20. Accrescer dramma, nè scemar scintilla

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La situazione dell'Italia, in quegli anni, era stata piuttosto burrascosa. Con la morte, il primo giorno dell'anno 1515, di Luigi XII, la Francia ebbe un nuovo sovrano, il giovane Francesco I che, voglioso di far ritornare grande la sua nazione, riconquistò Milano e quasi tutta la Lombardia che, precedentemente, nonostante la sconfitta a Ravenna, era stata liberata dal dominio francese.

Ferdinando d'Avalos, ovviamente, aveva partecipato, sempre al fianco di Fabrizio Colonna e di Ramon de Cardona che era stato riconfermato ancora nella carica viceregale.

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Vittoria, come moltissime altre nobildonne e mogli di guerrieri, in quel tempo, vide molto  poco suo marito che si spostava solo sporadicamente dalla Lombardia al Regno di Napoli e ci rimaneva appena qualche giorno ripartendo subito dopo. Più che lo vedeva più capiva che quel tornare così brevemente a casa non doveva essergli poi molto gradito: trovava sempre meno il modo di passare del tempo in sua compagnia come in quella di sua zia Costanza ed era chiaro che la sua mente fosse completamente assente da Ischia e da Napoli ma interamente focalizzata sulla sua vita sul campo di battaglia. Vittoria sospettava che non fosse solo la guerra a prenderlo così tanto e che ci fosse qualcun altro con cui bramava di riunirsi oltre ai suoi soldati.

In ogni modo non disse niente e, a dire la verità, non ebbe nemmeno modo di stare tanto a pensarci   perché tutto il castello di Ischia era in agitazione: presto, molto presto, si sarebbero tenute, lì sull'isola,  le nozze della giovane Costanza d'Avalos con il duca di Amalfi, Alfonso Piccolomini.

La duchessa aveva organizzato, proprio come per il matrimonio di Vittoria e Ferdinando, una grandissima festa ed erano settimane che Costanza d'Avalos non stava più nella pelle, si affaccendava perché tutto fosse a dir poco perfetto per le nozze dell'adorata nipote. Vittoria che, durante l'assenza di Ferdinando, per non stare sola nel suo palazzo di Napoli e per avere più vicino anche Alfonso, che adesso cominciava a non essere più tanto un bambino,  si era trasferita di nuovo nel castello degli Avalos ed era completamente immersa in quell'ansiosa aria di festa.

Vittoria entrò nella stanza di Costanza quasi senza farsi vedere, la ragazza si era chiusa nella sua camera per passare in solitudine quel suo ultimo giorno da nubile. Erano giorni che Vittoria se ne era accorta: la sua cara cugina, all'avvicinarsi della data del giorno del suo matrimonio, si rinchiudeva sempre più in sé stessa: certe volte la vedeva passeggiare da sola nei luoghi più belli del palazzo, nelle stanze in cui aveva passato gran parte della sua infanzia e in quelle che più amava, si portava un libro e stava lì, se qualcuno le si avvicinava trovava una scusa e se ne andava per poi tornare quando quella stanza si fosse nuovamente svuotata. Era un comportamento che faceva pena a Vittoria, poteva immaginarsi che cosa Costanza stesse provando in quella situazione: conosceva il suo morboso attaccamento all'isola di Ischia e al suo castello e vederla frequentare, per quelle che erano le ultime volte, i suoi luoghi preferiti le metteva una tristezza indicibile.

«Vittoria» Costanza girò appena il capo vedendo che qualcuno era entrato, il suo tono non era arrabbiato per quell'intrusione che avrebbe dovuto infastidirla, ma piuttosto triste e dimesso. La ragazza sedeva sui gradini della finestra della sua camera, appoggiata stancamente agli stipiti in pietra, e osservava con aria nostalgica il mare, «sei venuta a salutarmi?»

«Ma che cosa dici?» Vittoria le si avvicinò e si sedette, sistemandosi la veste per evitare che si sporcasse, di fronte a lei, «ci sarò domani, lo sai.»

«Ma domani non credo di avere il tempo di salutare neanche zia Costanza» rispose lei tenendo fisso lo sguardo sul mare che cominciava a scurire in contrapposizione ai colori del tramonto, «un attimo prima di imbarcarmi alla volta di Amalfi potrò abbracciarvi ma per me questo non è un vero saluto.»

Uno dio per la sua bocca parlaWhere stories live. Discover now