50. C'amor vuol pari stato e giovanezza

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Quella sensazione di malessere che aveva accompagnato Vittoria in quel suo inaspettato ritorno a Roma si tramutò ben presto in un male vero e proprio. Il giramento di capo divenne un assillo, le gambe la reggevano a malapena in piedi, i dolori ai fianchi erano lancinanti, ma Vittoria faceva di tutto per non mostrare quanto in realtà stesse male. Non fu in grado di nasconderlo per molto, però, presto tutti si accorsero che la sua malattia non era assolutamente un malessere passeggero come lei lo definiva. La marchesa fu costretta a mettersi a letto e fu chiamato immediatamente un dottore: Vittoria non si stupì, quando, dopo avergli chiesto quale fosse la causa del suo male, quello non seppe risponderle. Prima di andare via, però, gli sentì sussurrare una frase che la fece tremare.

Scrisse a Michelangelo che quel pomeriggio non si sarebbero potuti vedere come avevano stabilito dicendogli semplicemente che non si sentiva bene ed evitando di parlargli di quella malattia sconosciuta che aveva addosso da anni ed anni: non aveva alcuna intenzione di allarmarlo più del dovuto.   

Ma come era facile aspettarsi, Michelangelo si presentò all'entrata del convento di Sant'Anna dei Funari.

«Vi avevo detto che non ci saremmo potuti vedere oggi e voi siete venuto fin qui?» appena lo vide varcare la soglia della sua cella, ancora più angusta, stretta e umile di quella del monastero di San Silvestro, però, i suoi occhi si illuminarono. Si tirò su appoggiandosi ai cuscini per stare un po' sostenuta e gli rivolse un sorriso al meglio che poté, poi abbassò lo sguardo, «non sono in condizioni per una visita» disse con tono sommesso, vergognandosi della sua apparenza, «perdonatemi per lo stato in cui mi trovate.»

Michelangelo non colse l'ironia nelle sue parole, il suo sguardo era preoccupato, percorreva con gli occhi l'esile figura della marchesa, dal viso pallido, le guance rosse, gli occhi febbricitanti e scavati in scure occhiaie e i capelli sciolti e in disordine. Vittoria appariva davanti ai suoi occhi così debole e fragile, per la prima volta da quando si conoscevano la vedeva con l'aspetto distrutto, disfatto e questa cosa gli faceva male.

«Come state?» le domandò avvicinandosi al letto di qualche passo ma rimanendo in piedi a guardarla con un'espressione preoccupata sul volto, «non sono venuto per disturbarvi, per togliervi il riposo, ma solamente per vedere come state. Avete la febbre alta, lo vedo dai vostri occhi vitrei: me ne vado subito.»

L'artista aveva già preso ad avviarsi verso l'uscita, a malincuore, ma Vittoria lo fermò.

«Vi supplico, Michelangelo, restate» lo pregò alzando la testa con un movimento troppo brusco che le fece scappare un gemito, «per un altro po'.»

«Rimarrei volentieri, per egoismo, perché desidero più di ogni altra cosa passare del tempo con voi» rispose lui non muovendosi dalla porta, «ma so che non è ciò che vi fa bene, è necessario che vi lasci riposare, signora marchesa.»

Vittoria stava per replicare, ma, proprio, in quel momento, una giovane monaca entrò portando un secchio pieno d'acqua, si scusò per aver interrotto la loro conversazione e, con il permesso della marchesa, lo appoggiò al fianco del letto. La ragazza era un po' in imbarazzo, era venuta per curare Vittoria e non si aspettava che lei avesse visite.

«Fate conto che io non ci sia» mormorò timidamente, prendendo uno sgabello che si trovava all'angolo della stanza e portandolo al capezzale della marchesa, «potete parlare tranquillamente, non vi darò alcuna noia.»

«Posso farlo io» si offrì Michelangelo sorprendendo sia Vittoria che la giovane sorella.

«Non se ne parla, Michelangelo» protestò la marchesa sgranando gli occhi, «non voglio che vi comportiate come un mio servo, vi prego.»

Ma l'artista fece finta di non sentire, si avvicinò e prese posto sullo sgabello accanto a lei, la ragazzina fece oscillare lo sguardo tra i due, chiese il permesso a Vittoria ma lei glielo negò con lo sguardo, poi tornò a guardare Michelangelo e lui le intimò di porgergli le pezze di panno da bagnare. La giovane suora, dato che vedeva che l'artista era irremovibile su questo punto, cedette, disobbedendo alla marchesa e ignorando la sua volontà, e gli porse il necessario. Poi, facendo solo un piccolo e silenzioso inchino al loro cospetto, se ne andò chiudendosi la porta dietro le spalle.

Uno dio per la sua bocca parlaWhere stories live. Discover now