoci, era tutto troppo chiaro. Mi morsi le labbra rabbrividendo tanto, socchiudendo appena gli occhi per lasciar passare la scossa lungo tutto il corpo. “Che c'è?” il modo tenero in cui inclinò il capo verso sinistra, con la forchetta a mezz'aria e una voce dolce, mi sciolsero in sospiri. Avevo proprio perso la testa, del tutto. E presi un grosso respiro, cercando di razionalizzare i miei pensieri e i miei sentimenti. “Niente...” mi leccai le labbra cercando di non arrossire. Non era da me, decisamente no. Era una situazione totalmente nuova, era tutto così pieno di novità d'affrontare da accendermi dentro. Ne avevo voglia. Mi piacevano quelle novità, mi piacevano e le avrei accolte e affrontate come meritavano. “Harry?” sorrise arricciando il naso, richiamando la mia attenzione alzandosi dalla sua sedia per potersi sedere vicino alla mia. “Qualcosa non va?” mi chiese con delicatezza, come se avesse paura. E ancora una volta, mi sentii in colpa. Ero stato io a spaventarlo ogni qualvolta desiderasse solamente sapere qualcosa di me. “No” sollevai una mano solo per poter spostare un ciuffo di capelli che gli copriva la fronte leggermente imperlata di sudore. Mi sorrise ancora, come un bambino. Era davvero un bambino, un bellissimo e stupendo bambino. Ed era mio. Adesso potevo dirlo, no? Avevo messo da parte tutto quanto, tutto il mio passato, i miei sentimenti per la persona sbagliata per potermi aprire a lui. Solamente a lui. Si lasciò accarezzare una guancia, socchiudendo gli occhi e mi parve tanto un gattino. A breve avrei anche potuto sentirlo farmi le fusa. E quei paragoni ad animali e cartoni iniziavano ad essere troppi, mi veniva da ridere. “Sei strano...” e non lo disse con cattiveria, anzi. Era un suono dolce, l'inclinazione della voce mi lasciava credere che fosse solo una pura curiosità. Voleva davvero sapere qualcosa, quello che mi passava nella testa. E sì, che mi passava per la testa? Avevo un po' paura. “Ah sì? Mi stai dando del pazzo?” finsi un broncio, prendendo un forchettata di bacon e uova, che mi rubò prontamente stringendo la mia forchetta fra le labbra. Era un bambino, adesso ne avevo la conferma. “E vuoi anche essere imboccato come un bambino” sorrisi divertito nel vederlo annuire. Poggiò mollemente un braccio sul tavolo, poggiando alla fine una guancia sul suo palmo. “Me lo merito dopotutto, no? Ti ho preparato la colazione” sorrise languido aprendo solamente la bocca, aspettando che glie la riempissi. Era un invito terribilmente erotico quello, avevo davvero voglia -adesso- di mettergli altro in bocca. Ma scacciai quel pensiero in fretta. “Sì, va bene piccolo” presi un po' della sua colazione, e glie la portai alle labbra, e lo vidi con gli occhi addolciti. E non avevo idea del perché mi stesse guardando con così tanta dolcezza. Poi mi resi conto del nomignolo dato poco prima. “Davvero...” riprese poco dopo, ingoiando un grosso boccone, dando un sorso dal suo bicchiere di succo d'arancia. “Che cosa stavi pensando?” mi chiese ancora. Sapevo che non avrebbe mollato e perciò, arrivati a quel punto, aveva senso nascondere certe cose? No, probabilmente no. E non era nemmeno giusto tenere per me certe cose quando lui si era aperto completamente, messo a nudo così tanto da poter vedere e toccare le sue costole. “Che sto bene” iniziai poggiando tutto quanto. Mi voltai per stare completamente di fronte a lui, cercando di non perdere il fiato. Non ero il tipo da confessioni cuore a cuore, ma Louis mi aveva imparato anche questo. “Sai, era da tantissimo tempo che non stavo così bene con una persona e...” mi bloccai nel vedere il suo sorriso nascere dolcemente sulle labbra sottili. Si avvicinò per lasciarmi un bacio delicato sulle labbra. “Sto bene anche io” mi sussurrò. “Non sono mai stato in una situazione simile sai... tutto questo” indicai lui, me, la stanza, il tavolo imbandito. “Non ho mai condiviso così tanto tempo con una persona...” mi bloccò con un gesto della mano. “Intendi questa...convivenza, Harry?” chiese incerto. “Ti spaventa, tutto questo, vero?” e mi parve di scorgere un leggero sguardo triste, e quasi abbassò lo sguardo sulle sue mani pur di non guardarmi negli occhi. “No, no Louis” scossi la testa recuperando la sua attenzione. Non volevo deluderlo, usare