prologue

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Fuori dal finestrino della macchina pioveva.
Le gocce cadevano sempre più forti e il freddo aumentava a dismisura. Sembrava che ognuna di esse facesse una gara a chi dovesse arrivare prima. Tutto nella vita era un insignificante gioco.
Niente era reale.
Osservare ciò mi dava calma, mi concentravo su qualcosa che mi facesse scordare cosa avessi accanto a me. Toglieva i miei peccati più segreti, di cui lei mi faceva una colpa. 

Il semaforo cambiò tonalità, passando da un verde smeraldo ad un rosso acceso e infuocato. Non mi era mai piaciuto, credevo che mi facesse sprecare solo del tempo. In quel momento ne avevo poco per mantenere la mia pace interna.

«È davvero inaccettabile Isabelle. Cosa ti è saltato in mente?» ed ecco qua che incominciava il suo spettacolo. La sua voglia di prendersela con me per una stupidaggine. Non c'era davvero bisogno.

«Voglio dormire mamma, basta» sbuffai spazientita, appoggiandomi più comodamente al vetro. La goccia di sinistra stava vivendo. A causa del mio respiro umido, avrei potuto anche farci dei disegni.

«Non mi rispondere come se non avessi fatto niente. Tuo padre mi ha chiamato terrorizzato dopo il messaggio di tuo fratello, sono uscita da lavoro prima e sono corsa in quel postaccio»

«Da quando una festa a cui Thomas, Ben e James, partecipano in continuazione, ogni dannata settimana, fa schifo se vado anche io?» trattenni una smorfia. Le avrei gridato in faccia con molto più odio. Ero nervosa, diamine se lo ero.

Non avevo fatto niente di sbagliato. Quella mattina avevo sentito i miei fratelli parlare di una serata a casa di una loro conoscente, era come tutte le altre, e in nessuna di esse mi era mai stato chiesto di andare. Per quanto mi piacesse chiudermi nella mia stanza e immergermi nei miei libri, avevo bisogno di uscire, di smetterla di pensare a tutto quello che mi collegava alla solita vita monotona. Senza avvisare nessuno, avevo trovato, dalle storie Instagram di quell'idiota di James, il luogo e con il primo pullman disponibile ero corsa li.
Non era stato male, non sicuramente una delle mie serate migliori, ma la musica era piacevole, avevo parlottato con dei coetanei della mia età senza essere messa sotto pressione dai miei fratelli. Per quanto io volessi bene a tutti e tre allo stesso modo, non mi lasciavano respirare.

La notte trascorreva, la lancetta sull'orologio si muoveva e io non me ne curavano. Non finché, la quinta chiamata persa da mio padre mi fece distrarre. Avevo il telefono in mano quando mi scontrai con Thomas, mio fratello gemello.
Non potevo crederci.

«Dimmi che non sei mia sorella» si stropicciò gli occhi con i pugni. Era impallidito. Non si sarebbe mai aspettato di trovarmi in quel posto.

«Non fare l'idiota, torna a fare quello che stavi facendo, sto bene» alzai gli occhi al cielo seccata. I suoi, di un marrone scuro, così identici ai miei, mi fissavano con una rabbia da far venire i brividi a chiunque non lo conoscesse.

«Sei ridicola, cazzo»

«Chiudi quella boccaccia e sparisci» lo guardai, mordendomi l'interno guancia. Le sue parole, dette pur in preda alla rabbia, erano delle pugnalate al petto. Facevano lo stesso effetto di sempre.

«Scommetto che nemmeno hai avvisato mamma e papà, giusto?» scosse la testa. Mi aveva beccata ancora. Lo volevo prendere a sberle.

«Ma che ti importa?» gridai leggermente. Avevano alzato la canzone, le persone ci circondavano e a fatica riuscivamo a capirci.

«Sta zitta e muoviti» mi afferrò un braccio, trascinandomi con la forza in una stanza al piano di sopra, dove, nemmeno passati due secondi, entrarono James e Ben.
Ignorai le loro lamentele e mi soffermai sulla camera. Era piuttosto grande, circa sui toni del viola, apparteneva alla ragazza che aveva organizzato la festa, aveva dei lunghi capelli rossi. C'erano foto di lei ovunque, assieme ad un ragazzo dai tratti simili.

