1. momentary memories

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Un anno dopo.

Ricordare.
C'era chi ne era dipendente. Come se fosse un'ossessione. Il voler imprimersi il dolore. Volevano farsi del male da soli. Che cosa ci trovavano di così giusto? Perché essere fissati? Cosa aveva il cervello che non funzionasse correttamente?

«Tuo padre mi ha riferito che devi partire Isabelle» Victoria la mia psicologa, scrisse sulla sua agenda di fronte a me, spostandosi una ciocca di capelli ricci e neri dal viso, dai tratti marcati e definiti.

«Non l'ho deciso io» piantai i denti nel mio labbro inferiore, la gamba non si stava ferma.

«E perché ci stai andando? È un campo estivo o mi sbaglio?» si tolse gli occhiali, appoggiandoli sul bordo della sua poltrona sulla quale era seduta. Il suo studio era accogliente, pur il profumo incessante di lavanda mi faceva venire la nausea.

«Non ho una motivazione» non la stavo guardando. Giocavo spazientita con un laccetto bianco al mio polso, con un ciondolo di due ali.
L'avevo trovato nella scatola dei vecchi oggetti di mia madre quando era giovane.
Al solo pensiero di lei, mi si strinse lo stomaco.

«Tu vuoi andare per scappare da qui. Stai soffocando» le sue parole erano proiettili nelle mie ferite già colme di solchi.

«Non ne ho bisogno»

«Allora resta»

«No»

«Perché allora?»

«Non fare il tuo classico giochetto» presi un respiro profondo, avvicinando le dita alla bocca, mordicchiando le unghie già corte.

«Io voglio aiutare Isa» una risata amara abbandonò le mie labbra.
Che idiozia.

«Lo fai solo perché ti pagano, mi dispiace ma il tuo tempo è scaduto» mi alzai in piedi seccata. Mio padre mi stava aspettando fuori, restava sempre fuori.

«Dovrai fare le sedute anche li. Se andrà meglio non ci vedremmo mai più se sei più contenta, ma non lasciare che quel dolore ti porti via» voleva farmi lei da madre? Io la mia l'avevo persa. Non ne avevo.

«Io sto bene, dovete mettervelo in testa» mi voltai, prima di aprire definitamente la porta verso la psicologa, che mi studiava con lo sguardo.

«Isabelle, puoi mentire a te stessa, ma non a me» scosse il capo lentamente. Si stava arrendendo.

«Andare in quel campo ti farà bene, incontrerai tuoi coetanei, farai amicizia e quando tornerai ne riparleremo» continuò. Non ci credeva nemmeno lei. Mi aveva imparato a conoscere. Mi ero rifiutata di tornare a scuola, facendo delle lezioni private senza perdere l'anno, ma non sarebbe durato a breve, il prossimo l'avrei dovuto fare in un istituto, assieme ai miei fratelli.

«Ci vediamo» non le avrei più dato retta. Ero stanca di ascoltarla.

Aprii la porta, trovando la figura di mio padre. I suoi occhi erano colmi di occhiaie.
Per quanto dicesse di essere andato avanti, il suo aspetto era malridotto. Si era lasciato andare, trascurandosi. Con il lavoro era peggiorato. Doveva gestire l'azienda di famiglia per conto suo, esclusivamente da solo. Aveva un accenno di barba grigiastra sul viso, che richiamava i capelli corti. Il suo fisico preponente non lasciava però scappare le occhiate dalle madri dei figli che aspettavano di essere chiamati dopo di me.

«Già finito?» domandò, corrucciando le sopracciglia, mettendosi in piedi.

«Si, devo preparare la valigia no?» come se mi importasse stare in quel posto.

«Se lo dici tu...» sospirò. Forse aveva capito. Lo sperai per lo meno. Ne fui certa quando, senza lamentele ci recammo dentro la macchina. Il viaggio fu piuttosto silenzioso. L'unico rumore udibile era la musica di sottofondo.

Fragments Of HeartWhere stories live. Discover now