le parole sbagliate e spaventarlo. Ero sempre stato un imbecille, poco pratico con certe cose. “Cioè, per me è tutto nuovo e … mi piace. Ci vedi? Io sì” ripresi indicandoci ancora una volta. “Siamo seduti qui al tavolo a ridere e scherzare e condividere la colazione e non solo. Condividiamo il letto, il divano e usciamo assieme. Ti tengo per mano come non ho mai fatto con nessuno e...” guardai il suo sguardo cambiare, farsi liquido e sull'orlo di un pianto. Aveva un sorriso che solo a vederlo mi faceva venire voglia di baciarlo. Dovevo avere lo stesso aspetto, probabilmente. “Cosa, Harry?” lo sguardo stracolmo di speranza. Mi mancò il fiato nel vederlo attendere una mia risposta. Le mie labbra rimasero schiuse in attesa di collegamento tra cuore e cervello. Perché non ci riuscivo? “E... ci vedi? Sembriamo una- una coppia, Louis” mi morsi le labbra. Sorrise leggero, a metà tra la felicità e la delusione. Ero un disastro, lo ero sempre stato. “E' una cosa così brutta?” provò a chiedermi, con ancora quel sorriso triste sul viso, come se temesse di ricevere una brutta notizia da un momento all'altro. “No, per niente” lo rassicurai. “Vieni qui, per favore?” lo pregai, indicai le mie ginocchia, su cui si sedette poco dopo. Avvolse le braccia attorno al mio collo per sostenersi ed io feci lo stesso attaccandomi alla sua vita, per tenerlo fermo e più vicino a me. “E allora...” ma lo fermai con un bacio sulle labbra. Si mordicchiò le labbra in cerca di una spiegazione logica al mio comportamento. Probabilmente non c'era, perché ero sempre un imbecille. “Louis, mi sento un cretino ma... mi sembra arrivata l'ora di farlo, di chiedertelo” schiuse le labbra per un secondo, entrando nel panico esattamente quanto me. Il cuore mi batté potentemente nella cassa toracica, facendomi tremare appena contro di lui. “Di chiedermi cosa?” sussurrò senza fiato. Attese con impazienza, potei notarlo dal suo frenetico mordicchiarsi le labbra, dello stringere ossessivamente le mani fra loro, del tic che aveva ad una palpebra quando era nervoso. “Oddio, non ho intenzione di chiederti di sposarmi” feci pentendomene subito dopo. Ma lo vidi ridere solamente, contro le mie labbra, più tranquillo di prima. “Ok, sono un cretino” dissi ancora prendendo un grosso respiro. “No no, dimmi pure, ti prego mi stai facendo impazzire” mugolò imbronciandosi un po'. Quella situazione iniziava a sfiorare il limite del ridicolo e... dell'imbarazzo. “Insomma, non credo sia molto utile chiederlo perché penso che la tua risposta sia piuttosto ovvia” feci ancora, pensandoci. Mi diede una scappellotto sulla nuca, facendomi lamentare per la botta, che non era stata poi così leggera. “Mi stai dicendo che sono scontato? E sei così sicuro persino sulle mie risposte?” mi mollò per incrociare le braccia e tirarsi leggermente indietro ad osservarmi meglio. Lo tenni più stretto per evitare di farlo cadere, ridendo solamente. “No, certo che no. Ma... stai lottando contro di me per questa cosa da ormai tanti mesi e so che sì, insomma...” mi bloccò ancora, mettendomi una mano sulla bocca. “Lo so, stavo scherzando. Parla e basta” ritornò serio, facendomi tremare. Ora o mai più. “Vuoi essere il mio ragazzo?” inspirai tutto tutto d'un fiato. “Ok, cioè penso che lo siamo stati senza saperlo, però voglio dire... ufficialmente e Cristo!” sbottai, sentendo solamente le sue labbra a combattere contro le mie. Mi persi ad assaporare la sua bocca, a sentire tutto ciò che avevo sempre voluto sentire. Delle forti sensazioni mi si annodarono dentro allo stomaco quando le sue mani finirono sulle mie guance. “Era un sì?” gli chiesi una volta che si staccò da me. “No” brontolò facendomi accigliare. “Certo che sì, idiota. Non aspettavo altro da mesi, Dio non ci credo!” quasi urlò eccitato. Si alzò dalle mie ginocchia per potermi circondare la vita con le sue cosce. Me lo tenni stretto facendo scivolare le mani lungo la sua schiena nuda, sentendo una strana felicità crescere dentro e venire fuori senza nessun tipo di ostacolo e blocco. Le barriere erano state abbattute, il muro era crollato. Il vero Harry era venuto fuori e stava baciando Louis, l'uomo che amava. Non c'era niente di meglio, ne ero sicuro.

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