7. Maggior paura e non minor tormento

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Napoli, 1511

La carrozza si fermò davanti al portone di palazzo d'Avalos, sotto lo scroscio incessante della pioggia. Fabrizio Colonna, riparandosi la testa con il cappuccio del mantello, scese velocemente e le guardie gli aprirono il portone. Una volta nell'atrio il comandante si tolse il mantello appena bagnato e una serva lo prese per metterlo ad asciugare davanti al fuoco del camino.

«Devo parlare con mio genero» disse, col tono di chi non accetta un rifiuto, alla domestica quando fu tornata, si trattava di una faccenda che non poteva essere rimandata.

La donna fece cenno di aver capito.

«Il signore è in casa, con tutta probabilità si trova con sua moglie in biblioteca» rispose, «venite con me, messere.»

Fabrizio fu condotto, passando dalle grandi e magnificamente decorate sale da pranzo e da ballo, davanti alla porta chiusa della biblioteca. Non si trattava dello studio personale del marchese, i suoi appartamenti privati si trovavano nel lato opposto del palazzo, insieme a quelli della moglie, cosicché potesse raggiungerla velocemente quando volesse. La serva bussò con un colpo deciso alla porta, per far intendere che la visita era importante e non poteva venire rifiutata.

«Entrate» fu la risposta dall'interno. La donna aprì il portone e fece qualche passo avanti.

Vittoria smise improvvisamente di leggere, appoggiò il libro sulle ginocchia tenendo il segno con il dito e sia il suo sguardo sia quello di Ferdinando di fianco a lei andarono alla porta.

«Ho una visita per voi, signore» annunciò la serva, facendo spazio a Fabrizio Colonna che varcò, in silenzio, la porta.

Ferdinando si alzò e gli andò incontro, facendo, quando gli fu davanti, una profonda riverenza come si conveniva tra genero e suocero. Vittoria osservò curiosa e un po' preoccupata suo padre, dalla sua espressione si poteva intendere che aveva chiaramente capito che la questione doveva essere molto importante: suo padre, in questo primo periodo di matrimonio, non le aveva mai fatto visita se non per cose veramente importanti e urgenti. Si alzò anche lei e si affiancò a suo marito.

«Benvenuto, caro suocero» Ferdinando gli sorrise, ma aveva letto negli occhi del generale Colonna che non c'era motivo di essere felici.

«Benvenuto padre mio» lo salutò Vittoria a voce bassa e sommessa. Lui le rispose con un leggero ma amorevole cenno del capo e lei intese, «vi lascio soli» aggiunse, chiudendo il libro, facendo un breve inchino davanti al padre e al marito e uscendo dalla stanza. Chiuse la porta dietro di sé.

Ci fu un attimo di silenzio, il Colonna emise un lungo sospiro ma sembrava non voler cominciare a parlare.

«A cosa devo la vostra visita?» gli domandò cortesemente Ferdinando vedendo che c'era qualcosa che non andava.

«Siete a conoscenza delle ultime notizie?» gli domandò.

«Dipende che cosa intendete con "ultime"» rispose Ferdinando e, indicando una delle poltrone intorno al tavolo della biblioteca, aggiunse, «sedetevi pure e ditemi tutto.»

Fabrizio Colonna sospirò di nuovo, guardandosi nervosamente intorno, poi si sedette e congiunse le mani sul tavolo color mogano.

«Suppongo che sappiate che la Lega di Cambrai si è sciolta» cominciò dopo aver deglutito rumorosamente.

Ferdinando scosse il capo in segno di assenso, lo sapeva bene: quella era una notizia che chiunque, anche il più povero contadino della più sperduta campagna, avrebbe saputo, figurarsi un uomo di potere, un marchese come lui.

«Ovviamente e da molto ormai» disse, «so però che il Papa non ha intenzione di smettere la sua campagna battagliera, questo pontefice è peggio di un imperatore!»

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora