Oneirataxia [Parte 2]

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A quell'ora del pomeriggio ci sono soltanto un paio di moto, appartenenti ai ragazzi che seguono le attività pomeridiane, e la macchina del custode. Dunque è facile scorgere la figura di Reiner, soprattutto se disegna un cerchio per terra con i suoi passi. Sebbene sia ancora lontano dall'amico, Bertolt sente sia la voce che il tono nervoso di essa, che l'altro ragazzo non si preoccupa di mascherare. Man mano che si avvicina, scorge anche la vena tesa sulla tempia sinistra di Reiner – che appare lì soltanto quando è arrabbiato.

«Ciao, Reiner» sussurra una volta che gli è accanto.

Quello gli scocca un'occhiata veloce, prima di staccare la chiamata e far scivolare il cellulare nella tasca del giubbotto. Ha riattaccato perché ha terminato la conversazione, oppure perché non vuole che la ascolti?

«Oi, Bertl.»

Gelida come i ghiacciai del Polo Nord: può essere umana una voce così? Non muta neanche espressione, mentre lo fissa. È come se avesse una maschera, invece di una faccia.

«È ... successo qualcosa?» lo interroga e si massaggia il polso, con tanta forza che lascia la pelle arrossata – ma lo ritiene necessario affinché i nervi si rilassino.

«No.»

Li perderai ancora, di questo passo...

Le parole dello sconosciuto sono pungenti e invasive – quasi fossero aghi di punture fatte a tradimento – ma ognuna di esse straripa di ragione. Bertolt si sente come se Annie e Reiner fossero gocce d'acqua e lui lo sciocco che le raccoglie – invano – a mani nude. Più il tempo passa, più vede le loro schiene diventare minuscole fino a sparire all'orizzonte e poco importa quanto s'impegni: non ha modo di raggiungerli e acciuffarli.

«Non devi fare tutto da solo. Ci sono io... e c'è anche Annie.»

Deglutisce a vuoto, sentendosi il petto leggero per averlo detto. Non glielo ha mai fatto presente prima e dal cipiglio perplesso che l'altro gli regala – e di cui è orgoglioso, poiché l'unica espressione che conosce di quel lui è quella pregna di ira – gli è chiaro di averlo colpito. Presosi di coraggio, gli si avvicina con cautela, come se davanti non avesse l'amico, bensì una bestia affamata e pronta a sbranarlo al minimo segnale di incertezza.

«Non è niente. Davvero.»

Quella frase è tagliente come una scheggia di vetro, eppure Bertolt, anche se ciò implica farsi male, colma la distanza che lo separa dall'altro con un abbraccio.

Passa qualche minuto, prima che Reiner ricambi il gesto. Senza che l'amico esplichi il suo dubbio, sa che trova strano il suo slancio di coraggio. Lui ha paura che il suo battito frenetico gli impedisca di godersi appieno il momento. Lo guarda chiudere gli occhi, inspirare il profumo di menta che lo accompagna ovunque vada. Poco dopo appoggia il mento sul capo dell'altro e dentro di sé lo rimprovera, perché lo fa preoccupare troppo, data la sua tendenza a prendersi carico di tutte le responsabilità. Se c'è qualcuno che deve sacrificarsi è lui, che di sbagli ne ha commessi molti e merita il male che gli viene fatto e che si autoinfligge.

«Faremo tardi, Bertl. Porco è già arrivato al punto d'incontro.»

La protesta è flebile, perciò non si preoccupa di disobbedirgli. Lo tiene ancora stretto, sperando che questo piccolo gesto basti per tenerlo fermo accanto a sé una volta per tutte. Si bea del suo piccolo momento di pace e vittoria – perché strappare quel tono a quel Reiner è gratificante come ottenere un ottimo voto con il professor Shadis –, avvinghiato all'amico, come faceva quand'erano piccoli e lo consolava dopo l'ennesimo litigio con Porco.

Scioglie con una lentezza esasperante l'abbraccio, fa risalire le mani lungo il corpo altrui e gli trattiene per un po' il viso, per scorgere nel profondo dei suoi occhi se qualcosa si sia mosso.

Come i Ratti nelle Fogne [Attack On Titan]Where stories live. Discover now