«Come sei venuta qui?» sbraitò James, passando una mano fra i suoi capelli castani, tirandoseli leggermente dal nervoso, scambiandosi un'occhiata con i miei fratelli.

«Sapete cosa sia un pullman? Se volete ve lo spiego, ma avrei di meglio da fare» gli sorrisi strafottente. Non avevo molta pazienza.

«Tu non hai idea di dove ti sei cacciata» Thomas mi puntò un dito contro, facendo un respiro profondo.

«Thommy, lascia perdere, ormai è qua. Mamma sta venendo» Ben, quello più calmo fra i quattro, ci avvertì. Era sempre lui colui che ci calmava. Odiava le discussioni.

«È una festa, mi spiegate cosa potrebbe mai succedere?» mi rivolsi a mio fratello gemello, ignorando totalmente il maggiore di noi.

«Tu non sai un cazzo» loro e i segreti. Erano continuamente così.

«Non mi dite mai niente, spiegatemi come potrei mai sapere anche solo una stupida cosa»

«Sembri una bambina» Thomas mi osservò gelido. Non aveva senso provare anche solo a discuterci.
Lasciai che nostra madre venisse con la macchina sotto casa della padrona della festa, salendoci in silenzio.

Ignorai il ricordo di pochi attimi prima con i miei fratelli, girandomi verso la mamma.

«Perché non hai avvisato?» strinse il volante. Le guance le erano diventare più rosse.

«Non mi avreste fatta andare comunque. Non fare la finta tonta, non ti si addice» il nostro rapporto era peggiorato. La mia famiglia sembrava vicina ad una disgrazia.

«Mi stai deludendo Isabelle» abbassò lo sguardo. Come riusciva a farmi sentire in colpa?

«Mi dispiace ok? Vuoi sentirti dire ciò? Sei accontentata. Volevo solo divertirmi, sono stanca di stare sempre chiusa in casa perché voi lavorate e Thomas, Ben e James non ci sono mai, ma io voglio avere una vita. Non sono più una bambina e non devo dipendere dai vostri impegni» era così difficile ascoltare? Sentire quello che avessi da dire?

«Dovresti solo ringraziarci, hai tutto quello che desideri. Hai una casa, del cibo ogni giorno, una famiglia che..» non le lascia terminare la frase. Non ne aveva il diritto.

«Che cosa? Che mi ama? Dov'è l'amore? E mamma? Dove si trova quando sono da sola? Dove si trova quando a piangere ci sono solo io? Dove sei quando mi sento di non contare niente?» la rabbia stava prendendo il sopravvento.

«Ma che diavolo stai dicendo? Sei forse impazzata Isabelle?» si mise una mano all'altezza del petto. Era oltraggiata dal mio atteggiamento.

«Ti da così fastidio la verità?» risi nervosamente, sbattendo le ciglia. Odiavo qualsiasi cosa in quel momento. Ero stanca.

«A casa facciamo i conti anche con tuo padre. Non puoi minimamente pensare una cosa simile. Sei mia figlia dannazione» urlò quasi con tristezza. Non le si addiceva. Credeva sul serio di rigirarmi così facilmente?

«Ti odio» la guardai negli occhi, senza nascondere il mio dolore, vide tutto ciò che provavo e io il suo, la sua paura del suo sguardo frontale. Mi voltai di scatto. Una macchina correva con troppa velocità verso di noi. Non era normale, non doveva andare così. Non in quel modo.

«Isabelle» la sua voce mi rimbombò nell'orecchio, come il rumore di uno stridere di ruote, di vetri rotti, di sangue per terra e buio. Solo ed esclusivamente nero e un corpo caldo a coprirmi dall'impatto che a venire ci avrebbe separato per l'eternità. Perché si sapeva, non si poteva scappare dal destino e soprattutto dalla morte.

Fragments Of HeartWhere stories live. Discover now