Tom e Miracol

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Amareggiata, vado verso Ravely Street, a pochi metri dalla mia Vermour Street. La tracolla con le borchie sbatte contro la mia gamba ad ogni passo e il venticello invernale riesce ad infilarsi sotto i miei vestiti primaverili. La gente che incrocio si chiede come faccio ad evitare una polmonite, ma io cerco di ignorare le loro occhiate. Fortunatamente, mio padre ha assimilato il fatto che la sua battaglia contro il mio modo inadeguato di vestire non avrà mai un buon esito. Vedo Jason salire sulla Porsche di Tom. Scuoto la testa dinanzi a tanta superficialità ed egocentricità. Con la velocità che possediamo, la macchina è una lumaca a confronto. Non faccio in tempo ad arrivare all'incrocio che sento la voce di Tom chiamarmi. Mi volto e vedo che viene verso di me con passo svelto. Presumo sia una mattina fuorché smorta, per lui. Il suo sorrido è caldo e sincero «Ciao Hope». Io abbozzo un sorriso «Hey» e intanto lancio un'occhiata a mio fratello che ci guarda attraverso il finestrino. Dove non arriva l'occhio di Trevor, c'è ovviamente Jason. «È da tanto che non ti vedo in giro! Che fine hai fatto?» la sua è semplice curiosità, mi dico. «Un po’ di questo, un'po’ di quell'altro...il solito no?» dico muovendo la mano con disinvoltura. Lui annuisce morendosi il labbro inferiore. Non è stupido e credo abbia capito che non ho molto da raccontare. «Ora vado sennò faccio tardi.» «Vieni con noi allora!» propone Tom mostrando la dentatura bianca come la neve che copre i tetti di Burgsville. Io lo guardo scettica «Dubito che arriverò in tempo, credimi» . Lui alza le spalle, ma non sembra intenzionato a voltarsi. «Svuota il sacco ragazzo rompiscatole». Lui la prende come una battuta «allora....come sai, il fine settimana c'è il Ballo Invernale e mi chiedevo se posso farti da accompagnatore» dice tutto d'un fiato. Il suo sguardo è interrogativo, ma vedo come è in imbarazzo. Come me d'altronde. Guardo verso la Porsche e capisco che è stato Jason ad informare Tom di tutto. Presumo che lo sapesse ancora prima di me. Guardo gli occhi color nocciola che conosco ormai da un'eternità. Non voglio rovinargli la giornata, ma sono anche infuriata. Se dovrò andare al ballo, avrò bisogno di qualcuno o sbaglio? Annuisco impercettibilmente, ma dal sorriso sollevato di Tom capisco che ha notato il movimento. «Ti uccido se mi mettono un ritardo» lo indico con l'indice e lui annuisce,continuando a sorridere, per poi voltarsi e andare verso la macchina. Io faccio lo stesso dalla parte opposta e in pochi secondi sono già davanti all'edificio della Burgsville High School, ospitante più di 800 studenti. Io la considero la mia prigionia mattutina, da trascorrere tra gruppetti di liceali superficiali, ragazze che sembrano uscite da un reality e i soliti gruppi di nerd. Poi c'è quel gruppo di persone anonime e che preferiscono stare lontane da coloro che si sforzano di crearsi un'immagine al liceo. Bè io sono una di quelle e non potrebbe essere altrimenti. Le voci stridulale di alcune ragazze arriva alle mie sensibili orecchie. Mi affretto ad arrivare alla porta di vetro con il cartellino "spingere", per scappare da questa angusta tortura. Sentendo delle risatine da un gruppetto vicino alla ringhiera mi volto verso di loro. Tra di loro intravedo una bionda con un vestitino verde, una giacca di cashmere color avorio e tutta l'attenzione del gruppo di ammiratori. Poi si accorge che la guardo e mi raggiuge. «Ciao ragazza» il tono di voce è falsamente smielato. «Ciao ragazza» la imito con un altrettanto falso sorriso. Tratti del suo viso si irrigidiscono «Hai fretta di nasconderti sotto il banco?» dice facendomi arrestare di colpo. «E tu hai finito di fare la primadonna tra i mortali, visto che non sei altro che un mostro per loro?». La sua risata stridula mi riecheggia nelle orecchie. «Non lo hai ancora capito che l'unico mostro sei tu? Ma dimmi, come ti consideri?» dice con un ghigno maligno «Un vampiro, un umano o....una strega?». Già, chi sono? Una vera crisi d'identità questa, penso tra me e me. «Qualunque cosa non assomigli all'essere subdolo che sei tu!». La scanso via con la mano «Fuori dai ghingheri ora e torna a usare i tuoi viscidi trucchetti!». La voce di Carsy mi arriva chiara alle orecchie nonostante la distanza «Non mi abbasso ad usare i trucchetti cara, ma tu ne avresti disperatamente bisogno». Nell'aula di scienze opto per il banco in fondo, vicino alla finestra. Mi siedo e tiro fuori l'iPod e il blocco da disegno. Lo so che non dovrei dare ascolto alle parole di Carsy, ma quando sai che sono vere, fanno male. Mi concentro sulle note di Love will leave a mark dei Red e riesco a calmarmi. Il professor Mellton cerca di ignorare il mio totale disinteresse per la sua lezione sulla struttura della cellula. Rimangono spesso sbalorditi di fronte alla mia capacità di superare i test senza sforzami di studiare. Il trucco sta nel ripetere per un secolo gli stessi test e la probabilità di superarli è del cento per cento. I miei compagni di classe non la prendono molto bene, poiché a loro va male in quasi tutti i test. Bè non è colpa mia se sono degli scansafatiche. Mi metto a scarabocchiare sul quaderno e di tanto in tanto alzo la testa per guardare fuori. Alla terza ora volevo già fuggire via, ma la mia attenzione viene catturata da un movimento su un ramo dell'albero al di là del cortile scolastico. Guardo meglio e vedo un corvo, che probabilmente mi stava osservando già da un bel po’. Di colpo si alza in volo e si poggia sopra il davanzale della finestra. Mi fissa con due occhi più neri della notte e io ricambio l'occhiata. Mi viene un'insolita voglia di toccare le sue piume nere come la pece, invece di voler fare del corvo il mio pasto. Al suono della campanella, il corvo torna verso la fitta boscaglia e scompare. Durante la pausa pranzo rimango nell'aula di arte, direi la mia preferita. Il professor Persey non mi critica per il fatto che sul quaderno della sua materia ci sono solo abbozzi. Secondo lui attraverso l'arte riusciamo a trasmettere le emozioni che non siamo capaci di trasmettere. Se è una scusa per non seguire la lezione sulla struttura del vaticano, perché dovrei lamentarmi? Dopo scuola torno verso casa, ma non ci vado direttamente. Prima ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, anche se so già che andrò contro il volere di mio padre. Devo oltrepassare il ponte EveryUnknown e cercare la mia cena lì. Corro finché non arrivo nelle vicinanze del ponte, ma davanti ad esso trovo alcuni uomini. Mi avvicino furtiva, ma temo che mi scopriranno presto se sono vampiri. Due di loro sono robusti mentre il terzo è basso e tozzo. A quanto pare il consiglio di mio padre è stato seguito alla lettera e non mi faranno passare per nulla al mondo. Così rinuncio, momentaneamente, al mio pasto fuori dalle mura della città e opto per qualcosa nella boscaglia dietro casa. Sono furiosa con Trevor e non capisco veramente cosa potrebbe fare ai vampiri una famigliola di angioletti. Comunque sia, mi devo accontentare, finché non trovo un altro modo per superare le guardie. Alla porta di casa vedo una figura e capisco che è mio padre. «Perché hai fatto tardi?» chiede con voce stentorea «Avevo una certa fame. Perché? È un problema?» ribatto. «Come hai visto la mia decisione è stata messa in pratica. E per quanto guarda il cibo, d'ora in poi devi aspettare la cena.» Io rido «Non mi comporterò da umana. E non sforzarti di darmi consigli su come vivere, perché non funzionerà » lo supero per entrare in casa. Lui mi prende per il braccio. «Non ci provare Hope. Tu farai quello che decido io e senza discussioni.» I suoi occhi sono più freddi di chiunque altro. «Mai! Neanche se mi chiudessi in una tomba». Strattono il braccio per liberarmi e in pochi secondi sono già in camera. Butto la borsa in un angolo e mi butto sul letto. Premo i palmi sugli occhi forte, per respingere ogni forma di sfogo. Sono semplicemente stanca di sentirmi un peso per gli altri. Sento un corvo gracchiare e dal suono capisco che è vicino alla finestra. Guardo verso di essa ed eccolo di nuovo con i suoi occhietti scuri. Non mi starà mica pedinando da sta mattina? Rido all'idea e apro la finestra, cercando di non spaventarlo. Il corvo vola dentro la camera e si posa sul poggiatesta del letto, senza alcun mio sforzo di convincerlo ad entrare. «Hai fame? Ho dei biscotti se vuoi.» Scendo in cucina furtivamente e rubo alcuni biscotti ai cereali della mamma. Li sbriciolo e avvicino la mano verso il becco del corvo. Lui prende alcune briciole e io rimango un'po’ sorpresa dal fatto che si è fidato subito di me. Almeno adesso ho qualcuno a tenermi compagnia...se mai deciderà di rimanere. Finito di mangiare il corvo continua a fissarmi. «Allora come vuoi che ti chiami?" chiedo sdraiandomi sul letto. «Hope Junior, Gracchia, Blacky.....Miracol!» dico con un colpo di genio . «È perfetto!». Già, un piccolo miracolo, un amico con cui divertirmi e passare i noiosi pomeriggi. Lui gracchia una sola volta e, quindi, presumo che vada bene anche per lui. Forse si tratta di un colpo di fortuna, un incontro già prescritto o un semplice caso questo suo avvicinamento a me. Il letto scricchiola quando mi ci butto sopra, ma questo non spaventa il corvo. Stranamente non ho voglia di assaggiarlo, anche se l'odore del suo sangue è percepibile. Decido che un film è l'ideale in questo momento, così prendo il computer e chiudo la porta alla realtà. Opto per Coraline, anche se è un film per bambini. Intanto anche lei ha dei genitori strani e quasi sempre assenti. Mi piace rispecchiarmi in ciò che vedo, perché spero che , come nei film, anche la mia vita abbia un bel finale. Una sciocchezza? Non saprei, ma come si dice, la speranza è l'ultima a morire. Miracol mi viene accanto e io lo metto in grembo. Le piume sono morbide e prima della fine del film, ho già gli occhi chiusi, in balia di immagini insensate.

The Light side of DarkWhere stories live. Discover now